Giornalisti e crimini di guerra

La Procura di Belgrado apre le indagini su alcuni giornalisti sospettati di incitamento alla guerra e all’odio con i loro articoli scritti nel 1991. In Croazia se ne parla appena, ma i casi non mancano

30/06/2009, Drago Hedl - Osijek

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La notizia che la Procura di Belgrado per i crimini di guerra sta conducendo delle indagini su alcuni giornalisti sospettati di aver incitato alla guerra e di aver diffuso odio con i loro articoli nel 1991, alla vigilia della dissoluzione della Jugoslavia e nel sanguinoso conflitto che ne è velocemente seguito, non ha suscitato particolare interesse in Croazia. Ma queste dichiarazioni non sono arrivate da voci ufficiali di Zagabria, e tutto si è ridotto ad alcuni commenti giornalistici che fanno notare come anche in Croazia ci siano dei giornalisti che, per fatti risalenti al periodo della guerra del 1991, potrebbero trovarsi al centro di simili indagini.

A differenza del Ruanda, dove il Tribunale dell’Aja ha processato anche i giornalisti per istigazione al genocidio e propaganda di guerra, nel caso dei conflitti in ex Jugoslavia non ci sono stati simili processi. Tuttavia, le procure nazionali non si sono affatto occupate di questo problema fino a quando la questione non è stata sollevata in Serbia.

"Non possiamo dire che ciò non sia avvenuto anche in Croazia. Fino a poco tempo fa si diceva che un soldato croato, dal momento che il suo paese ha condotto una guerra difensiva, non poteva aver commesso un crimine, ma poi i verdetti hanno dimostrato che non era così. Per questo sarebbe importante investigare sul ruolo dei giornalisti che, con i loro articoli, hanno fatto sì che questa guerra fosse più brutale e sanguinosa", afferma Luko Brailo, vicepresidente dell’Associazione dei giornalisti croati.

Vesna Tančica, procuratrice della sezione speciale per i crimini di guerra della Procura della Bosnia Erzegovina, all’incontro tenutosi a Sarajevo la scorsa settimana, in cui si è affrontato questo tema per capire come poter sollevare il capo d’accusa, fa notare la necessità di affermare un legame diretto tra qualche articolo giornalistico e le conseguenze da lui provocate. Ma tali esempi non ci sono.

Nel settembre 1991, il settimanale zagabrese "Slobodni tjednik" aveva pubblicato un articolo su un ufficiale della JNA (Esercito popolare jugoslavo, che al tempo era il corpo militare di tutte le repubbliche della Federazione), Stjepan Vičević, accusandolo di aver guidato le forze militari che, dai paesi in rivolta attorno ad Osijek, nella Croazia orientale, hanno bombardato la città. Ma Stjepan Vičević, al tempo della pubblicazione dell’articolo, si trovava già in una prigione militare in Serbia, condannato a due anni e due mesi per collaborazione con la parte croata.

Vičević, di nazionalità croata come molti altri ufficiali della JNA, voleva unirsi alle forze militari della Croazia nate in seguito alla proclamazione d’indipendenza del giugno 1991. Il servizio d’Informazione JNA, dopo aver scoperto i suoi contatti, l’ha arrestato, e così è stato accusato e condannato.

Il giornalista di "Slobodni tjednik", settimanale che al tempo era molto influente in Croazia, ma che sfortunatamente è noto per la propaganda di guerra e incitamento all’odio, aveva presentato Vičević come traditore della nazione. Esposto a forti pressioni da parte di vicini e conoscenti, il padre di Vičević, dopo la pubblicazione dell’articolo dello "Slobodni tjednik", non potendo sopportare tale vergogna, si è tolto la vita nella propria abitazione. Un testo giornalistico, quindi, è stato causa diretta della morte di qualcuno.

Come giornalista di "Slobodna Dalmacija", al tempo ho scritto di questo caso. In seguito Vičević, nello scambio di prigionieri tra la Croazia e la parte restante dell’allora Jugoslavia, è ritornato in Croazia e si è unito alle forze armate. Non è stato un traditore della nazione, tutt’altro: si è schierato dalla parte del popolo e a causa della sua volontà di passare dalla JNA alla parte croata, è stato condannato e imprigionato nel carcere militare di Niš, in Serbia.

Nessuno ha risposto della morte di suo padre. Nel frattempo "Slobodni tjednik" ha chiuso i battenti, e il giornalista che ha scritto l’articolo su di lui, con lo pseudonimo di Zvonimir Hrpka, tutt’oggi continua la sua professione come redattore di un quotidiano di proprietà di una grande impresa statale. L’esempio citato dello "Slobodni tjednik", forse, è il più drastico, ma non è certo l’unico caso di articolo che ha avuto conseguenze tragiche. Questo giornale ha pubblicato l’intera lista di "traditori della nazione" e di "nemici della Croazia", indicando dove lavoravano e dove vivevano. Molte delle persone di questa lista, per timore della loro incolumità, hanno lasciato il paese. Ad alcuni di loro è accaduto il peggio.

Al tempo di questi avvenimenti, alcuni di quelli che ancora oggi sono stimati giornalisti, hanno detto pubblicamente di essere pronti anche a mentire per la Croazia. Queste loro dichiarazioni vengono accolte come espressione di alto patriottismo e sono state la formula vincente per un veloce avanzamento di carriera. In tali condizioni, anche se è evidente che commettono un crimine, non c’è stata la volontà di prendere posizione.

Oggi, a distanza di 18 anni, dato che è trascorso molto tempo ma molti crimini di guerra non sono ancora stati processati, e probabilmente mai lo saranno, le indagini su quanto hanno fatto i giornalisti e la ricerca dei legami causa-effetto tra i loro articoli e le loro vittime, a molti sembrano una lotta contro i mulini a vento.

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