Grecia, il vento della crisi
A cento giorni dall’elezione di Alexis Tsipras, Grecia e creditori internazionali restano all’impasse. Passi in avanti si accompagnano a incomprensioni e diffidenza. E ora la geopolitica, con lo scontro energetico tra Occidente e Russia, rischia di complicare il quadro
Un nome nuovo (Bruxelles group), la volontà (almeno a parole) di cambiare direzione e tanta paura su un futuro che resta ancora a tinte fosche. Il meltèmi [vento secco che soffia sull’Egeo, in grado di dar vita a burrasche in mare N.d.R] della crisi economica non cessa di soffiare sulla Grecia e su ciò che resta del tessuto imprenditoriale e sociale del Paese, schiacciato dalle scadenze di rimborsi ai creditori – per la verità sino ad oggi sempre rispettate da Atene – e da un conto alla rovescia che questa volta potrebbe davvero scrivere la parola fine sul caso ellenico, in un verso o nell’altro.
Sullo sfondo, un mercato drammaticamente fermo, la disoccupazione che non cala, la fuga dei cervelli e dei nuclei familiari che non si arresta, i riverberi geopolitici in chiave eurasiatica di una crisi che si fa sempre più complessa.
Gli attori in campo
I creditori internazionali dell’ex troika (Fmi, Ue e Bce) premono perché sia rispettato l’accordo dell’Eurogruppo siglato lo scorso febbraio: il governo Tsipras, è la tesi di Bruxelles, deve continuare nei prossimi quattro mesi sulla strada della spending review e delle riforme per poter avere accesso ad altri prestiti, imprescindibili per ovviare a casse dello Stato che sono ad un passo dal profondo rosso.
Dall’altra parte, la volontà del neo premier di Syriza è quella di cambiare direzione, nella consapevolezza che il memorandum non è sostenibile da una Grecia già azzoppata da tre anni di tagli draconiani, con la richiesta di riutilizzare quel denaro non per pagare gli interessi sul debito, ma per stimolare la ripresa. Una sorta di grande piano Marshall per l’area euro-mediterrenea, così come nelle intenzioni è stato il “Quantitative Easing” lanciato dal numero uno della Bce Mario Draghi ma che, di fatto, ha escluso proprio chi ne avrebbe avuto più bisogno: la Grecia.
Le scadenze
Dall’elezione a premier di Alexis Tsipras ad oggi sono trascorsi appena cento giorni, ma la rottura delle trattative è stata più volte sfiorata in questo lasso di tempo. Merito, sostengono i detrattori di Atene, del carattere di Yanis Varoufakis, l’estroso ministro delle Finanze che non è riuscito ad instaurare un canale di dialogo con i due soggetti che, più di altri, hanno in mano le chiavi dell’Eurogruppo: il presidente Jeroen Dijsselbloem e il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble.
Sorrisi di troppo, dichiarazioni incendiarie sui media, fughe in avanti e poche smentite: sin dalle prime battute dell’Eurogruppo del 18 febbraio si è avvertita nell’aria una tensione mai respirata prima, nemmeno nei giorni di crisi acuta del 2012, quando dopo le seconde elezioni consecutive, in Grecia tutti erano pronti al peggio. Lo spartiacque verso un diverso approccio alle trattative è stato segnato tre settimane fa, quando è stato lo stesso premier greco a comprendere come, senza una partecipazione costruttiva al tavolo europeo, la Grecia avrebbe continuato a pagare i maggiori danni da questa impasse. Un passaggio certificato anche dalla Confederazione dei commercianti greci, secondo cui ogni giorno che passa senza un accordo sul debito il paese perde 22 milioni di euro.
Parlano i numeri
Su un punto a Bruxelles hanno sicuramente ragione: l’evasione dell’Iva in Grecia ogni anno ammonta ad almeno 9,5 miliardi di euro. Un "tesoretto" che – se adeguatamente recuperato potrebbe concedere più di una boccata di ossigeno. In questa direzione si registra la buona volontà del governo di Atene che, dopo aver affiancato a Varoufakis due figure più diplomatiche (il vicepremier Ioannis Dragasakis e il responsabile economico di Syriza Euclides Tsakalos), ha inviato al “Bruxelles Group” una proposta di riforma dell’Iva, compresa una serie di misure (di cui alcune piuttosto discutibili) per incassarla, come studenti e casalinghe a fare le veci della polizia finanziaria.
Sul punto si sono tenute nell’ultima settimana due teleconferenze tra le parti, per smussare gli angoli del primo grande scoglio nelle trattative tra Atene ed Unione Europea: ecco fare capolino la possibilità di due aliquote invece delle attuali tre, con la più alta al 18% per tutti i servizi e prodotti ad eccezione degli alimentari e dei medicinali, a cui si applicherebbe uno sconto per gli acquisti con carta di credito del 3%. E quella più bassa al 9,5%. A ciò si aggiunga la seconda iniziativa per stanare il nero in Grecia, ovvero limitare l’uso del contante a 70 euro nelle isole con più di tremila abitanti, al fine di incentivare le transazioni con le carte bancomat. Ma mentre nel “Bruxelles Group” c’è totale consenso rispetto a questa misura, da parte greca fanno notare come colpire il turismo, l’unico settore che produce ricchezza nel paese, sarebbe una mossa controproducente.
Oltre al dossier Iva e nuove tasse, è alla voce privatizzazioni che si assiste all’ennesimo duro scontro tra Atene e Berlino. La Federazione russa sarebbe pronta ad assimilare alcune utilities greche, come le ferrovie Treinose e il porto di Salonicco anche in chiave di un futuro hub energetico, ma i paesi occidentali, Stati Uniti in testa, non sono affatto d’accordo.
"Disturbo" geopolitico
E proprio nelle ultime ore, si registrano una serie di mosse “di disturbo” da parte degli USA verso il progetto “Turkish stream”, il nuovo gasdotto turco russo ideato per sostituire il “South Stream” che passerà dalla Grecia dopo essere approdato in Turchia via mar Nero, e per cui il presidente russo Vladimir Putin avrebbe già promesso un anticipo di cinque miliardi di euro a Tsipras.
Gli Stati Uniti invece vedrebbero di buon occhio una Grecia più legata al Tap (Trans-Adriatic Pipeline, progetto che dovrebbe far approdare in Italia il gas azero attraverso Grecia e Albania) e non al progetto targato Gazprom. Per questo motivo l’inviato speciale per gli affari energetici del dipartimento di stato americano, Amos Hochstein, ha dichiarato al New York Times che gli USA appoggeranno la Grecia per costruire il gasdotto Tap, motivando questa presa di posizione con il fatto che questo è in fase più avanzata rispetto al “Turkish stream”, il cui varo è stato lanciato solo lo scorso dicembre, quando il presidente russo ha rivelato apertamente di voler abbandonare l’idea di "South Stream".
La Grecia, quindi, si rivela oggi come campo di "battaglia" ideale tra Stati Uniti e Russia: in ballo ci potrebbero essere anche i destini degli aiuti finanziari ad Atene, da una parte o dall’altra. Ma mentre la geopolitica crea nuovi scenari, e pone le basi che probabilmente definiranno il destino energetico europeo, nuova bussola per scelte e alleanze, la Grecia resta ad un passo dal baratro, come dimostra una lettera inviata pochi giorni fa dal ministero degli Esteri greco a tutte le ambasciate elleniche nel mondo. Nella missiva, il governo centrale chiedeva alle sedi all’estero di restituire quanto avanzato della dotazione finanziaria dell’anno scorso. E annunciava il rischio reale di non poter pagare stipendi e pensioni il prossimo 30 maggio.