Grecia: campi profughi affollati e isolati
Benché se ne parli meno, oltre centomila migranti e rifugiati sono ancora presenti in Grecia. Molti di loro vivono per lunghi periodi in centri di prima accoglienza, che però si trovano in aree remote e scarsamente servite
“L’Europa non sta vivendo più la crisi migratoria del 2015, ma i problemi strutturali persistono”, ha dichiarato lo scorso marzo Frans Timmermans, allora vicepresidente esecutivo della Commissione europea. Stando all’Ue quindi, la crisi migratoria sarebbe passata. Il numero dei richiedenti asilo in Europa è crollato e le nuove politiche dell’Unione europea hanno arrestato gli spostamenti di migranti privi di documenti. Per ribadire le proprie posizioni, la Commissione europea ha stilato un documento per smascherare miti e leggende legate al fenomeno migratorio.
Certo, la crisi dei migranti non fa più parlare così tanto di sé come nel 2015 e nel 2016, ma ciò non significa che tutto sia stato risolto. Il problema persiste nelle periferie italiane o greche, dove migliaia di persone sono bloccate nei centri di prima accoglienza.
Vivere nei campi profughi in Grecia
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) sostiene che nell’ultimo anno l’afflusso di richiedenti asilo in Grecia (il principale punto di ingresso nell’Unione europea) è aumentato rispetto all’anno precedente. I numeri non possono essere comparati con il picco registrato nel 2015, ma è certo che le isole dell’Egeo orientale sono sopraffatte dall’emergenza. Per ormai diversi anni la Grecia non è stata in grado di gestire in maniera efficiente la crisi migratoria. "Lo dirò in maniera chiara: solleverò la questione delle sanzioni per quelle nazioni europee che si rifiutano di partecipare a un’equa redistribuzione dei rifugiati", ha detto il neo primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis.
Sempre stando all’UNHCR, in Grecia ci sono circa 109mila tra rifugiati e migranti. 70.200 di loro vivono nel continente in campi profughi, appartamenti e hotel, mentre 38.800 si trovano sulle isole, in condizioni precarie. OBC Transeuropa ha raccolto e analizzato i dati sui migranti e rifugiati che vivono nei campi greci ed è entrato in contatto con il governo locale, organizzazioni internazionali, Ong e con la Commissione europea.
Prima di passare alle analisi è però importante capire cos’è un campo profughi: secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, “un campo per rifugiati è una sistemazione provvisoria per le persone che sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni a causa di violenze o persecuzioni. Questi campi vengono costruiti nel corso di una crisi che colpisce esseri umani in fuga per salvare la propria vita. Si tratta di insediamenti costruiti in tutta fretta per garantire sicurezza e protezione immediata”. I primi campi profughi in Grecia sono stati messi in piedi nel 2015, benché il paese avesse già altri centri di accoglienza. Nel corso degli anni diversi campi sono stati chiusi e poi riaperti.
Secondo uno studio dello scorso novembre rilasciato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM), allo stato attuale in Grecia i campi di prima accoglienza operativi sono trenta. Uno di questi (nei pressi di Corinto) funziona da centro di transito. In totale in questi campi sono ospitati 23.248 tra migranti e rifugiati (includendo quelli ufficialmente registrati, i non registrati e i visitatori). Più nello specifico, ci sono 5.012 unità di accoglienza con una capacità di 25.333 posti. In totale, l’area coperta è di 1.287.991 metri quadrati e la maggior parte delle persone vive nella regione dell’Attica (7.308), della Macedonia centrale (6.486) e della Grecia centrale (2.710).
Centri di accoglienza di lunga durata?
La maggior parte dei campi greci sono costituiti da unità abitative minime (costituite da container), mentre altri sono stati ricavati in edifici. Dopo il boom della crisi migratoria del 2015, i container hanno gradualmente rimpiazzato le tende. “Ovviamente queste sistemazioni non sono ideali per il clima, anche se per fortuna viviamo in un paese dove le condizioni meteorologiche non sono così male. Nonostante ciò, abbiamo sempre ribadito che questi centri sono temporanei e quindi anche l’ospitalità deve essere temporanea”, ci ha detto Manos Logothetis (segretario aggiunto per la prima accoglienza al ministero per la Protezione dei cittadini) criticando l’operato del precedente governo.
Nel 2018, un rapporto pubblicato dall’UNHCR assieme ad altre organizzazioni aveva fornito informazioni dettagliate sulle strutture nate per identificare e registrare i migranti (Open Reception Facilities e Reception & Identification Centers, altrimenti conosciuti come hotspots). A quel tempo, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati le riteneva strutture pensate per assicurare accoglienza temporanea a rifugiati e migranti. Nel luglio 2019, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) descriveva però quelle strutture come campi di accoglienza per lunghi periodi.
IOM Grecia, in collaborazione con la Commissione europea e altri partner come il Danish Refugee Council, l’Arbeiter Samariter Bund e l’UNICEF, assicura servizi di supporto e di gestione dei centri. Abbiamo chiesto a IOM Grecia se questi siti, nelle condizioni in cui si trovano, con container ubicati a svariati chilometri da ospedali e servizi pubblici, potrebbero davvero diventare delle strutture di accoglienza a lungo termine. L’organizzazione ha preferito non dare una risposta, dicendo che il loro compito è solo di supporto e che la domanda andrebbe rivolta al ministero per la Protezione dei cittadini.
Il segretario aggiunto Manos Logothetis ci ha risposto sostenendo che l’espressione “lungo termine” non si riferisce al tempo di accoglienza di un singolo individuo, ma a quanto un sito può essere mantenuto operativo in maniera funzionale. Stando a quanto ha affermato, il termine è stato usato per la prima volta dal governo precedente in occasione dell’implementazione di un nuovo programma di integrazione per migranti e profughi (HELIOS, Integration Support for Beneficiaries of International Protection). “Il nostro Paese non può assicurare una rete di permanenza per centomila persone, come succede ora. Bisognerebbe pensare a un sistema di accoglienza per numeri minori, ma con strutture migliori”, ha sottolineato l’esponente del governo.
Abbiamo poi chiesto alla Commissione europea un’opinione sulla situazione dei campi greci e sul loro carattere di lungo periodo. Uno dei portavoce ci ha risposto dicendo che la Commissione di Bruxelles sta ancora analizzando le misure prese dal nuovo governo di Atene.
Il problema della distanza
Molti campi si trovano in aree remote, come in vecchie zone industriali o ex basi militari distanti molti chilometri dai centri urbani. Altri sono invece ubicati in prossimità di città o paesi. Dei trenta campi esistenti, 23 hanno accesso al trasporto pubblico (treni e bus), mentre i sette restanti sono tagliati fuori (nello specifico, i siti di Volos, Andravida, Grevena, Oinofyta, Ritsona, Serres e Thiva). Abbiamo chiesto all’IOM se e quanto frequente è il servizio di bus per questi ultimi campi; il portavoce ci ha risposto dicendo che varia da sito a sito.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni però assicura che in caso di emergenza i trasporti verso strutture mediche o altri servizi sono assicurati dallo staff del centro. Oltre a ciò, in ogni campo sono disponibili informazioni di prima necessità tradotte in tutte le lingue parlate nella struttura e gli ospiti ricevono sessioni di formazione in cui vengono istruiti su come agire in caso di necessità. Allo stesso tempo, negli alloggi per i minori è presente staff specializzato 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana.
L’Organizzazione non governativa greca SolidarityNow lavora in 14 campi profughi nel nord e nel centro del paese. Offre servizi psico-sociali, assistenza legale, servizi ricreativi per bambini, donne e famiglie. “Costruire un campo profughi in aree remote, lontane dai centri cittadini, senza accesso ai servizi è problematico. È direttamente collegato alla logica del ‘lontano dal mio cortile’, adottata dalle autorità. Ovviamente, questi campi dovrebbero essere vicini al tessuto urbano, per garantire agli ospiti accesso ai vari servizi sociali, come le scuole, gli ospedali, i centri amministrativi”, ha detto a OBC Transeuropa Lefteris Papagiannakis, responsabile per l’advocacy, le policy e la ricerca di SolidarityNow. Le principali preoccupazioni dell’organizzazione riguardano la carenza dei servizi di base nei campi, la distanza dai centri urbani e la mancanza di trasporti pubblici.
Non è ideale tenere queste persone lontane dai centri urbani per lunghi periodi in aree in precarie condizioni, sottolinea UNCHR Grecia. Costretti a limitate attività, i rifugiati sono esposti a maggiore stress, che a sua volta causa maggiori difficoltà nella capacità di integrazione e della creazione di autostima. A livello globale un campo profughi, secondo le politiche dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, dovrebbe essere un centro di accoglienza temporaneo ed eccezionale pensato per chi è stato costretto ad abbandonare la propria casa. “Queste strutture dovrebbero facilitare l’identificazione dei bisogni specifici delle persone ospitate e assicurare che questi bisogni vengano soddisfatti. Tuttavia, i campi risultano un compromesso e pongono dei limiti ai diritti e alle libertà dei rifugiati e alle loro possibilità di prendere decisioni importanti per le loro vite”, ribadisce l’UNHCR.
OBC Transeuropa ha calcolato i chilometri e le ore necessarie per i trasferimenti dai campi profughi verso le città e i villaggi nei dintorni. In particolare, è stata misurata la distanza tra ciascun centro e la città più vicina con almeno un ospedale. Dall’analisi risulta che sedici campi distano oltre dieci chilometri dall’ospedale più vicino, mentre solo cinque distano meno di cinque chilometri. Altri centri urbani offrono assistenza sanitaria, ma si tratta di strutture con servizi limitati e sprovvisti di specifiche attrezzature mediche.