Giovani nel sud-est Europa: persi nella transizione

Approccio conservatore, scarsa partecipazione politica, diffidenza per le istituzioni: un allarmante quadro sui giovani del sud-est Europa emerge da una recente ricerca della Friedrich Ebert Stiftung

21/10/2015, Anna Zanoni -

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(Di Dane Taleski e Bert Hoppe, Fondazione Friedrich Ebert Stiftung  – Qui il paper in lingua originale)

Tra il 2011 e il 2014, la fondazione Friedrich Ebert Stiftung ha intervistato un campione di giovani di età compresa tra i 14 e i 29 anni provenienti da Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Albania, Macedonia, Romania e Bulgaria. I risultati di questa indagine portano un messaggio inquietante per il futuro.

Infatti solo il 17% degli intervistati si è dichiarato soddisfatto dello stato della democrazia nel proprio paese, il 38% non è soddisfatto e il restante 45% si è dichiarato indifferente.

L’insoddisfazione si traduce in livelli molto bassi di fiducia da parte degli intervistati nei confronti delle attuali istituzioni: i partiti politici sono considerati i meno affidabili, e solo 1/5 del campione ha fiducia nel parlamento nazionale o nel governo.

Quasi il 70% dei ragazzi presi in considerazione nello studio ritiene che il proprio punto di vista ed i loro interessi non siano rappresentati dalla politica. Solo 1/4 degli intervistati crede che si possano influenzare le istituzioni politiche dei loro paesi: i giovani degli stati non-membri dell’Albania e del Kosovo sembrano essere i più fiduciosi, mentre quelli degli stati membri della Croazia e della Slovenia risultano essere scettici rispetto all’idea di avere una qualsiasi incidenza sulla vita politica, così come i loro coetanei in Bosnia Erzegovina.

Di conseguenza, una grande percentuale di giovani nell’Europa sudorientale è politicamente disimpegnata: solamente 1/4 dei giovani presi a campione dichiara di aver votato da quando ne ha ottenuto il diritto.

Diffidenza per le istituzioni

Sembra che, per essere socialmente attivi, i giovani scelgano percorsi differenti, nel volontariato o nella società civile. Le istituzioni politiche, dicono i ragazzi intervistati, sono al servizio degli interessi dell’élite, piuttosto che orientate al bene comune e al miglioramento dei servizi pubblici. E corruzione e clientelismo sono pratiche diffuse.

Una certa diffidenza si riscontra comunque anche nel campo delle istituzioni della società civile: in nessuno dei paesi vi è una maggioranza di intervistati che si fidi delle Ong. In generale, i giovani considerano più attendibili quelle istituzioni che svolgono una funzione di controllo, in particolare i media e la magistratura, piuttosto che quelle che svolgono una funzione esecutiva.

I ragazzi coinvolti nella ricerca affermano di riporre la propria fiducia nelle istituzioni religiose (Bosnia Erzegovina, Kosovo e Romania), nella polizia (Croazia), nella Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Bulgaria), nell’Unione Europea (Macedonia) e nelle istituzioni educative (Slovenia). Poco meno del 30% del campione mostra fiducia nei sindacati.

Disillusione, conservatorismo, emigrazione

Mentre i giovani che risiedono nei paesi candidati all’integrazione europea nutrono grandi aspettative nei confronti dell’Unione, principalmente collegate alle opportunità economiche ed alla libera circolazione, molti dei ragazzi intervistati che vivono negli stati già membri sono delusi dal fatto che sul versante del tenore di vita, dell’occupazione e dello sviluppo economico non vi siano stati i miglioramenti previsti con l’ingresso nell’UE. Ne è un esempio lampante la Croazia, dove cui la percentuale di fiducia nelle istituzioni europee è ferma al 28%. La situazione in Slovenia è ancora più allarmante: il 67% dei giovani intervistati considera che l’integrazione abbia avuto effetti negativi sull’economia, e il 66% ritiene che abbia esercitato un effetto negativo sulla politica. Il 45% pensa che la Slovenia debba abbandonare l’euro e l’UE.

In questo contesto emergono tendenze socialmente conservatrici: il 90% degli intervistati ritiene che l’appartenenza religiosa sia un fattore importante per la loro identità personale e, in generale, i giovani sembrano dare più importanza all’onore e all’individualismo che alla tolleranza verso la diversità e alla cooperazione.

La più evidente minaccia per il futuro del sud-est Europa è però la perdita di capitale umano. I risultati di questa indagine dimostrano che le intenzioni di emigrare sono elevate in molti dei paesi del sud-est Europa. I principali motivi per emigrare sono la volontà di migliorare il proprio tenore di vita, avere l’accesso a migliori possibilità di occupazione e ad una migliore educazione.

Potenziale di democratizzazione

Per valutare il potenziale contributo al processo di democratizzazione dei giovani sono stati selezionati dieci indicatori, che si riferiscono a valori, interessi politici, partecipazione attiva ed aspettative di emigrazione.

La sintesi della valutazione è che sono i giovani in Kosovo ad avere il più alto potenziale nel rafforzare il processo di democratizzazione in corso nel proprio paese, seguiti da quelli di Albania, Macedonia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Romania, Bulgaria e infine Slovenia.

Sembrerebbe che il potenziale di democratizzazione dei giovani sia più elevato quando le sfide per la democrazia sono maggiori: è vero ad esempio per Kosovo, Albania e Macedonia dove i giovani sembrano più disposti ad avere un coinvolgimento in politica rispetto a quelli in Bulgaria, Romania e Slovenia. Fa eccezione solo la Bosnia Erzegovina dove, nonostante l’alto tenore delle sfide, i giovani sembrano disillusi dal poter incidere significativamente nella vita politica.

Raccomandazioni

Gli autori dello studio realizzato dalla FES suggeriscono infine che, per spingere i giovani a rimanere ed investire sui propri paesi di origine, sarebbero necessarie innanzitutto nuove politiche relative al mercato del lavoro. In secondo luogo, dovrebbero essere riformate l’istruzione tecnica e professionale in modo tale che i futuri lavoratori possano reggere un confronto diretto con le esigenze del mercato, e dovrebbe essere valorizzata l’educazione civica. Infine viene suggerita una maggiore mobilità dei giovani nella regione dell’Europa sudorientale e nell’Unione Europea per superare le divisioni storiche esistenti e per sviluppare comprensione e apprezzamento nei confronti della diversità sociale.

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