Giovani dei Balcani: smarriti nella transizione

Un commento dai toni tristemente ironici del nostro corrispondente da Skopje sull’importante tema della disoccupazione giovanile nei Paesi balcanici, con particolare riferimento alla Macedonia

06/05/2005, Risto Karajkov - Skopje

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Una frase spesso ripetuta afferma che per un Paese è sufficiente perdere 50 dei suoi migliori esperti per mutilare il proprio potenziale scientifico per molto tempo.

La Serbia, secondo alcune stime moderate, dall’inizio degli anni ’90 ha perduto almeno 200.000 giovani, in possesso di un’istruzione universitaria. Il numero effettivo non è noto dal momento che nessuno sembra curarsene davvero. I giovani se ne vanno. Questa è la realtà dei cosiddetti Balcani occidentali, con la Croazia che se la cava leggermente meglio.

Le statistiche condotte nei Balcani mostrano ripetutamente che il 50-70% dei giovani lascerebbe il proprio Paese alla prima occasione. I motivi sono: scarsità di prospettive, povertà, disoccupazione.

Gli indici della disoccupazione giovanile nei Balcani non rientrano nelle agende politiche. Qualcuno ha mai sentito un politico parlare di questo? Perché dovrebbero farlo, quando ci sono così tante priorità? Dopo tutto, gli indici non sono così alti. In Macedonia per esempio, l’indice non è neanche il 70%. In Bosnia meno del 50%, o forse poco di più. Similmente in Serbia e Montenegro e Croazia, dove la percentuale va difficilmente sopra il 45%. Per il Kosovo i dati sono piuttosto contradditori, con alcune stime che lo pongono al pari della Macedonia, oltre il 70%. L’Albania è un po’ più bassa, meno del 30%.

Questi dati sono forse un po’ vaghi, ma la verità è che dati seri non esistono, dal momento che spesso non compaiono neppure nelle statistiche nazionali o sono raccolti in modo inconsistente. E ovviamente alcune volte ciò che riportano le statistiche nazionali semplicemente non è attendibile.

E questo è solo l’inizio. "Gli indici di disoccupazione sono solo la punta dell’iceberg in termini di una completa spiegazione del problema della disoccupazione tra la popolazione giovane" sostiene una recente pubblicazione dell’International Labor Organization (ILO). Perché gli indici di disoccupazione prendono in considerazione la gente che sta attivamente cercando lavoro. Mentre non considerano quelli che non sono mai entrati nella forza lavoro, o quelli che sono scoraggiati e hanno smesso di cercare lavoro, oppure quelli che lavorano nell’economia informale spesso in cattive condizioni e con scarse protezioni. E poi l’indice è pertinente solo alla definizione dell’ONU relativa ai giovani tra i 15 e i 24 anni. Le condizioni della depressione economica e la scarsità di prospettive nei Balcani, hanno prolungato il periodo di dipendenza dei giovani fino ad un’età di 30 anni e in alcuni casi anche fino ai 35. Molte organizzazioni, ora, cercano di lavorare con questa definizione alternativa di persone giovani.

I giovani sembrano essere molto più disoccupati degli adulti. Solitamente gli indici di disoccupazione giovanile sono 2-4 volte più alti di quelli generali. Globalmente, i giovani rappresentano ¼ di tutti gli impiegati ma almeno la metà di tutti i disoccupati.

Globalmente il problema riguarda la questione dello sviluppo che ha una gravità crescente. Un paio di anni fa il Segretario generale dell’ONU aveva formato un Panel di alto livello sull’occupazione giovanile, includendovi pure l’ex presidente della Banca Mondiale, James Wolfenson e il segretario generale dell’ILO, Juan Somavia. L’ONU adottò una risoluzione invitando i governi a produrre e implementare le strategie nazionali su questo tema. Quest’anno il rapporto annuale dell’ILO sarà centrato sull’occupazione.

Allo stesso modo nell’UE, alla luce della persistentemente alta disoccupazione e di indici in continua crescita, la disoccupazione giovanile è stata dichiarata una causa di apprensione. All’insegna della sua strategia occupazionale, l’UE obbliga gli stati membri a produrre dei piani di azione nazionali sull’occupazione che diano sempre una forte priorità alla popolazione giovane.

Come è possibile, allora, che i governi dei Balcani non la considerino una priorità? Un paio di anni fa l’Accademia per le scienze e le arti della Macedonia (MANU), che rappresenta il massimo think tank del Paese, causò un po’ di scompiglio nell’opinione pubblica includendo le migrazioni nella sua strategia per lo sviluppo. Questo, secondo loro, beneficerebbe l’economia grazie all’abbassamento degli indici di disoccupazione. In poche parole: va bene per un Paese se la sua gente lo abbandona.

Oltre ad essere una enorme perdita economica per i Paesi balcanici – attraverso il processo di migrazione, la disoccupazione giovanile è strettamente correlata alla inattività e alla emarginazione dalla società, alle attività illecite, all’instabilità politica e al radicalismo. Un recente rapporto della Banca Mondiale ha messo in luce gli aspetti di rischio politico e della sicurezza di un’alta percentuale di giovani, maschi, disoccupati, particolarmente in Bosnia e in Kosovo.

Allo stesso tempo la Francia dispone del cosiddetto "visto scientifico", la Germania ha la "computer green card" e 1/3 dei residenti temporanei negli USA sono ingegneri informatici. Il Canada li preferisce se sono sposati con figli e con un certo background vocazionale. Li accolgono senza problemi. Già istruiti. Ma è colpa loro?

I giovani affermano che i criminali guidano le migliori auto e dettano il corso della valuta. Il processo di transizione ha portato, tra le altre cose, ad una completa erosione morale. E’ fin troppo sotto gli occhi di tutti che il miglior modo per tenere il passo è essere una canaglia.

Dall’altra parte, è vero che la migrazione ha degli aspetti positivi per i paesi nativi dei migranti. Le rimesse dei migranti aiutano parecchio il PIL locale. Il successo economico di alcuni Paesi, come di recente l’Irlanda, è dovuto molto all’effettivo utilizzo della diaspora. Ma non sembra che i governi dei Balcani facciano grandi sforzi per andare in questa direzione. Come in ogni classica favola sull’opportunismo provinciale, le élite politiche locali non desiderano che lo zio ricco da fuori venga a dirgli come devono condurre il villaggio.

E’ esemplare un recente aneddoto riguardante la Macedonia. Uno degli emigrati che ha ottenuto più successo, Majk Zafirovski, fino a poco tempo fa il vice capo della Motorola, ed ora membro nel consiglio della Boeing, mentre era di passaggio nel Paese non è stato invitato dai funzionari macedoni ad alcun incontro. Contemporaneamente i funzionari USA a Skopje si sono rotti il collo per incontrarlo anche per soli 15 minuti. Per quanto possa essere semplice e colloquiale, questo esempio mostra chiaramente l’assenza di strategia e l’auto-centralità della nostra leadership politica.

Alcuni esperti argomentano che l’alta disoccupazione della popolazione giovane di per sé non è un male. I giovani si muovono fuori e dentro il lavoro, sperimentano, tornano a scuola e poi ritornano sul mercato del lavoro. È normale che il loro indice di disoccupazione sia alto. Essi sostengono che la disoccupazione su lungo periodo, oltre un anno, che si verifica precocemente nella vita dei giovani è pericolosa, con forti effetti sulla produttività, sulla capacità di integrazione sociale e sulle prospettive di una vita ragionevole.

Ma se rivediamo i numeri, è proprio questo l’indicatore che è comune alla disoccupazione giovanile nei Paesi balcanici; nella maggioranza dei casi si tratta di periodo lunghi e disoccupazione precoce.

Qualcuno potrebbe stamparsi questi dati, a guisa di sommario facile da capire, e portarli alla nostra leadership. Forse, molto semplicemente non li conoscono ancora.

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