Grecia: le menzogne dei media mainstream
I principali mass media greci nel recente referendum greco hanno fatto una spietata campagna per il "Sì". Ora le stazioni TV più importanti della Grecia sono messe sotto inchiesta
(Originariamente pubblicato da The Press Project il 9 luglio 2015, titolo originale Mainstream media lie in Greece )
La scorsa settimana (agli inizi di luglio, prima del referendum greco N.d.t) , fuori dal parlamento greco, si sono svolte due manifestazioni di massa. La prima, il martedì, guidata dai sostenitori del NO al referendum; il giorno seguente, quella dei sostenitori del SI’. Le due dimostrazioni pubbliche hanno avuto un’affluenza praticamente equivalente, ma non hanno ricevuto un eguale trattamento da parte delle trasmissioni TV. Tutti e sei i principali telegiornali a livello nazionale hanno mandato in onda le immagini di entrambi i raduni, riservando tuttavia uno spazio di pochi minuti (8 minuti e 33 secondi) a quello a favore del NO, mentre ben 47 minuti e 32 secondi sono stati dedicati alla manifestazione per il SI’.
La propaganda non si riduce però solo ai numeri. La stazione televisiva più grande della Grecia, MEGA Channel, ha trasmesso un servizio in cui afferma che i controlli sui capitali avevano creato code chilometriche fuori delle banche. La stazione ha riportato cifre esagerate ed ha utilizzato immagini che, si è poi scoperto, erano state riprese anni fa in Sud Africa. Quando poi un ospite di MEGA TV ha chiesto alla conduttrice il motivo per cui venisse trasmesso “solo il punto di vista dei sì", gli è stato risposto: "E’ davvero colpa nostra se tutte le fazioni in Grecia sono a favore del SI’?". I risultati del referendum, però, indicano che ogni regione del Paese ha registrato una maggioranza di voti NO.
Dall’inizio della crisi sino ad oggi, i principali media in Grecia hanno venduto la formula dell’austerity ai cittadini della nazione. Al Comitato per le indagini parlamentari è stato rivelato che alcuni tra i principali giornalisti del paese erano stati in viaggio negli Stati Uniti per seguire i seminari del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Nel 2011, Wikileaks ha pubblicato dei telegrammi top secret dell’Ambasciata americana ad Atene che riguardavano il monitoraggio dei mezzi di comunicazione del Paese. Stando a questi messaggi, l’ambasciata, nell’interesse di proiettare un’immagine più favorevole degli Stati Uniti all’estero, avrebbe addirittura interferito con la programmazione dei contenuti dei talk show. Yannis Pretenteris, il giornalista televisivo più popolare in Grecia fino allo scorso anno, ha ammesso nel suo libro di aver deliberatamente mentito alla popolazione greca ogni sera, ma di averlo fatto per aiutare il paese a salvarsi.
Da quando è iniziata la crisi 3.000 giornalisti hanno perso il lavoro. Ciò ha creato un clima di paura e di incertezza, e ha portato ad un inasprimento della linea ufficiale. In poche parole, chi si oppone agli interessi della società proprietaria dei media perde il lavoro.
Prima della crisi, in Grecia venivano pubblicati molti più giornali e riviste rispetto ad ogni altro paese in Europa, e l’esistenza di 6 canali a livello nazionale era davvero impressionante per una nazione di soli 10 milioni di abitanti. Ma la verità è che tutti questi mezzi di comunicazione erano da anni sotto il controllo, diretto o indiretto, di sole sette famiglie (cinque delle quali sono ancora oggi in attività), magnati dei media conosciuti in Grecia come "oligarchi”.
Chi si nasconde dietro ai media greci sono i soci delle società di costruzioni su grande scala che hanno ricevuto contratti governativi per quasi tutte le infrastrutture del paese, oppure i magnati delle spedizioni che controllano i mercati del petrolio e delle esportazioni. La Grecia ha quindi assistito alla creazione di una rete triangolare che collega il governo, le banche ed i mezzi di comunicazione di massa, ed è all’interno di questa struttura che si è tentato di plasmare l’opinione pubblica in modo da servire gli interessi comuni a tutti e tre.
Fin dall’inizio della crisi e dell’attuazione del programma di austerity, tutti i principali mass media hanno difeso le rigide politiche degli istituti di credito della Grecia. Oltretutto, le televisioni greche operano nel loro paese senza licenze, grazie ad una legge del 1989 che ha concesso delle licenze di prova per la ricerca e lo sviluppo. Gli oligarchi, oltre a non aver pagato per le licenze televisive, per anni non hanno nemmeno – secondo l’ufficio contabile del paese – pagato le tasse per l’utilizzo delle frequenze pubbliche. Insomma, i mezzi di comunicazione di massa hanno sostenuto la politica dell’austerità, e gli istituti di credito hanno permesso loro di continuare ad operare in una situazione di dubbia legalità (la più alta corte del paese – il Consiglio di Stato – ha già emesso in passato due sentenze che hanno decretato essere illegale l’uso delle frequenze senza licenza).
Il meccanismo si è ormai affermato, e la scorsa settimana ha raggiunto il suo apice con la creazione di una macchina propagandistica senza eguali, il cui scopo è stato quello di t[]izzare chiunque volesse votare NO al referendum. Lunedì scorso, nel giro di sole 24 ore, è stata violata ogni etica giornalistica e sono stati utilizzati tutti i mezzi possibili per creare un clima di paura sui media nazionali ed internazionali. Ciò ha spinto le indagini su due livelli: il sistema giudiziario greco è ora impegnato ad esaminare le accuse mosse dai cittadini per quanto riguarda la diffusione di menzogne, mentre il corpo di vigilanza dei giornalisti ha iniziato ad indagare sui singoli giornalisti – quasi tutti presentatori televisivi.
Di fronte a questi sviluppi, i media principali hanno condotto una guerra di disinformazione, soprattutto all’estero. Denunciano questo tentativo di soffocare la libertà di stampa e descrivono il primo ministro greco come lo Chavez d’Europa. Gli stessi media che godevano dell’accesso al 95% del pubblico televisivo (secondo le statistiche per la copertura televisiva in Grecia rilasciate dal Servizio nazionale di telecomunicazioni), che sono stati illimitatamente finanziati dalle banche, che hanno fatto guadagnare alla Grecia l’ultimo posto in Europa nella classifica rilasciata da Reporter senza frontiere per la libertà di stampa, e il 99esimo posto nel mondo (dopo la Repubblica Gabonese), sostengono che la qualità del giornalismo peggiorerà perché gli organi di controllo competenti li stanno sorvegliando.
Ma ormai in Grecia nessuno se la beve. Ecco perché la Coalizione della Sinistra Radicale (SYRIZA) è al potere nonostante la guerra che i media hanno intrapreso contro di essa nel periodo precedente alle elezioni, ed è per questo che due greci su tre hanno votato NO al recente referendum. Ed è forse per questo che, come i dati delle urne suggeriscono, i giovani si rivolgono sempre di più al web quale fonte di informazione.
In conclusione, la democrazia in Grecia è veramente in difficoltà, ma a causa del cattivo giornalismo e non di certo perché le autorità competenti stanno cercando di imporre qualche forma di controllo su questo fenomeno senza precedenti.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto