Grecia, aspettando l’Eurogruppo

Dopo il dossier migranti, ecco di nuovo il tema della crisi finanziaria ellenica a tenere banco. Oggi riunione dell’Eurogruppo ad Amsterdam per fare il punto sul programma di aggiustamento economico della Grecia

22/04/2016, Francesco De Palo -

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Alexis Tsipras (wikimedia )

Dieci giorni fa gli emissari dei creditori internazionali ad Atene (la “troika” Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Unione Europea) dopo due giorni e due notti di serrate trattative, hanno lasciato la capitale ellenica senza un punto di contatto con il governo Tsipras (che sull’argomento ha avuto una conversazione telefonica con la cancelliera Angela Merkel). Lamentano le mancate riforme dell’esecutivo e dati e previsioni che non soddisfano. Un cliché già visto per tutto lo scorso anno, quando l’allora ministro delle Finanze Yanis Varoufakis si opponeva alle richieste del collega tedesco Schauble e del numero uno dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. Ma la novità, rispetto ad uno scenario già noto, risiede nella posizione espressa dal Fmi che non crede affatto, considerate le riforme che Tsipras annuncia di realizzare in un contesto di piena recessione, ai conti fatti dalla Commissione Ue: ovvero arrivare al 2018 con un avanzo primario dei conti pari al 3,5 per cento del Pil.

Scenari

Il Pil quindi scende e lo si scorge quotidianamente in ogni settore produttivo del paese. Lo scorso dicembre il fatturato industriale greco ha subìto un crollo significativo, pari al 13,5%. E i consumi? Scesi, del 4%. E la disoccupazione? Risalita a oltre il 24%. Per cui – è la vulgata che sta circolando con insistenza, non solo a Berlino – questa Grecia non potrà riuscire a raggiungere un avanzo di bilancio del 3,5% così come previsto dal memorandum. Dove la troika chiede nuove misure, tra cui l’iva al 24%, il governo si oppone ad una nuova austerity, chiedendo che non ci siano nuovi provvedimenti di tagli alla spesa e nuove imposte oltre quelli previsti negli accordi già presi in passato. Ma nel frattempo lo stallo non consente il pagamento della prossima tranche di prestiti di salvataggio a favore di Atene.

Piano B

E’ la ragione per cui i creditori internazionali, spaventati dal prossimo referendum sul possibile Brexit (l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea) a cui sarebbe deleterio sommare una nuova crisi greca, pensano ad un piano alternativo che consenta ad Atene di ottenere l’ennesima tranche di prestiti, ma allo stesso tempo blindi le garanzie chieste da Bce, Ue e Fmi. Il tutto potrebbe sbloccarsi solo se prima le riforme saranno messe in cassaforte da Tsipras. Solo allora ci potrà essere un Eurogruppo risolutivo che dia il via libera al prestito, ma al momento restano differenze significative tra le due parti.

Secondo fonti diplomatiche gli istituti di credito che detengono il debito greco chiedono misure per tre miliardi di euro da far approvare nell’aula di Atene prima del 2018. In sostanza questo significa che la troika non intende fare alcun passo indietro sul pacchetto di misure in quanto crede che, in caso di obiettivi non raggiunti, le conseguenze sarebbero maggiori di un aggravio di interessi o di un semplice ritardo nei pagamenti. Altro scoglio tra Bruxelles e Atene sta nel dossier pensioni: il disegno di legge dell’esecutivo Tsipras è considerato dai creditori troppo timido rispetto a quanto sottoscritto nel memorandum del 2015.

Una eventuale scaletta di priorità per sbloccare l’impasse vedrebbe quindi prima un accordo sul pacchetto di misure chiave (pensioni, assicurazioni, frequenze tv, privatizzazioni, nuovo erario/agenzia delle entrate), in seguito una discussione sul debito. Solo a quel punto Atene si vedrebbe erogata la tranche dei prestiti. In sostanza questo significa che i margini appaiono ancora più stretti per la parte greca, dopo che le casse dello Stato sono vicine al rosso.

Privatizzazioni

Un altro fronte che non sta offrendo i frutti preventivati è quello delle privatizzazioni. Nel memorandum siglato da Tsipras lo scorso settembre era stato stimato di ottenere 50 miliardi dalle utilities pubbliche, ma ad oggi siamo appena a 15 e non sembra che la cifra prospettata possa essere raggiunta (anche se si attendono notizie sulle ferrovie di Treinose e sul porto di Salonicco). La prima conseguenza sarebbe un necessario riequilibrio dei conti in entrata, con i tagli già citati e gli aumenti su carburanti e alcool.

Sino a questo momento la parte da leone l’ha recitata Cosco Cina, che ha privatizzato il porto del Pireo. Si tratta di una delle maggiori società di logistica del pianeta, con 174 navi porta-container operanti in 162 porti di 49 paesi, che al Pireo utilizzava già il 30% dei moli containers. Il Pireo è il più grande porto della Grecia e uno dei più importanti del Mediterraneo orientale, meno dei grandi porti del nord Europa, ma rispetto a questi molto più alla portata dei container cinesi, attraverso il Canale di Suez. Inoltre la Grecia è vicina a mercati emergenti come quelli della Turchia, dell’Europa orientale e dei Balcani. L’investimento complessivo cinese (tra cash e ricadute infrastrutturali sul territorio) ammonta a più di 5 miliardi. Secondo un prima valutazione, si otterranno 4 miliardi in termini di produzione entro il 2025 se gli effetti moltiplicatori saranno in linea con le previsioni.

Tensione in aula

La situazione in seno all’esecutivo resta comunque critica. La maggioranza composta da Syriza e Anel dispone di 153 seggi, due in più di quelli richiesti per ottenere l’approvazione delle riforme. In più va sottolineato che, in questi primi quattro mesi dell’anno, l’opposizione conservatrice di Nea Dimokratia (Nuova Democrazia) ha scalato i sondaggi rispetto a Tsipras distanziandolo di 2/3 punti anche grazie al nuovo leader, il 47enne liberale Kyriakos Mitsotakis che non ha mancato di effettuare alcuni viaggi a Bruxelles e Berlino per accreditarsi con Ue e Cancelleria tedesca.

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