Grecia e COVID-19, nelle prigioni l’isolamento non basta
Il sovraffollato sistema carcerario in Grecia fornisce scarsa protezione ai detenuti dall’epidemia di coronavirus. Al momento nelle carceri elleniche non si segnalano casi, ma un intervento tardivo rischia di rivelarsi inutile e dannoso
Questo approfondimento è stato realizzato la collaborazione di Panagiotis Argyrou
La pandemia di COVID-19 ha costretto milioni di persone in tutto il mondo all’autoisolamento e alla quarantena; tuttavia, in tanti vivevano già in isolamento. Le persone detenute nelle prigioni greche sono tra coloro che devono ora affrontare la pandemia con accesso limitato o inesistente a mezzi di protezione, mentre le condizioni di vita nelle carceri sono sempre state igienicamente inadeguate. In questo caso, dicono gli esperti, uscire è probabilmente più efficace che restare dentro.
In base alle misure generali di lockdown, le autorità competenti hanno sospeso i congedi a breve termine (16 marzo) e le visite (19 marzo), predisponendo aree di quarantena nelle prigioni insieme ad altre misure di supporto.
Fino ad oggi, non ci sono casi confermati di detenuti infetti. Tuttavia il tanto atteso decongestionamento, richiesto sia dalle organizzazioni per i diritti umani e dei detenuti che dal personale carcerario, non è stata ancora attuato, nonostante si dica che il ministero pianifichi il rilascio di 1.500 persone.
Molti bisogni, poco ascolto
Le richieste dei detenuti di solito non arrivano sulle prime pagine della stampa locale. Sono quindi le reti politiche e attiviste a dare voce alle avversità della vita quotidiana in prigione. La pandemia di COVID-19 ha intensificato gli appelli dei detenuti per quanto riguarda la detenzione e aumentato le necessità di rifornimenti. "Se il coronavirus arriva qui, considerateci tutti spacciati", ha detto a OBCT Vangelis Stathopoulos, 41 anni, detenuto nella prigione di Larissa, nella Grecia centrale.
Attivatori immunitari e farmaci leggeri come il paracetamolo, nonché antisettici e persino prodotti per la pulizia e la cura dei pidocchi, sono estremamente necessari in questi giorni per le donne nel centro di detenzione per migranti a Petrou Ralli, Atene. Così ha dichiarato nel suo appello l’iniziativa Women’s House for Empowerment and Emancipation , sottolineando l’assoluta scarsità di rifornimenti. Con il progredire della pandemia, le persone nelle carceri in tutto il paese denunciano la mancanza di dispositivi di protezione contro il coronavirus, come maschere e guanti, nonché la mancata disinfezione nelle loro celle sovraffollate, ma sono ancora poco ascoltate.
Piccole proteste hanno avuto luogo in almeno 4 carceri greche. "Le persone probabilmente stanno aspettando l’implementazione delle misure di decongestionamento e sono anche t[]izzate (di essere infettate)", afferma Stathopoulos, nel tentativo di spiegare l’assenza di rivolte più accese nonostante la diffusa paura.
Nel penitenziario centrale di Korydallos ad Atene, il più grande del paese, detenute e detenuti hanno pubblicato lettere alle autorità chiedendo il decongestionamento, mentre le detenute una volta si sono rifiutate di entrare nelle proprie celle durante il blocco di mezzogiorno. Nel loro annuncio, hanno fatto notare che hanno paura di essere completamente abbandonate e hanno persino fatto appello alla neo-eletta presidente della Grecia, la giudice Katerina Sakellaropoulou, per un rilascio urgente: specialmente per chi sconta condanne brevi e per le donne malate, anziane, incinte e con figli.
Troppi e troppo stretti in troppo poco spazio
"Il decongestionamento sarebbe già dovuto avvenire molto prima della pandemia", afferma Petros Damianos, preside della scuola carceraria del centro di detenzione minorile di Avlona. Le condizioni di vita nelle carceri greche sono deplorevoli da anni, principalmente a causa della sovrappopolazione e delle cattive infrastrutture, con effetti comprovati sulla salute dei detenuti.
Damianos racconta a OBCT come i giovani detenuti di Avlona siano attualmente stretti come sardine a causa dei lavori di costruzione iniziati a settembre, che hanno costretto metà della popolazione dell’istituto carcerario a trasferirsi nelle celle degli altri detenuti. Nella prigione di Larissa, secondo Stathopoulos, un edificio con capacità di 450 persone ne ospita 788. "I mezzi di protezione per COVID-19 vengono acquistati a proprie spese, da chi se lo può permettere. Non tutti possono e non tutti sono in grado di seguire le regole sanitarie”, afferma Stathopoulos, sottolineando la presenza di gruppi vulnerabili in carcere con sistemi immunitari già deboli, come i tossicodipendenti.
Sebbene finora non siano stati confermati casi di COVID-19 nelle carceri, è stato già segnalato un impatto sulla salute mentale. Le scuole penitenziarie sono chiuse come deciso dal ministero dell’Istruzione, ma gli studenti nelle carceri non hanno l’opportunità di seguire corsi online come il resto della popolazione studentesca nel paese.
"Noi insegnanti siamo disponibili a fare lezione online", dice Damianos, e aggiunge: "Ho chiesto il permesso, almeno per gli studenti che hanno gli esami finali, di avere accesso al tutoraggio online utilizzando i computer della scuola. Anzi, igienicamente parlando questo sarebbe meglio che stare in cella, poiché l’aula è più spaziosa. Hanno bisogno della scuola non solo per avere le stesse opportunità di qualsiasi altro studente che compete per i posti all’università quest’anno, ma principalmente per motivi psicologici. Prima ci sono il contatto e la comunicazione, poi la conoscenza”, afferma il preside.
Il disagio psicologico non è causato solo dalla sensazione di essere intrappolati senza avere i mezzi per reagire alla pandemia, ma anche dalla preoccupazione per le persone all’esterno. È il caso delle madri detenute i cui figli sono spesso affidati ai nonni, che si preoccupano di cosa accadrà se chi si prende cura di loro si ammala, come sottolineano le detenute.
Il divieto di congedo e visita dell’inizio di marzo è stato fra le prime misure adottate per prevenire la diffusione di COVID-19, ma secondo chi monitora la situazione nelle prigioni (come questa fonte ) non sono state prese contromisure per compensare i detenuti per questa privazione. "Non solo ha colpito le persone a livello emotivo", afferma Stathopoulos, "ma sembra anche inutile, in quanto vi sono ancora persone che entrano nell’edificio, come le guardie carcerarie". Damianos osserva che nella prigione in cui lavora a tutti viene misurata la temperatura prima di entrare; tuttavia, vista l’alta incidenza di casi asintomatici, questo potrebbe significare poco.
In attesa di rilascio
Con una popolazione totale di oltre 11mila detenuti, la Grecia ha precedenti di condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Secondo il rapporto annuale della CEDU per il 2019 , la Grecia ha commesso ripetute violazioni nel corso degli anni, in particolare in relazione all’articolo 3 e alle sue disposizioni contro trattamenti o pene disumani o degradanti. Detto questo, le preoccupazioni dei detenuti sulla capacità del sistema di affrontare la pandemia sembrano fondate.
Dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) all’Ordine ellenico degli avvocati penali , le organizzazioni europee e greche concordano sul fatto che il decongestionamento sarebbe una misura essenziale per combattere la pandemia. Tuttavia, la decisione di rilasciare 1.500 persone non sembra sufficiente e rimane comunque inattuata.
"Le prime misure adottate sono rimaste anche le uniche ad oggi", dice a OBCT Yorgos Kakarnias, un avvocato che ha rappresentato detenuti che hanno fatto appello alla CEDU contro lo Stato greco per le condizioni delle carceri. “A causa della pressione proveniente dai detenuti, ma non solo, il ministero ha detto ai media che avrebbe liberato 1.500 persone, ma il rilascio del 10% dei detenuti non cambierà radicalmente la situazione. Si diceva che il ministero avrebbe aspettato i casi di COVID-19 nelle carceri prima di ordinare il rilascio. Se così fosse, sarebbe una scelta sbagliata”, aggiunge. Vangelis Stathopoulos sottolinea inoltre che il rilascio di 1.500 persone “significherebbe una media di circa 40 persone in ciascuna prigione. Ciò non farebbe alcuna reale differenza".
Nonostante l’emergenza permanente e numerosi tentativi del governo nel corso degli anni, la popolazione carceraria non è mai scesa sotto i 10.000, che è la capacità delle carceri greche secondo il ministero della Giustizia. "La CEDU ha una giurisprudenza permanente sul trattamento disumano e degradante nelle carceri greche, a causa di sovraffollamento, cattive condizioni di salute e sicurezza, mancanza di cure mediche adeguate, riscaldamento e aria condizionata, ecc. Questa situazione amplifica l’esposizione dei detenuti alla pandemia", conclude l’avvocato.