Grecia, i rischi della monocoltura del turismo

Nonostante Atene abbia recentemente detto addio alla Troika, con l’uscita dal piano di aiuti finanziari, i rischi rimangono in un paese dove il Pil nazionale dipende ormai troppo dal settore turistico

28/08/2018, Gilda Lyghounis -

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Grecia (foto pixabay - CC0 Creative Commons)

Un Paese di sguatteri e camerieri. Vuole finire così la Grecia dopo otto anni di crisi e la proclamata uscita il 20 agosto dal programma di salvataggio targato Unione Europea e Fondo monetario internazionale? Il rischio c’è. Il suo nome è “monocoltura del turismo”.

Se è vero che quest’estate è stato raggiunto il record storico di 32 milioni di visitatori, superando la già eccezionale cifra di 30 milioni dell’anno scorso, questo amore per le spiagge dorate e il mare blu ellenici non è del tutto da festeggiare.

Il Pil nazionale dipende dal settore turistico per una percentuale ormai superiore al 20% (dato della fine del 2017, quello di quest’anno sarà superiore), mentre prima del 2010 era fra il 15 e il 17 per cento.

E la fetta di torta “vacanziera” sembra destinata ad aumentare, quando gli altri settori dell’economia sono naufragati durante gli anni di crisi, complice la svendita di gioielli di famiglia quali i cantieri navali, buona parte del porto del Pireo alla cinese Cosco, quello di Salonicco a un consorzio internazionale, ben 17 aeroporti regionali alla tedesca Fraport e, tanto per citare l’ultima cessione, il 66% di Desfa Sa, il gestore della rete di gas naturale, a un consorzio europeo. Difficile infatti per il cavallo dell’economia greca ripartire quando le redini sono in mano agli stranieri.

Ma torniamo al turismo: un settore che non offre garanzie sul lungo periodo. E più che mai soggetto a variabili imponderabili. Facciamo un esempio: ricordate le copertine di alcune irriguardose riviste tedesche che nel 2010 riproducevano la Venere di Milo con la mano tesa a chiedere elemosina o l’invito sarcastico “Vendete le isole e il Partenone”?

Episodi del genere non avevano certo predisposto i greci ad accogliere i vacanzieri teutonici col sorriso sulle labbra. E gli arrivi da Monaco e Berlino erano crollati, mentre quest’anno, anche grazie a una migliore intesa fra la cancelliera Merkel e il governo di Atene sul tema dei migranti, le famiglie tedesche sono tornate ad essere il primo mercato di riferimento per hotel e ristoranti dell’Egeo: il 13 % dei clienti esteri l’anno scorso, il 25% nell’estate 2018. Ecco un esempio di come il clima geopolitico influenzi il turismo.

Il fattore Airbnb

Ma c’è ben altro a rendere precario il boom dei ristoratori e albergatori ellenici. Intanto il fatto che al numero record di arrivi non corrisponda un analogo numero di pernottamenti negli hotel o nelle rooms for rent.

Dove sono finiti gli allegri turisti che sbarcano negli aeroporti di Atene o direttamente a Santorini o Mykonos? Il buco nero si chiama Airbnb, la piattaforma telematica che permette ai greci di affittare le loro case per periodi più o meno brevi a più clienti consecutivi, a tutto scapito degli alberghi e del fisco nazionale.

Un bilocale in una cittadina sul mare può costare su Airnb 15-20 euro a notte, contro il triplo di un hotel di media categoria. Inutile dire che sono milioni i greci che si sono iscritti alla piattaforma, mettendo a reddito seconde case (i più fortunati che non le hanno ancora svendute) o comprando e ristrutturando catapecchie con gli ultimi risparmi al fine di affittarle. Quanto al fisco ellenico, da fine agosto tutti saranno obbligati a dichiarare i ricavi dagli affitti “telematici” all’Agenzia delle entrate, pena multe salate.

Tralasciamo poi il fatto che i lavoratori in campo turistico sono soprattutto giovani pagati in nero o comunque a salari irrisori, in un paese dove la disoccupazione ufficiale è ancora al 20%. E dove i “filetti” di lusso sono sempre più comprati da ricchi investitori arabi o russi: ad aprire la strada è stata la privatizzazione nel 2016 del mitico resort “Vouliagmeni” sulla costa attica, 25 km a sud di Atene, dove in passato soggiornavano armatori, star di Hollywood, politici di tutto il mondo, ora in mano a un consorzio di magnati turchi e degli Emirati arabi.

Turismo e geopolitica

Ma a rendere volatile l’industria delle vacanze, e quindi anche i magri compensi dei camerieri locali, c’è soprattutto la geopolitica. Non tanto le tensioni passeggere per gli sgarbi dei giornali tedeschi sulla Grecia in difficoltà. A far paura c’è il Sultano Erdoğan, o meglio la Turchia come concorrente storica di Atene nell’attirare i vacanzieri. L’attuale crollo della lira turca ha già fatto suonare il campanello di allarme: “A causa degli ultimi sviluppi economici, il prodotto turistico dei nostri vicini turchi – che era già più economico rispetto ad altre destinazioni mediterranee – diventa ancora più competitivo” ha dichiarato Grigoris Tasios, presidente della Federazione panellenica albergatori. “Proprio ora, quando ad agosto cominciano le prenotazioni dei tour operator inglesi per il 2019 e a ruota quelle tedesche in autunno”.

La riprova? Secondo il ministero del Turismo di Ankara, nel primo semestre del 2018 gli arrivi dall’estero rispetto agli ultimi anni erano già aumentati di un terzo, con un totale di 16 milioni di visitatori stranieri evidentemente non spaventati dalla situazione politica della regione anatolica. Figuriamoci ora, con il crollo della lira.

Insomma, se il clima politico o finanziario cambia, milioni di turisti spostano le loro preferenze da un paese all’altro.

È quindi rischioso puntare tutto, o quasi, sulla roulette delle vacanze. Infine, secondo il settimanale satirico greco To pontiki, il pericolo maggiore viene dagli stessi greci: tornando da un soggiorno a Santorini o Rodi, non vi è mai capitato di sentirvi come mucche da mungere allo stremo? “Truffe, prezzi gonfiati: il fenomeno sta prendendo dimensioni preoccupanti – avverte To Pontiki – rischiamo che i nostri ospiti estivi si trasformino in eserciti di clienti insoddisfatti, che non solo se ne andranno, ma si trasformeranno in testimonial del loro scontento”. Forse la profezia del Topo (il nome del giornale “Pontiki” indica un simpatico roditore, che è anche il logo dell’editore) è esagerata.

Ma nella terra dei miti, dove anche la fine del periodo dei prestiti dell’Ue è stata celebrata dal premier Tsipras con un proclama fatto a Itaca, terra di Ulisse, come se l’Odissea greca fosse felicemente finita, anche le profezie di Cassandra, la sacerdotessa troiana che aveva previsto il crollo di Troia in mano agli Achei, ignorata profeta di sventure, vanno ascoltate. Fino a che si fa in tempo a correggere la rotta.

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