Georgia, tempo di riforma del lavoro

Il governo di Saakashvili per sostenere gli investimenti aveva ridotto al minimo i diritti dei lavoratori. Con l’arrivo del nuovo governo e a seguito di un’ondata di scioperi si è avviato in Georgia un intenso dibattito sulla riforma del diritto del lavoro nel paese

07/03/2013, Tengiz Ablotia - Tbilisi

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Un cantiere in Georgia (USACE Europe district/flickr)

Dopo il cambio di governo dell’ottobre 2012, il primo grande cambiamento nella politica interna georgiana è stato l’arrivo di un’ondata di scioperi. Minatori, operai della grande industria, tassisti, conducenti di mezzi pubblici, lavoratori portuali, ferrovieri e dipendenti delle piccole imprese: tutti in sciopero. Alle radici di questo drammatico aumento, gli urgenti problemi sociali rimasti insoluti anche dopo l’ascesa al potere del Movimento nazionale.

2004-2012

Lo sviluppo economico della Georgia è molto dipendente dagli investitori stranieri, l’attrazione dei quali incontra però notevoli problemi. In primo luogo, alle aziende straniere non conviene stabilirsi in Georgia per intercettare il mercato locale o regionale: la popolazione totale dei tre stati del Caucaso del Sud ammonta a circa 14 milioni di persone, mentre a due passi c’è la Turchia, quindicesima economia nel mondo. Pertanto, per soddisfare la domanda interna è molto più conveniente importare che costruire fabbriche. Per quanto riguarda le esportazioni, la Georgia non ha alcuna possibilità di competere con Cina, Indonesia, Thailandia e altri paesi fornitori di manodopera a basso costo.

Il governo di Saakashvili per attrarre investimenti esteri ha così pensato di andare incontro alle imprese tagliando radicalmente sui diritti dei lavoratori dipendenti. La legge sul lavoro adottata dal governo Saakashvili, infatti, era completamente incentrata sugli interessi delle imprese: niente straordinari pagati, niente preavviso di licenziamento, niente necessità di una “giusta causa” per il licenziamento e nessun obbligo di seppur minimi scatti salariali. I lavoratori non potevano far valere alcun diritto, se non attraverso un sistema molto complesso di ricorsi in tribunale: e se si considera che i tribunali erano controllati dal governo, e il governo era solidale con gli investitori, è chiaro che un lavoratore non aveva alcuna chance di successo.

Inizialmente queste condizioni erano state concepite esclusivamente per gli investitori stranieri, ma ovviamente la legge, essendo legge, si applicava a tutti i datori di lavoro, stranieri e non. Inoltre, per evitare qualsivoglia complicazione, il governo aveva limitato il più possibile le attività dei sindacati (i rappresentanti dei lavoratori venivano spesso licenziati con i pretesti più vari) e represso duramente gli scioperi. Ad esempio, nell’estate del 2012, erano entrati in sciopero i lavoratori di alcuni stabilimenti siderurgici di proprietà di investitori indiani: dopo tre giorni, la polizia ha interrotto lo sciopero, arrestato i suoi leader e costretto gli operai a tornare al proprio posto di lavoro.

La situazione dei lavoratori peggiorava quindi di anno in anno: consapevoli della complicità dello stato e delle forze dell’ordine, gli imprenditori si disinteressavano completamente delle condizioni di lavoro del personale. Inoltre, al fine di evitare anche i pochi obblighi imposti dalla legge, utilizzavano contratti a breve termine (2-3 mesi) per poter licenziare ancora più facilmente. Questa era la situazione alla vigilia delle elezioni parlamentari.

Dopo le elezioni

Ritenendo che con il nuovo governo vi fosse un cambiamento d’approccio i lavoratori hanno preso coraggio e sono  immediatamente scesi in strada: i mesi di ottobre e novembre hanno visto una serie di scioperi in contemporanea, che ha creato un senso di caos nel paese. Come era prevedibile, il nuovo governo non ha usato la forza per reprimere le proteste, come aveva fatto il precedente. Le richieste dei lavoratori erano prettamente sociali, non politiche: aumenti di stipendio, migliori condizioni di lavoro e così via.

Gli scioperi sono proseguiti o si sono interrotti a seconda di come le dirigenze delle rispettive aziende hanno risposto alle richieste dei lavoratori. A volte sono stati pesantemente toccati gli interessi dei cittadini: Tbilisi ad esempio è rimasta oltre una settimana senza i minibus marshrutka, i principali mezzi di trasporto per la maggior parte della popolazione. I lavoratori hanno poi posto termine allo sciopero solo a condizione che alle loro richieste le società di gestione dei percorsi e dei veicoli diano una risposta entro un mese. Scaduto questo, lo sciopero potrebbe riprendere.

Lo stato

In questa fase il governo ha scelto di non impedire ai sindacati di difendere i diritti dei lavoratori e di concentrarsi su una riforma della legge sul lavoro. Questo si è però rivelato più complicato del previsto. In particolare, alle imprese non piacciono affatto i nuovi vincoli proposti: tra cui ad esempio il preavviso di 3 mesi in caso di licenziamento collettivo e le limitazioni ai contratti a tempo determinato.

Secondo i datori di lavoro, la nuova versione della legge violerebbe i diritti dei datori di lavoro a favore dei dipendenti. Tuttavia, in questa fase, a parlare sono solo i rappresentanti delle associazioni di categoria, mentre imprenditori e investitori, soprattutto stranieri, tacciono. In ogni caso, le autorità sostengono che la condizione di semi-schiavitù dei lavoratori debba cessare: i loro diritti devono essere rispettati e le organizzazioni sindacali devono essere libere di svolgere i propri compiti.

In aggiunta a queste norme, il nuovo disegno di legge prevede anche l’introduzione della settimana di 41 ore, con l’obbligo di pagamento degli straordinari nella misura di 1,25% dello stipendio oltre le 48. I licenziamenti devono essere motivati e accompagnati da un preavviso di un mese e un indennizzo pari a due mensilità. Su questi e altri punti continuano i negoziati fra governo e rappresentanti del mondo imprenditoriale.

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