Giustizia in Kosovo: una battaglia non combattuta

Un forte senso di frustrazione accumulatosi in questi 8 anni di amministrazione internazionale. E’ quello che provano molti albanesi kosovari per l’impunità di chi, durante il conflitto, si è reso colpevole di gravi crimini. La seconda puntata di un reportage-inchiesta della nostra corrispondente

08/05/2007, Alma Lama -

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La giustizia è ancora lontana

Ejup Reka e Jakup Berisha hanno cercato giustizia attraverso tutti i mezzi e le istituzioni oggi esistenti in Kosovo, ma senza risultati. Nella loro battaglia si sono rivolti, nel 2003, anche all’Ombudsperson del Kosovo. L’Ombudsperson ha scritto una prima volta al
rappresentate dell’ Unmik Michael Stajner il 9 dicembre 2003, per poi inviare un’altra missiva al suo successore, Harri Holkeri, il 4 maggio 2004. Questa seconda lettera porta il titolo "Ejup Reka contro il Procuratore della Regione di Pristina la polizia dell’Unmik."

In questa si legge:" Nella precedente comunicazione (quella spedita nel 2003) vi avevo fatto richiesta di ordinare alla polizia dell’Unmik di consegnare all’Ombudsperson i documenti relativi al caso, o di indicare dove sia possibile reperire e consultare questi documenti. Ad oggi non abbiamo ricevuto alcuna risposta." Ejup Reka protesta per la mancanza di qualsiasi progresso nelle indagini per assicurare i colpevoli dei crimini contro la sua famiglia alla giustizia. L’Ombudsperson ha chiesto collaborazione anche alle autorità serbe per poter arrivare all’arresto di criminali di guerra. Una copia della lettera è stata inviata al ministro della Giustizia serbo Zoran Stojkovic, ma anche in questo caso non c’è stata alcuna risposta.

L’Ombusperson attualmente in carica, Hilmi Jashari, sostiene che il ruolo dell’istituzione che rappresenta è profondamente cambiato dal periodo 2000-2006, quando aveva mandato di investigare sugli atti o sulle omissioni dell’ amministrazione internazionale, alla situazione attuale. Una nuovo regolamento, infatti, ha eliminato questo diritto, anche perché è stato deciso che l’Ombusdsperson sarà locale e non più internazionale.

Secondo Jashari, le istituzioni dell’ Unmik non sono state sufficientemente efficienti per quanto riguarda le indagini sui crimini di guerra. "Provate, però, a chiedere quanti procuratori sono stati rimossi per mancanza di risultati concreti nel loro lavoro", ci dice. La risposta, che viene direttamente dallo stesso Unmik, è "nessuno". La portavoce, Myriam Desseables si è limitata a commentare: "I casi di crimini di guerra sono estremamente difficili da seguire, soprattutto a causa della riluttanza da parte dei testimoni di recarsi in tribunale".
Ma, almeno nel caso delle famiglie Reka e Berisha, le cose non stanno così. Le loro testimonianze sono già state rese almeno una decina di volte, e i loro membri sono pronti, se necessario, a tornare ancora nelle aule di giustizia.

Raccolta di testimonianze

Behxhet Shala, direttore di KMLDNJ (Council for the Defence of Human Rights and Freedoms), una Ong creata nel 1989 che ha collaborato sia con il Tribunale della Aja che con il Dipartimento sui Crimini di Guerra dell’Unmik, ci ha detto: "Nonostante le molte prove portate alla luce, nessun serbo è stato condannato per crimini di guerra in Kosovo".

Secondo KMLDNJ la Procura dell’Unmik avrebbe avuto materiale sufficiente per arrestare molti dei colpevoli. "In molti casi la colpevolezza è stata provata", racconta Shala. KMLDNJ ha condotto circa 1800 interviste sulle persone scomparse in Kosovo. Nel 95% dei casi, i testimoni hanno descritto nei dettagli le persone responsabili, con tanto di nome e cognome.

KMLDNJ ha fatto denunce penali in tutte le procure regionali, consegnando anche i materiali raccolti. Fino ad ora, però, niente si è mosso, visto che i casi sono di competenza degli internazionali.

Behxhet Shala aggiunge inoltre che 870 interviste, da cui appaiono in modo chiaro le responsabilità di persone di nazionalità serba, sarebbero state raccolte dall’ OSCE. Shala sostiene che a loro è stato impedito di avere una copia di questi documenti, tramite una legge apposita. " I giudici dipendono dalla politica, che oggi si sforza di integrare i serbi nelle istituzioni del Kosovo", è la conclusione di Shala.

Le indagini dell’ Unmik

Thomson ci mostra i numeri sulle indagini condotte dalla polizia dell’Unmik negli otto anni seguiti al conflitto del 1999. Per i crimini di guerra è stato deciso di prendere in considerazione il periodo 5 marzo 1998 – 26 giugno 1999. Fino ad oggi sono stati investigati 288 casi, mentre le indagini relative ad altri 1500 sono in attesa di essere intraprese. "Continuiamo ancora oggi a raccogliere nuove prove ed informazioni", ci ha detto Thomson .

Di 288 casi, 105 sono stati archiviati per mancanza di prove, 43 sono risultati frutto di false testimonianze, 49 sono stati passati al tribunale dell’Aja. Diciassette casi hanno a che fare con persone scomparse, e sono passati al dipartimento che se ne occupa in modo specifico, 9 sono stati classificati come "semplici" omicidi, e quindi non classificabili come crimini di guerra. In quattro occasioni le stesse vittime hanno chiesto di chiudere le indagini, in tre casi non si è riusciti ad identificare il sospetto. Quattro casi, infine, sono in attesa di essere portati in aula.

Un’ efficacia così bassa nelle indagini sui crimini di guerra può essere spiegata, tra l’altro, con il fatto che i funzionari di polizia dell’Unmik sono inviati in Kosovo con missioni che durano sei mesi, e che possono essere eventualmente prolungate fino ad un anno. "La mia opinione personale è che questo periodo non sia sufficiente, perché le indagini sui crimini di guerra sono in genere molto complesse", sostiene Thomson. Alla domanda se sia mai esistita una volontà politica di non portare fino in fondo le indagini, il direttore dell’unità dell’Unmik che indaga sui crimini di guerra ha rifiutato di esprimere un commento, ma ha sostenuto che l’approccio delle forze di polizia Unmik a questo tipo di casi sia stato positivo. Sul fatto che alcuni sospetti si trovano attualmente in Serbia, Thomson ci ha spiegato che questo non è un roblema, visto che l’Unmik ha anche lì un dipartimento di giustizia.

L’Aja non basta

Sono sette i serbi accusati dal tribunale dell’Aja per crimini di guerra commessi in Kosovo: l’ex presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic, morto prima che si giungesse ad un verdetto, l’ex presidente serbo Milan Milutinovic, l’ex vicepremier serbo Nikola Sainovic, l’ex comandante in capo dell’esercito jugoslavo Dragoljub Ojdanic, l’ex comandante della terza armata jugoslava, responsabile per il Kosovo, Nebojsa Pavkovic, l’ex comandante del corpus jugoslavo a Pristina Vladimir Lazarevic, l’ex viceministro degli interni serbo Vlastimir Djordjevic e l’ex capo della polizia in Kosovo Sreten Lukic.
In campo albanese è stato inviato all’Aja Fatmir Limaj, un comandante dell’Uck della zona di Malisheva giudicato insieme a Isak Musliu e Haradin Balaj. Limaj e Musliu, alla fine, sono stati riconosciuti innocenti, mentre Balaj è stato condannato a 12 anni di reclusione. Attualmente, all’Aja è in corso il processo per crimini di guerra contro l’ex premier Ramush Haradinaj, già comandante dell’Uck nella zona di Dukagjini, insieme ad altri due imputati.

Carla del Ponte, ha recentemente dichiarato: "Non è certo un segreto che centinaia e migliaia di responsabili di crimini i di guerra non sono ancora stati ufficialmente accusati. Spesso le loro vittime li incontrano per strada, o li vedono occupare posizioni importanti nell’amministrazione dello stato. Il mio ufficio ha intenzione di trasferire ai tribunali locali le cartelle con tutti i dati raccolti durante le indagini che non siamo riusciti a portare a termine. Sarà quindi obbligo degli organi di giustizia dei vari paesi interessati reagire e interessarsi attivamente a questi casi. Questo processo comincerà l’anno prossimo, e sarà molto importante per la maturità dei tribunali locali".

* Questo reportage-inchiesta è stato realizzato con il sostegno della Danish Association of Investigative Journalism (This investigation was done with support from the Danish Association of Investigative Journalism)

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