Gli albanesi e la nazionale: nel calcio il cambiamento

Il calcio estero spopola da anni, quello italiano è "di casa" fin dagli anni ’80. Ma in Albania qualcosa sta cambiando e sempre più attenzione viene riservata anche al calcio locale. Partendo dalla nazionale, ancora in corsa per la Coppa del Mondo in Brasile

03/10/2013, Nicola Pedrazzi - Tirana

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Campetto a Tirana - foto di Nicola Pedrazzi

A torto o a ragione che sia, gli italiani all’estero si sentono ambasciatori dello “sport più bello del mondo”. Una presunzione che tende ad accentuarsi in Albania, un paese abituato a dare del «noi» agli «azzurri» e a fare propri i colori dei grandi club d’oltre Adriatico.

Il tifoso italiano trova nel passeggio della domenica tiranese il miglior antidoto alla nostalgia di casa: di bar in bar, di megaschermo in megaschermo egli potrà acquisire una panoramica esaustiva degli accadimenti della Serie A, lusingato dall’importanza attribuita al proprio calcio nazionale. In realtà, le ragioni dell’affezione del pubblico albanese al calcio italiano esulano dalle presunte qualità del medesimo; piuttosto affondano le radici nello storico legame televisivo instauratosi con l’Italia dagli anni Ottanta, quando le frequenze Rai [già presenti sin dagli anni Sessanta] e Mediaset divennero la quotidiana finestra sul mondo di un paese tragicamente chiuso.

Un calcio minore?

Se le nuove generazioni continuano a consumare calcio estero – magari adottando squadre inglesi o tedesche piuttosto che italiane – è altrettanto vero che il tele-tifo a distanza degli albanesi potrebbe avere le ore contate, poiché un altro calcio si sta lentamente guadagnando l’attenzione delle masse: il calcio albanese.

Alla passione per lo spettacolo – che, per ragioni economiche, fino ad oggi è stato importato via tv – corrisponde infatti in Albania un’autentica passione per il gioco giocato: la cosiddetta “tradizione”. Qualsiasi straniero che si sia preso il rischio di accettare la sfida in uno dei campetti fantasiosamente ritagliati nell’architettura del passato regime – la quale ancora ottunde la vita dei principali centri urbani – avrà infatti avuto modo di saggiare l’alto livello tecnico ed agonistico dell’amatore shqiptar. Allo stesso modo, chiunque abbia visto le strade della capitale alla vigilia di una partita della nazionale si sarà persuaso circa il margine di futuro di cui dispone questo calcio minore.

Saudade

Nel corso delle qualificazioni ai Mondiali del Brasile, la nuova nazionale assemblata da Gianni De Biasi (italiano, ex allenatore di Torino e Udinese) ha restituito ad un intero paese la capacità di sognare sotto la propria bandiera. Per tutta l’estate l’Albania si è crogiolata al sole del secondo posto del girone E, sognando la prima qualificazione mondiale a soli quattro punti dalla Svizzera capolista.

Il 7 giugno scorso, allo Stadio Qemal Stafa di Tirana – trasformatosi per l’occasione in un’autentica bolgia rosso-nera – è andata in scena una sfida singolare, un confronto tra due realtà sportive appartenenti a due antipodici pianeti economici: da un lato la Norvegia, la cui metà della popolazione appartiene a federazioni sportive e dove tre bambini su quattro praticano regolarmente attività agonistica; dall’altro l’Albania, dove, similmente a quanto avvenuto in sud America, la maggior parte dei ragazzi si forma in strada: Ali Mema, uno delle più grandi figure della storia del calcio albanese, giocatore e allenatore del mitico 17 Nëntori, ricorda così la sua formazione professionale: "La mia carriera da calciatore ha avuto inizio in tenera età, nelle strade di Tirana… La maggior parte dei calciatori che ho allenato li ho scoperti mentre giocavano nei quartieri, nelle scuole o nei campi da calcio come quello dietro all’hotel Dajti…".

Ciò detto, in campo il Pil pro capite smette di essere un parametro scientifico: solo un gol fortunoso a tre minuti dalla fine ha salvato la Norvegia da una sconfitta che avrebbe meritato. Purtroppo, a seguito di due sconfitte consecutive consumatesi in Slovenia e Islanda a inizio settembre, l’Albania sembra però aver compromesso la propria qualificazione; ma c’è chi spera nelle ultime due partite per ribaltare una classifica che dal punto di vista matematico rimane aperta a qualsiasi esito.

Una nazionale ritrovata

Sull’onda dei successi di una nazionale ritrovata, il governo Rama, insediatosi nel segno del rinnovamento, ha la grande occasione di utilizzare lo sport, pluricitato nel programma elettorale dei Socialisti, come leva di consenso politico. Ma al di là della propaganda, la politica albanese avrebbe il dovere di farsi carico seriamente di una situazione infrastrutturale che non è all’altezza della tradizione sportiva che l’Albania sarebbe in grado di esprimere.

Sono infatti proprio i limiti infrastrutturali a spingere i più validi calciatori albanesi a cercar fortuna in altri paesi e talvolta ad indossare la maglia di altre nazionali – una scelta sicuramente legittima, ma che in patria viene vissuta come un vero e proprio tradimento. Di fatto, dei ventisei convocati da De Biasi all’ultima partita solo quattro giocano nel campionato albanese. Cinque giocano invece in Italia, tra cui il portiere Samir Ujkani (Palermo), il capitano Lorik Cana (Lazio) e il talentuoso centrocampista Migjen Basha (Torino). Per quanto riguarda gli albanesi naturalizzati emblematico è il caso della nazionale Svizzera, la quale annovera tra le sue fila ben cinque calciatori di origine albanese – tra cui Xherdan Shaqiri, a segno un anno fa proprio contro l’Albania, ma, come promesso, senza esultare.

Bivio

Il calcio albanese pare oggi a un bivio: se, supportato dalle politiche più che sfruttato dalla politica, saprà saldare il recente seguito avuto dalla nazionale a quello dei club autoctoni – fatto che, come dimostrano i recenti successi europei del KS Skënderbeu e del FK Kukësi, probabilmente sta già avvenendo – ovvero se saprà creare le infrastrutture atte alla formazione dei suoi giovani, questo potrà effettuare il salto di qualità che merita: diverrà un calcio “europeo”.

In caso contrario, la situazione rimarrà quella descritta dal c.t. De Biasi al momento del suo insediamento: "Avevo chiesto un archivio dei calciatori albanesi sparsi nel mondo, beh… lo sto ancora aspettando. Così con il mio staff abbiamo scandagliato internet ed è venuto fuori che a Kalmar (Svezia), in un villaggio sperduto di pescatori, giocava Etrit Berisha, un portiere classe 1989 di cui sentirete parlare presto anche in Italia [oggi è il secondo portiere della Lazio]. Ne avrei anche un altro di Berisha: Besart, un buon attaccante di 27 anni che gioca in Australia, ma per ora non me la sento di convocarlo per poi, magari, tenerlo in panchina dopo il viaggio che si dovrebbe sorbire".

In conclusione, stando alla regola secondo cui il calcio riproduce sul campo le caratteristiche e le sfide dell’intera società cui appartiene, il calcio e la società albanese sono chiamati a spezzare lo stesso circolo vizioso che il avviluppa: solo quando l’Albania smetterà di esportare tutti i suoi giocatori gli albanesi smetteranno di importare tutte le loro “fedi”. Un calcio albanese è possibile, la nuova nazionale lo ha dimostrato. Spetta agli albanesi spegnere le tv satellitari e dargli fiato e gambe.

 

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Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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