Giornalisti e guerra: siriani e bosniaci a confronto
“Le esperienze della Bosnia Erzegovina ci sono molto preziose”, così commentano i giornalisti siriani che hanno partecipato ad un recente scambio di pratiche con i colleghi bosniaci
“Il contributo giornalistico alla riconciliazione, alla costruzione della pace e alla tolleranza”, è il titolo di un training che si è tenuto alla fine del mese di settembre a Sarajevo a cui hanno partecipato un gruppo di giornalisti provenienti dai territori sotto il controllo dell’opposizione in Siria. L’iniziativa è stata organizzata dall’International Media Support di Copenaghen e dall’Associazione dei giornalisti della Bosnia Erzegovina.
I giornalisti siriani hanno avuto l’occasione di scambiare esperienze con i colleghi della Bosnia Erzegovina sul fare informazione durante la guerra e nel dopoguerra, sul preservare la professionalità giornalistica in circostanze difficili, su dubbi e questioni di carattere etico e deontologico, e sulla politica dei media nel dopoguerra.
I giornalisti siriani hanno dimostrato particolare interesse sul tema della creazione di nuove testate, sulla normativa vigente in Bosnia Erzegovina relativamente al settore dei media e sullo sviluppo dei media nel periodo del dopoguerra.
Enes Osmančević, del Consiglio per la stampa in Bosnia Erzegovina e Asja Rokša Zubčević, dell’Agenzia di regolamentazione delle comunicazioni (RAK), hanno descritto la nascita delle due istituzioni di cui fanno parte e la loro importanza per il paese nel dopoguerra. Non è stato facile creare il RAK e il Consiglio per la stampa in Bosnia Erzegovina, ma è stato indispensabile per creare integrazione in uno spazio mediatico uscito dalla guerra fortemente diviso, per rafforzare gli standard professionali e per stabilire le regole di autoregolamentazione e regolamentazione per i media.
“L’essenza del Consiglio per la stampa in Bosnia Erzegovina verte sulla promozione della professionalità e sull’autoregolamentazione invece della punizione, e questo dà dei buoni risultati. Affrontiamo costantemente nuove sfide e problemi, e per questo il Consiglio si adegua e modifica il Codice della stampa”, ha sottolineato Osmančević. I giornalisti siriani hanno sottolineato che queste istituzioni saranno indispensabili anche in Siria quando ci saranno le condizioni per poterlo fare, e le esperienze della Bosnia Erzegovina saranno loro di grande utilità.
Visita alle redazioni
I giornalisti siriani hanno poi visitato le redazioni di Radio1 BH, del quotidiano Oslobođenje e del settimanale Dani. I rappresentanti di Radio1 BH hanno presentato le loro esperienze e hanno raccontato degli inizi della loro carriera, sottolineando l’importanza di mantenere sempre saldi i propri principi etici.
“In questi media lavorano e hanno lavorato molti giornalisti che durante la guerra, e anche nel dopoguerra, hanno fatto informazione in modo responsabile e professionale. Per tutti gli anni passati alla radio non ho nulla di cui vergognarmi. Oltre ai numerosi problemi che incontriamo, l’obiettivo principale è rimanere dei media professionali e obiettivi”, ha dichiarato Senada Ćumurović, la prima direttrice di Radio1 BH.
Presso la redazione di Oslobođenje, durante una conversazione con Vildana Selimbegović, caporedattrice del quotidiano di Sarajevo, i giornalisti sono venuti a conoscenza della lunga tradizione di questo giornale, ma anche di tutti i problemi che ha affrontato durante e dopo la guerra. I giornalisti siriani hanno sottolineato che le esperienze che hanno sentito dai colleghi di Oslobođenje e della Radio 1 sono molto importanti e sperano in future collaborazioni.
Mostar
Durante il training, i giornalisti siriani hanno visitato anche Mostar, città che rimane ancora divisa etnicamente e hanno parlato con i giornalisti di questa città al Club dei giornalisti di Mostar. I giornalisti siriani hanno sottolineato che la situazione e la divisione della Bosnia Erzegovina ricorda loro molto la situazione in Siria.
“Quello che voi avete adesso in Bosnia noi lo avremo domani in Siria. Perciò è molto importante che impariamo dalla vostra esperienza, dalla vostra situazione – ha dichiarato Siruan Hadsch Hossein, giornalista di Arta FM Radio, del nord-est della Siria – a noi è chiaro che qua la guerra è finita 20 anni fa, ciononostante non avete la pace che desiderate avere.
“Noi, siriani, non abbiamo mai voluto la guerra. La guerra è stata importata in Siria da fuori. Il radicalismo è stato importato in Siria da fuori. Tutto quello che vedete oggi in Siria non è un prodotto siriano, ma arriva dall’esterno: dall’Europa, dall’America, dalla Russia, dal mondo arabo”, ha aggiunto Hossein.
I giornalisti siriani hanno poi sottolineato l’importanza dei media indipendenti nel loro paese, nati cinque anni fa. Il giornalista Mazen Yassouf ha sottolineato che esistono collaborazioni fra i giornalisti in Siria e quelli che vivono nei paesi vicini e in Europa. “Il giornalismo indipendente in Siria negli ultimi cinque anni si è sviluppato molto. Oggi, svolge un lavoro che è della stessa intensità di quello dei media del regime, il che significa che sono diventanti abbastanza forti per essere in grado di svolgere il loro ruolo, che è del tutto necessario”, ha dichiarato Yassouf.
Faruk Kajtaz, presidente del Club dei giornalisti di Mostar, ha specificato che i giornalisti in Bosnia Erzegovina incontrano molti problemi ma che pian piano la situazione sta migliorando: “La guerra ha lasciato conseguenze catastrofiche. Invece, passo dopo passo, la situazione sta migliorando. Non è l’ideale ma sembra che ormai abbiamo imparato a convivere con tutti i nostri problemi e le nostre differenze”. “Nel Club dei giornalisti di Mostar l’appartenenza nazionale non è importante e questo è la normalità per i giornalisti che vi arrivano”, ha sottolineato Kajtaz.
Giustizia di transizione, affrontare il passato e crimini di guerra
I giornalisti siriani hanno ascoltato con attenzione le lezioni sulla giustizia di transizione, sull’affrontare il passato e sulla produzione di quei media che si occupano di crimini di guerra.
Goran Šimić, esperto in giustizia transizionale e docente della Facoltà di legge a Sarajevo, ha detto ai giornalisti di non aspettarsi un’immediata giustizia dopo la fine della guerra in Siria, ricordando che le vittime della guerra avranno voce in pubblico soltanto attraverso i media e le ONG.
“A Srebrenica durante il genocidio erano presenti circa 25.000 militari e poliziotti, e per il genocidio sono stati condannati soltanto in 60. Gli altri sono persone che a volte ricoprono ancora ruoli importanti nella nostra società. Persone come Biljana Plavšić sono state condannate a pene minime, scontate in condizioni da albergo. La giustizia di transizione è necessaria ma non può soddisfare la giustizia. Le vittime rimangono sempre marginalizzate. Per questo è necessario che la società civile e i media diano voce alle vittime e chiedano giustizia per loro”, ha detto Šimić.
Dragana Erjavec, redattrice di BIRN, ha parlato invece della documentazione dei crimini di guerra in Bosnia Erzegovina. Ha sottolineato che le vittime di violenze sono spesso omesse dalla giustizia di transizione, che la loro voce si sente raramente in pubblico e che per questo motivo i media hanno un ruolo fondamentale nell’aiutare queste persone e nel farle accogliere nella società.
Šimić ha aggiunto che le vittime non devono ricordare i crimini per poi un giorno vendicarsi e in questo modo continuare il circolo della violenza, ma devono ricordare per fare in modo che tutto questo non capiti più.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto