Giornalisti scomodi

Fare giornalismo investigativo nei Balcani è sempre più difficile. Lo conferma il recente caso delle gravi accuse del presidente della Republika Srpska Milorad Dodik contro Dino Jahić, caporedattore del Centro per il giornalismo investigativo della Serbia

 

27/08/2018, Perica Gunjić - Belgrado

Giornalisti-scomodi

Dino Jahić

(Originariamente pubblicato da Cenzolovka , il 22 agosto 2018)

Durante una conferenza stampa tenutasi lo scorso 21 agosto, il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik ha accusato Dino Jahić , caporedattore del Centro per il giornalismo investigativo della Serbia (CINS), di essere alla guida di un “centro impegnato a rovesciare i governi dei paesi della regione con i soldi ricevuti da organizzazioni internazionali”.

Dodik ha letto il nome di Jahić da un foglio, rispondendo a una domanda, evidentemente concordata prima, su un’inchiesta sul patrimonio posseduto dai politici bosniaci, recentemente pubblicata dal Centro per il giornalismo investigativo (CIN) di Sarajevo .

Non è del tutto chiaro se Dodik abbia confuso CINS con CIN (dove Jahić ha lavorato fino a qualche anno fa, prima di trasferirsi a Belgrado) né perché abbia chiesto ai giornalisti presenti alla conferenza: “Vi dice qualcosa il nome di Dino Jahić?”. Per poi aggiungere: “A me dice molto”.

A fornire ulteriori precisazioni in merito ci ha pensato il portale Infosrpska, pubblicando un articolo dai toni denigratori, un vero e proprio invito al linciaggio, ripreso dall’agenzia di stampa SRNA, da tv Alternativa di Banja Luka e dal media più influente della Republika Srpska, la Radio televisione della RS .

Nell’articolo in questione vengono avanzate diverse accuse, molto gravi, contro Jahić e CINS, senza però fornire alcuna prova a sostegno di quanto affermato. Jahić è accusato di intrattenere contatti quotidiani con alcune “note organizzazioni occidentali come National Endowment for Democracy, Freedom House e Civil Liberties Union for Europe” e di aver ricevuto “finanziamenti dalla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita” per un valore complessivo di 38 milioni di dollari, formalmente destinati allo sviluppo del giornalismo investigativo nella regione, mentre in realtà, stando all’autore dell’articolo, verrebbero utilizzati per rovesciare il governo.

Parole quasi identiche a quelle pronunciate da Dodik durante la conferenza stampa di cui sopra.

Abbiamo interpellato Dino Jahić per un commento sulla vicenda.

Come commenta le affermazioni sul suo conto diffuse dai media bosniaci?

Sarebbe ottimo se avessi il potere di rovesciare regimi fascisti, cleptomani e corrotti, in qualsiasi parte del mondo. Ma se mi occupassi di cose del genere, non sarei un giornalista. E poi è ovvio che non dispongo di tale potere, né io né i miei colleghi di CINS, né nessun altro giornalista investigativo che conosco.

Quanto all’affermazione secondo cui sarei in possesso di ingenti risorse finanziarie, è una sciocchezza. Né io né i miei colleghi possediamo beni di grande valore, come appartamenti e automobili lussuose, né tanto meno possiamo permetterci viaggi costosi e lussi simili. A differenza della maggior parte delle persone su cui indaghiamo. Ed è probabilmente per questo che se la prendono con noi e orchestrano campagne come questa. E non mi riferisco solo a CINS, ma anche agli altri giornalisti investigativi in Serbia e in Bosnia Erzegovina.

Quali potrebbero essere le motivazioni alla base delle accuse lanciate nei suoi confronti?

Davvero non lo so. Sono rimasto piuttosto sorpreso dall’intera vicenda, soprattutto perché CINS si occupa di temi legati alla Serbia. Non so per quale motivo Dodik e i media bosniaci ci abbiano preso di mira.

Sarebbe ottimo se avessi 38 milioni di dollari. A me non sarebbe mai venuto in mente di collegare tutto in modo così irrazionale, per quanto potessi annoiarmi.

Sembra che qualcuno abbia fatto male i suoi compiti, oppure tutta questa confusione tra CINS e CIN è stata creata apposta, per ragioni che mi sono ignote.

Come commenta il fatto che i redattori e giornalisti di alcuni media bosniaci, compresa la Radio televisione della Republika Srpska, si siano lasciati andare ad attacchi così brutali nei confronti di un collega? L’hanno chiamata per sentire la sua versione dei fatti?

Nessuno mi ha contattato per chiedermi chiarimenti in merito alle affermazioni fatte sul mio conto. Per quanto mi riguarda quello non è giornalismo e coloro che scrivono articoli del genere non possono essere considerati giornalisti.

Pensa che l’inchiesta sullo stato patrimoniale dei politici bosniaci, recentemente pubblicata da CIN di Sarajevo, possa essere il motivo del brutale attacco nei suoi confronti, dato che in passato lei ha collaborato con CIN?

Ho lavorato per cinque anni nella redazione di CIN come giornalista e vice caporedattore, e anche se non faccio più parte del loro team apprezzo molto il loro lavoro, compreso il database del patrimonio dei politici.

Ho dato un’occhiata a questo database, e anche i miei ex colleghi di CIN mi hanno detto di aver scoperto che Dodik, dopo essere stato rieletto presidente della Republika Srpska nel 2014, aveva venduto due appartamenti a Belgrado, dove tuttora possiede una casa, situata in un quartiere di lusso, gravata da un’ipoteca.

Nel frattempo, sua figlia ha acquistato un appartamento a Banja Luka con più di cinque locali, anch’esso gravato da un mutuo ipotecario. Dodik e la sua famiglia inoltre possiedono diversi terreni, alcune aziende, un ristorante, ecc.

Può darsi che la pubblicazione di questo database abbia spinto Dodik a lanciare accuse contro di noi. I politici preferirebbero che nessuno facesse loro domande, che nessuno indagasse sui loro affari, sulla provenienza della loro ricchezza. Ma così non va bene.

Tra le accuse mosse nei suoi confronti vi è anche quella di essere al soldo di Soros e di addestrare gli studenti ungheresi che protestano contro il governo di Orbán…

Replico con lo stesso linguaggio: appena finisco con i pescatori islandesi e ceramisti greci, mi occuperò degli studenti ungheresi. Sciocchezze.

Nello stesso articolo si afferma che negli ultimi mesi CINS si è occupato soprattutto di Dodik e di Republika Srpska…

Nulla di quanto scritto in quell’articolo è vero, tranne il mio nome. Sono ormai anni che CINS non si occupa di Dodik né di quanto accade in Republika Srpska, e anche quando ce ne siamo occupati lo abbiamo fatto nell’ambito di alcuni progetti di collaborazione con CIN di Sarajevo. Di politici su cui indagare ne abbiamo già a sufficienza in Serbia. Tuttavia, abbiamo indagato sugli affari di alcune persone vicine a Dodik, come Emir Kusturica, che però non c’entravano niente con la Republika Srpska, bensì con la Serbia.

Come commenta il fatto che alcuni politici e persino colleghi giornalisti interpretino le inchieste sugli affari e sui beni dei più alti funzionari statali, condotte da diversi centri per il giornalismo investigativo (tra cui CIN, KRIK, CINS, BIRN), come un attacco allo stato? Non è proprio questo uno dei principali compiti del giornalismo investigativo?

Molti politici balcanici hanno fatto proprio il motto “lo stato sono io”, usando il culto della personalità come scudo protettivo. Ma per fortuna ci sono ancora giornalisti investigativi che cercano di mettere a nudo questo modus operandi.

Il lavoro di un giornalista non consiste nel porre domande prestabilite, essere reggi-microfono e pubblicare testi propagandistici, bensì nel servire l’interesse pubblico e costringere chi sta al potere ad assumersi le proprie responsabilità.

Come ha vissuto tutto questo? Come hanno reagito i suoi amici e la sua famiglia alle affermazioni apparse sulla stampa secondo cui lei disporrebbe di svariati milioni di dollari?

Per quanto un giornalista possa abituarsi a subire attacchi, offese e umiliazioni da parte dei politici, non può mai restarne indifferente. Ho saputo della conferenza di Dodik da mio padre. Stavo andando a una riunione quando mi ha chiamato dicendomi: “Dodik ha appena fatto il tuo nome alla televisione”. Incredibile.

È stato uno shock per la mia famiglia, molto più grande che per me. Questo è probabilmente l’obiettivo: intimidire me e i miei colleghi e costringerci a rallentare la nostra attività investigativa. Ovviamente non abbiamo alcuna intenzione di cedere alle pressioni. Non bisogna però dimenticare che questo non è un caso isolato. Basta guardare come i politici serbi si comportano con i giornalisti.

Quanto è pericoloso continuare a svolgere l’attività investigativa quando si è bersagliati da simili accuse, che i sostenitori di Dodik potrebbero ritenere vere?

È molto pericoloso, perché alle accuse spesso fanno seguito minacce e offese sui social network, e questo sta già accadendo. Basta poco affinché una minaccia si trasformi in un’aggressione fisica. Guardate cosa è successo al collega Dragan Bursa, che è diventato bersaglio di una campagna denigratoria sui social network ed è praticamente costretto ad andarsene via dalla Bosnia Erzegovina.

Ma queste cose succedono ovunque nel mondo. I giornalisti prima vengono accusati di essere nemici dello stato, poi si passa a minacce e pressioni, che non di rado sfociano in aggressioni fisiche o persino omicidi.

Come intendete rispondere a queste false accuse?

Lasceremo che se ne occupino i nostri avvocati.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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