Gli armeni e le origini della stampa in Iran
La comunità armena di Isfahan introdusse l’invenzione di Gutenberg in Iran già all’inizio del XVII secolo, anche grazie alla libertà di cui godeva nell’Iran safavide
A Isfahan, proprio di fronte all’entrata della cattedrale armena del San Salvatore, che gli iraniani chiamano Vank – con una parola armena che significa ‘monastero’ – si trova la statua di un uomo incappucciato, che tiene in mano un piccolo oggetto. Il visitatore distratto non presta attenzione al monumento, e a quella piccola cosa fra le dita, indecifrabile in un primo momento: un carattere mobile di quelli che si usavano per la stampa. Eppure, la statua e l’oggetto in questione nascondono una grande storia. Una storia che parla del notevole contributo dato dagli armeni, una popolazione cristiana, alla fioritura dell’Iran safavide (1501-1722). Ma anche una storia di tolleranza, e della fiducia che alcuni sovrani di quella dinastia, i safavidi appunto, riponevano nei loro sudditi cristiani.
Il nome dell’uomo immortalato dal monumento è Khachatur Kesaratsi (1590-1646), vescovo della Chiesa apostolica armena di Nuova Giulfa, al tempo sobborgo di Isfahan, oggi riassorbito dall’espansione della città. Il suo nome è legato a uno degli eventi più sorprendenti della storia del tempo: la nascita della stampa in Iran.
La storia di Khachatur
Siamo negli anni trenta del seicento, e Nuova Giulfa è sorta solo da pochi decenni, in seguito alla deportazione di armeni ordinata dal sovrano safavide Abbas I (1557-1629): un evento doloroso, che aveva portato molti a dover lasciare per sempre la loro terra, distrutta a causa del perdurante conflitto fra ottomani e safavidi. Molti di loro morirono durante l’estenuante marcia che dalla valle dell’Arasse e dalla piana del monte Ararat li condurrà fino a Isfahan, altri per le malattie che ne seguirono. Ma quello di Abbas il Grande, a differenza dei suoi emuli novecenteschi, non era un progetto di morte.
In pochi anni, grazie anche al sostegno della corona savafide, quegli stessi armeni poterono infatti costruire le loro chiese e le loro scuole, e creare a partire da Nuova Giulfa una rete di commerci assai florida, che dall’Atlantico giungeva fino all’Oceano Indiano. Seta e spezie, pietre preziose e stoffe venivano venduti dagli armeni di Nuova Giulfa in ogni parte del mondo, a vantaggio non solo loro, ma anche della dinastia safavide che in loro riponeva grande fiducia. Una tolleranza e una libertà impensabili, in quello stesso periodo, in un’Europa insanguinata da feroci conflitti religiosi.
In questo contesto di rinascita, denso di luci e d’ombre, ha luogo la parabola umana e spirituale di Khachatur. Il suo non fu il primo tentativo di diffondere la prodigiosa invenzione di Gutenberg in terra d’Iran. Già prima di lui, nel 1628, i carmelitani Domenico di Cristo e Matteo della Croce avevano portato – da Aleppo a Baghdad, e poi ancora a est fino a Isfahan, sul dorso di un cammello – una stampa a caratteri mobili, con l’intenzione di utilizzarla per stampare libri in lingua persiana a fini di proselitismo.
Tuttavia, due aspetti fondamentali differenziano le esperienze di Khachatur e dei frati carmelitani, pur accomunate da un medesimo intento missionario. In primo luogo, mentre nessuna traccia storica ci rimane di un lavoro portato a termine da Domenico e Matteo o dai loro fratelli, di un effettivo utilizzo della stampa in questione, ben altra sorte e diffusione riguarda il lavoro compiuto pochi anni dopo dal vescovo armeno.
1638, i Salmi di Davide
Così, del 1638 è la stampa dei Salmi di Davide in lingua armena, che risultano così curiosamente il primo volume dato alle stampe nella storia dell’Iran. Del 1641, invece, è un testo agiografico di 705 pagine sulle vite dei Padri della Chiesa armena. A seguire, altri tre volumi stampati con mezzi assolutamente autarchici contribuiranno a rendere imperitura la fama del vescovo Khachatur.
E in ciò risiede la seconda e più importante differenza fra l’impresa dei carmelitani e quella del vescovo armeno: mentre la stampa dei primi fu semplicemente importata in Iran, quella di Khachatur fu per intero prodotta in loco. Ogni parte di essa, infatti, dai caratteri mobili alle matrici, finanche alla carta e all’inchiostro fu prodotta a Nuova Giulfa con grandi difficoltà – e un’inventiva fuori dal comune – dal vescovo e dai suoi collaboratori.
Ma dove aveva appreso l’arte della stampa Khachatur? Se non mancarono – come dimostrato dallo storico Sebouh David Aslanian, vera autorità in materia – contatti fra gli armeni e il loro vescovo e i carmelitani a Isfahan, ancor più importanti furono i viaggi compiuti da Khachatur in Europa. In particolare, si ricorda una missione diplomatica del vescovo a Leopoli, in Polonia (oggi nell’Ucraina occidentale), dove gli armeni avevano iniziato a stampare volumi nella loro lingua già a partire dal 1618.
Gutenberg e gli armeni
Assai precoce era stato, infatti, l’interesse degli armeni europei nei confronti dell’arte di Gutenberg. In essa scorsero subito, in una prospettiva assai lungimirante, un ottimo mezzo per preservare la loro lingua e cultura, nonché la loro identità religiosa. E così fra il 1512 e il 1513 a Venezia , in una tipografia non identificata, Hakob detto ‘il Peccatore’ aveva dato alle stampe una serie di volumi in armeno che risultano, a dispetto della lontananza dall’Oriente, i primi nella storia in questa lingua.
A Nuova Giulfa, l’impresa del vescovo Khachatur proseguì, per volontà diretta del maestro, grazie all’opera del discepolo Hovannes Jughayetsi. Questi, mandato dal vescovo in Europa nel 1639 al fine di perfezionare l’arte della stampa, riuscì a proseguire l’impresa di Khachatur al suo ritorno in Iran, nel 1646. Un altro vescovo, infine, Stepanos Jughayetsi, si impegnò a riutilizzare l’ormai vecchia stampa, negli anni ottanta del seicento.
Dopo una lunga interruzione, la stampa di Nuova Giulfa ritornò in vita nel 1863, quando un ricco mercante armeno residente a Giacarta, nelle allora Indie Orientali olandesi, decise di donare alla chiesa della sua cittadina di origine una moderna macchina per la stampa.
Tale tradizione prosegue ancora oggi. E così, grazie alla tipografia tuttora in funzione, i circa diecimila armeni che vivono a Nuova Giulfa portano avanti con coraggio l’opera del vescovo Khachatur. Nel contesto di un Medio Oriente dove i cristiani (e non solo) sono spesso vittime di persecuzioni e rappresaglie, non è cosa da poco.