Governo bosniaco rimandato a settembre
A quasi un anno dalle elezioni, la Bosnia Erzegovina ancora non riesce a formare il nuovo governo. I partiti serbi di maggioranza SNSD e SDS, insieme a quelli a maggioranza croata HDZ e HDZ 1990, rifiutano il candidato proposto dalla presidenza, Slavko Kukić, vicino al partito socialdemocratico. Il labirinto di Dayton e i rischi di un nuovo intervento della comunità internazionale
Per gli amanti delle statistiche e dei record, c’è un strana gara in corso tra Belgio, Cambogia e Bosnia Erzegovina: quanto tempo può passare prima che un Paese riesca a formare il governo dopo una tornata elettorale? Il Belgio è il nuovo detentore del record: un anno e un mese, ma ancora non c’è soluzione alla crisi. Il record precedentemente era detenuto dalla Cambogia con 353 giorni. La Bosnia, a questo punto dovrebbe essere in terza posizione, con circa 280 giorni dalle elezioni, avendo superato l’Iraq, fermo a quota 249. Ma le possibilità per farcela, purtroppo, ci sono e l’assetto costituzionale della Bosnia Erzegovina costituisce un vantaggio di non poco conto in questa gara all’ingovernabilità. Una torrida estate è iniziata e di certo questo non aiuterà a raffreddare i bollenti spiriti dei politici bosniaci, e dar loro la serenità d’animo per sedersi attorno ad un tavolo e negoziare.
Il presidente di mamma e papà
Slavko Kukić, distinto professore dell’università di Mostar, a metà giugno è stato incaricato dalla Presidenza tripartita di procedere alla formazione del Consiglio dei ministri e di cercare di ottenere la fiducia da parte della Camera dei Rappresentanti. Slavko Kukić, di etnia croata, ma proveniente dall’area politica del partito socialdemocratico (SDP) di Lagumdžija, si è presentato di fronte alla Camera dei Rappresentanti il 29 giugno, ma non è riuscito ad ottenere la maggioranza necessaria. Kukić, al primo turno, deve infatti ottenere il sostegno di almeno un terzo dei parlamentari eletti in ciascuna entità. Contro Kukić hanno però votato sia il partito socialdemocratico indipendente di Milorad Dodik (SNSD) che il partito democratico serbo (SDS), che hanno formato una coalizione a livello statale, per cui è venuto meno il supporto dei parlamentari della Republika Srpska. Domani, 14 luglio, è prevista un’altra votazione, ma i numeri chiaramente non ci sono e l’esito appare più che scontato. Come disse Dodik, “Kukić può fare il presidente di mamma e papà, ma di nessun altro”.
Per fare un governo, ci vuole un fiore…
Quest’ultimo sviluppo a livello statale appare semplicemente la conseguenza della crisi nata nella Federazione. La costituzione della Bosnia Erzegovina, infatti, favorisce le paralisi istituzionali e richiede un alto grado di consenso tra i partiti prima che si possa giungere alla formazione di un esecutivo. Formare il governo in Bosnia è come la vecchia canzone per bambini “per fare un albero ci vuole un seme, per fare un seme ci vuole un frutto…”, un domino istituzionale. Per formare il Consiglio dei Ministri, la presidenza tripartita affida l’incarico ad un mandatario che deve ottenere sia una maggioranza nella Camera dei Rappresentanti dell’Assemblea Parlamentare della Bosnia, sia avere il supporto di almeno un terzo dei parlamentari eletti in ciascuna entità. Ma in genere non si procede alla formazione del Consiglio dei Ministri fino a che entrambe le camere a livello statale non siano costituite. Affinché entrambi i rami del parlamento si costituiscano, sia l’Assemblea Nazionale della RS che la Camera dei Popoli della Federazione devono procedere all’elezione dei loro delegati al parlamento statale. Ma, a sua volta, la Camera dei Popoli della Federazione non può formarsi fino a che tutte le dieci Assemblee Cantonali non si siano costituite e a loro volta non abbiano eletto i delegati alla Camera dei Popoli della Federazione. Praticamente, è come se in Italia, la formazione di un nuovo governo dipendesse dalla costituzione di tutti i consigli provinciali…
Blocchi contrapposti
La crisi politica vede contrapposti i partiti della cosiddetta “piattaforma” (SDP, SDA, HSP e NSRzB) e i partiti a maggioranza croata, HDZ 1990 e HDZ BIH, e serba, SDS e SNSD, che fanno blocco tra di loro in una sorta di coalizione serbo-croata. Un accordo prevede che il prossimo presidente del Consiglio dei Ministri sia un croato, dato che in precedenza era toccato ad un serbo e ad un bosgnacco. Ma cosa significa questo di preciso? Qui si ripropone il dilemma istituzionale che ha già causato aspre polemiche a partire dall’elezione, e ri-elezione, di Željko Komšić. Significa che il futuro presidente del Consiglio dei Ministri debba identificarsi con l’etnia croata, a prescindere dal partito di appartenenza, oppure significa che deve provenire da un partito i cui votanti sono a maggioranza croati?
Nel primo caso, Kukić soddisfa questi requisiti, dato che è un croato dell’SDP (i cui votanti però sono a larga maggioranza bosgnacchi), nel secondo caso invece Kukić è un candidato non rappresentativo (“può fare il presidente di mamma e papà”) dato che non viene da un partito i cui votanti sono soprattutto croati. Essenzialmente è questa la ragione del contendere e dell’impasse istituzionale.
Al momento, negoziati veri e propri non ce ne sono, dato che i partiti sono trincerati sulle loro posizioni. Si ripropone quella situazione di blocco istituzionale che si era già creata a primavera, quando lo scontro tra i partiti della “piattaforma” e gli HDZ era stato risolto da una forzatura istituzionale dell’SDP e SDA che avevano convocato la Camera dei Popoli della Federazione senza che ve ne fossero le condizioni legali. A quel tempo il ricorso degli HDZ alla Commissione Elettorale Centrale aveva avuto successo, e la Commissione Elettorale aveva annullato i procedimenti. Ma allora l’Ufficio dell’Alto Rappresentate era intervenuto sospendendo sine die le decisioni della Commissione Elettorale, e giustificando il suo intervento con la necessità di evitare confusione istituzionale e di votare la necessaria legge di bilancio della Federazione. Il discusso, e discutibile, intervento dell’Alto Rappresentante ha fatto infuriare i partiti croati e ha lasciato un’ombra sulla legittimità del governo della Federazione. Lascia perplessi il fatto che l’intervento dell’Alto Rappresentante sia avvenuto dopo una campagna di lobbying da parte dell’SDP, il partito di Lagumdžija. I partiti croati non hanno ancora digerito l’intervento, e continuano a richiedere l’annullamento della formazione del governo federale e un rimescolamento della carte. La disputa ha esacerbato la situazione tra i piattaformisti e il blocco serbo-croato, portando allo stallo a livello statale.
Che fare?
E ora che si fa? SDS e SNSD sono in guardia e fanno blocco con HDZ 1990 e HDZ BIH. Nel frattempo, Lagumdžija e l’SDP sembrano aver ripreso a fare shopping presso le ambasciate. L’Alto Rappresentante ha detto chiaramente che la comunità internazionale non interverrà nel processo di formazione del Consiglio dei Ministri ma, a dir il vero, la comunità internazionale aveva rilasciato simili dichiarazioni anche in occasione della crisi nella Federazione. Gli ambasciatori e i direttori politici del Peace Implementation Council (PIC), che sovrintende all’applicazione degli Accordi di Dayton, hanno concluso la sessione estiva del proprio comitato esecutivo. La sessione non ha portato sorprese, ma l’unico messaggio chiaro che ne è scaturito ha appunto fatto riferimento all’urgenza di formare il governo senza ulteriori indugi. Mladen Ivanić, leader del PDP, uno dei (pochi) partiti d’opposizione nella Republika Srpska, è stato chiaro… Il governo si formerà dopo l’estate, al momento non ci sono le condizioni né c’è il necessario clima di dialogo. Insomma, tutti rimandati a settembre: il record del Belgio sta già vacillando.