Georgia: l’IA per sorvegliare i manifestanti

Nuove telecamere con tecnologia di riconoscimento facciale e multe sempre più salate per i manifestanti individuati: così le autorità georgiane mettono in atto una strategia di repressione silenziosa ed illegale delle proteste che continuano a scuotere il centro di Tbilisi

02/07/2025, Mikheil Gvadzabia -

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Telecamere in viale Rustaveli a Tbilisi, Georgia ©  Mikheil Gvadzabia/OC Media

(Originariamente pubblicato da OC Media )

Ogni sera, quando i manifestanti antigovernativi bloccano viale Rustaveli a Tbilisi di fronte al palazzo del parlamento, sono consapevoli del rischio di essere sorvegliati da vicino e di incorrere in multe salate.

Negli ultimi mesi, salvo rare eccezioni, il viale è rimasto chiuso al traffico in un clima di relativa calma. Appena i manifestanti scendono dai marciapiedi e occupano la strada, gli agenti di polizia iniziano a ritirarsi.

Da quel momento scatta però un altro meccanismo punitivo: vengono attivate le telecamere intelligenti allo scopo di identificare e multare i partecipanti alla protesta.

“Se vivessi in un paese normale, probabilmente non mi preoccuperei della possibilità di essere [identificata] dalle telecamere, perché non sono una persona che viola le leggi”, afferma Medea Turashvili, 40 anni, che partecipa regolarmente alle proteste.

Tuttavia, per lo stato Turashvili è esattamente questo: una persona che trasgredisce la legge, motivo per cui è stata multata di 5.000 lari georgiani (circa 1600 euro) per aver presumibilmente bloccato la strada.

“Questa multa ha sottratto una parte significativa delle risorse del mio budget familiare. È come togliere il pane di bocca ai miei bambini”, spiega Turashvili. Madre di due figli, da anni si occupa della tutela dei diritti umani, collaborando con diverse organizzazioni della società civile.

La documentazione allegata alla multa includeva uno screenshot di un video con inquadratura dall’alto che mostrava Turashvili tra gli altri manifestanti. Il filmato è stato recuperato da una delle tante telecamere di fabbricazione cinese recentemente installate in viale Rustaveli.

Queste telecamere vengono utilizzate principalmente, se non esclusivamente, per identificare gli oppositori del partito Sogno Georgiano e sanzionarli con multe salate, multe che la stragrande maggioranza della popolazione farebbe fatica a pagare.

“Oggi assistiamo ad una repressione silenziosa, con cui si cerca di sostituire la violenza fisica in modo da non suscitare troppa indignazione dell’opinione pubblica”, afferma Giorgi Davituri, avvocato dell’ong georgiana Institute for Development of Freedom of Information (IDFI).

“Allo stesso tempo, però, si cerca di convincere l’intera popolazione che stare lì [in viale Rustaveli] è pericoloso”, precisa Davituri, spiegando così quello che considera uno dei principali obiettivi del governo.

Il ministero dell’Interno non ha mai ritenuto opportuno specificare le modalità con cui vengono identificate le persone riprese dalle telecamere, perlopiù cittadini comuni. Tuttavia, la natura e il modo di attuazione di questa strategia – che mira a bersagli ben precisi – come anche i resoconti della polizia, portano gli osservatori alla conclusione che lo stato utilizza la tecnologia di riconoscimento facciale e raccoglie i dati biometrici dei cittadini su larga scala, con ogni probabilità violando diverse leggi.

Per molti critici questa tattica solleva un interrogativo pressante: dov’è il limite e fin dove ci si può spingere con questo processo, peraltro già ben consolidato in molti regimi autocratici e autoritari come strumento di sorveglianza e controllo di massa.

Le lenti sono ora più precise e molto più numerose

Ci sono sempre state telecamere in viale Rustaveli. Dopotutto, è l’arteria principale della capitale e ospita al suo centro la sede del parlamento. Le telecamere sono state installate sui pali per l’illuminazione e per le telecomunicazioni, ma anche sulle facciate dei palazzi istituzionali e dei locali commerciali.

Nel luglio 2022, durante le manifestazioni pro-UE, alcune grandi telecamere erano state installate sopra l’ingresso principale del palazzo del parlamento, sollevando dubbi sulla possibilità che questa azione fosse in qualche modo legata alle proteste. Tuttavia, non c’è mai stato alcun indizio che queste o altre telecamere di sorveglianza venissero utilizzate per identificare e sanzionare i manifestanti per illeciti amministrativi. Fino ad ora.

Il 28 novembre 2024, dopo la decisione di Sogno Georgiano di sospendere l’impegno per l’adesione del paese all’UE, le autorità hanno reagito alle proteste di massa con brutale violenza e centinaia di arresti.

Duri scontri si sono protratti per una settimana. I manifestanti sapevano che la risposta dello stato non si sarebbe esaurita in fretta. Quindi, molti hanno deciso di coprirsi il volto con balaclava [passamontagna integrale che lascia scoperti solo gli occhi e la bocca], alcuni hanno persino distrutto le telecamere di sorveglianza installate lungo il viale.

Nonostante la violenza della polizia e gli attacchi fisici perpetrati da gruppi apparentemente filo-governativi, le proteste sono proseguite, come anche le pressioni esercitate dallo stato, seppur in forma differente.

A metà dicembre, è trapelata la notizia che il Centro di risposta alle emergenze 112, che opera in seno al ministero dell’Interno, avrebbe indetto una gara d’appalto per l’acquisto di trenta telecamere nuove. Lo scopo dichiarato era quello di sostituire le telecamere danneggiate durante le proteste e “garantire l’effettiva sicurezza delle azioni di protesta”.

Tuttavia, le telecamere specificate nel bando differivano notevolmente dalle maggior parte di quelle già installate. Stando ai documenti ufficiali, il ministero aveva acquistato modelli cinesi Dahua PTZ (pan-tilt-zoom), con una gamma di funzionalità più ampia di quella delle classiche telecamere stradali.

Le nuove telecamere sono particolarmente adatte per riprendere singoli individui: controllate da remoto e rotanti, sono dotate di funzionalità di rilevazione umana capace di riconoscere cinque attributi (sesso, età, occhiali, mascherina e barba) e otto espressioni (rabbia, tristezza, disgusto, paura, sorpresa, calma, felicità e confusione).

“L’azione di tracciamento può essere attivata manualmente o automaticamente seguendo le regole definite. Una volta attivata una funzione, la telecamera può ingrandire e tracciare automaticamente il soggetto individuato”, si legge nella scheda tecnica di uno dei modelli PTZ acquistati dal ministero.

Il rilevamento del volto non significa che la telecamera riconosca automaticamente l’identità del soggetto ripreso, ma semplicemente distingue un volto umano (ad esempio, da quello di un animale) e lo isola dagli elementi sullo sfondo.

“Questa funzionalità semplifica il lavoro dei sistemi di riconoscimento facciale”, afferma Giorgi Davituri. Da anni ormai, oltre ad esercitare la professione di avvocato, Davituri si occupa del monitoraggio dell’utilizzo delle tecnologie da parte dello stato.

Uno dei principali vantaggi delle nuove telecamere è la loro capacità di zoom: portata ottica 45x. Con lo zoom, la camera “può leggere quello che una persona sta digitando sul telefono da una distanza di circa 40 metri”, spiega Davituri.

Al momento dell’acquisto delle telecamere, Giorgi Arsoshvili, direttore del Centro di risposta alle emergenze 112, in una lettera inviata all’Agenzia statale per gli appalti ha precisato che “le nuove telecamere da installare dovrebbero essere difficili da raggiungere”.

Ed effettivamente lo sono: a differenza delle telecamere fisse, le unità girevoli sono state installate molto più in alto, quindi sono più difficili da raggiungere, al contempo garantendo un’ottima prospettiva dall’alto per osservare le proteste.

Due mesi dopo il primo approvvigionamento, a fine febbraio, il Centro 112 ha acquistato altre cento telecamere PTZ Dahua con funzionalità simili. Tuttavia, sul sito web degli acquisti non è mai stato specificato dove la polizia intendesse installarle.

Oggi, a cinque mesi dall’inizio delle proteste, circa quaranta telecamere campeggiano sulla facciata del parlamento e nei dintorni, di cui una quindicina modello PTZ Dahua. Un numero – come osserva Giorgi Davituri – più di due volte superiore a quello delle telecamere presenti in viale Rustaveli prima dello scoppio delle proteste il 28 novembre 2024.

Nel frattempo, le telecamere PTZ sono apparse anche in altri punti della città interessati dalle proteste e lungo i percorsi delle marce più frequenti, sottoponendo così i manifestanti a sorveglianza anche lontano dal parlamento.

Sistemi di riconoscimento facciale e liste di proscrizione

Ogni sera, verso le 21.00, un gruppo di manifestanti chiude viale Rustaveli prima di essere raggiunto dal corteo che, come ormai di consuetudine, parte dalla sede dell’emittente pubblica georgiana.

Rispetto ai primi giorni delle manifestazioni, le leggi ora sono molto più severe: già a dicembre è stato imposto il divieto di coprirsi il volto durante le proteste e le sanzioni amministrative – in particolare per chi blocca la strada quando la polizia ritiene che il numero di persone riunite sia “troppo esiguo” – sono aumentate vertiginosamente, in alcuni casi addirittura di dieci volte.

I manifestanti attingono a diverse tattiche per aggirare le nuove misure: a volte indossano mascherine chirurgiche e cappelli, altre volte si coprono il volto con maschere da carnevale, sempre nella speranza di evitare di essere ripresi dalle telecamere.

Luka, 26 anni, partecipa regolarmente alle manifestazioni di protesta. Il giovane, che preferisce utilizzare uno pseudonimo, è sceso in piazza per la prima volta l’anno scorso per opporsi alla legge sugli agenti stranieri , ormai entrata in vigore, e continua a partecipare alla mobilitazione in corso.

Tre mesi fa, la polizia lo ha informato telefonicamente di essere stato sanzionato con una multa di 5.000 lari georgiani (circa 1.600 euro) per aver “bloccato la strada” una sera di febbraio.

Alla domanda se ritiene che la polizia abbia potuto identificarlo senza la tecnologia di riconoscimento facciale, Luka risponde che le probabilità che tale ipotesi sia vera sono “pari a zero”.

Sottolinea di non essere una personalità pubblica, di non essere coinvolto in altre forme di attivismo e di non essere politicamente attivo sui social.

“Credo che quel giorno [in cui mi hanno multato] sia stato l’unico giorno dall’inizio delle proteste in cui non ho indossato una mascherina o una copertura per il volto”, spiega Luka. “La polizia non poteva certo ricordarsi del mio volto dalle proteste e riconoscermi quando necessario”.

Nei resoconti della polizia – di cui OC Media ha potuto prendere visione – non vi è alcuna menzione esplicita dell’utilizzo di sistemi di riconoscimento facciale. Gli agenti che hanno redatto i rapporti fanno riferimento ad un “sistema elettronico speciale”, dove, secondo le loro dichiarazioni, i filmati delle telecamere vengono caricati e utilizzati per identificare “presunti trasgressori”.

Pur non fornendo maggiori dettagli, le azioni descritte dagli agenti di polizia – come si sottolinea in una recente analisi dell’ong IDFI – escludono di fatto tutte le altre spiegazioni plausibili, lasciandone solo una: i manifestanti vengono identificati attraverso la ricerca di dati biometrici, nello specifico, estraendo le caratteristiche facciali uniche.

Non è un segreto che il ministero dell’Interno disponga di una tecnologia di riconoscimento facciale.

Nel 2017, il ministero ha fatto sapere di aver acquistato dall’azienda di telecomunicazioni giapponese NEC Corporation “un sistema avanzato di sorveglianza con riconoscimento facciale” da attivare sulle telecamere a Tbilisi e in altre città georgiane.

“Il sistema confronta le immagini catturate dalle telecamere di sorveglianza con quelle dei sospettati e di altre persone incluse in una lista di controllo, rendendo così possibile un’identificazione rapida e accurata delle persone”, si legge in un comunicato dell’azienda giapponese, tradotto in georgiano e pubblicato sul sito web del ministero.

“La lista di controllo” a cui si fa riferimento nel comunicato è un modello utilizzato dai sistemi di riconoscimento facciale: la polizia dispone di un elenco di sospettati con i loro dati biometrici, quindi il sistema sa in anticipo chi sta cercando, semplificando il processo di ricerca.

Tuttavia, in passato non c’erano informazioni sulla possibilità che il ministero dell’Interno stesse utilizzando il sistema di videosorveglianza per identificare le persone coinvolte in illeciti amministrativi – venivano infatti identificati solo gli oggetti, ad esempio le targhe di veicoli coinvolti nelle violazioni del codice della strada.

“Nei casi di violazioni del codice della strada, anziché il conducente, veniva multato il proprietario del veicolo proprio perché il sistema di videosorveglianza era capace di identificare solo l’oggetto, e non la persona responsabile dell’infrazione”, spiega Giorgi Davituri.

Di recente, però, la situazione è cambiata.

Davituri non esclude la possibilità che il ministero dell’Interno abbia una lista di proscrizione – compresi i nomi di attivisti e membri della società civile relativamente noti – sulla base della quale sanziona i manifestanti. Questa logica però non si applica ai numerosi cittadini comuni, come Luka, multati negli ultimi mesi.

Qui entrano in gioco altri metodi.

“Ormai sappiamo con certezza che non si tratta più di riconoscere gli individui [già noti] nei filmati, bensì di identificare gli individui attraverso i filmati”, afferma Giorgi Davituri, definendo “pericolosa” questa svolta nelle tattiche utilizzate dalla polizia.

“Stanno emergendo segnali concreti dell’impiego dei sistemi di riconoscimento facciale”, precisa Davituri.

Uno dei tanti aspetti poco trasparenti riguarda i database utilizzati dai dipendenti del ministero dell’Interno per confrontare le immagini dei manifestanti.

“Potrebbero attingere a database più ampi a loro disposizione – avverte Davituri – come quello nazionale di documenti d’identità. Anche il ministero ha i suoi database: da anni ormai gli agenti girano per le strade scattando foto, e non lo fanno certo per scopi personali. Raccolgono queste immagini e poi, incrociando i dati con diversi database, identificano le persone riprese”.

Mobilitare risorse pubbliche per intimidire i cittadini

La campagna di sanzioni contro chi blocca le strade è iniziata a gennaio, parallelamente all’installazione di un numero crescente di telecamere nei luoghi delle proteste e all’inasprimento delle multe per i blocchi stradali, aumentate di dieci volte, passando dai 500 lari georgiani (circa 160 euro) ai 5.000 lari (1.600 euro).

Da quando la legge è stata modificata, all’inizio di febbraio, permettendo alla polizia di imporre multe bypassando la magistratura, i casi arrivano in tribunale solo se la persona multata presenta ricorso.

Inizialmente considerate scandalose, le multe – sempre più numerose – ormai sono diventate parte integrante della vita quotidiana dei manifestanti. Tutti si chiedono: chi sarà il prossimo?

Secondo l’Associazione dei giovani avvocati georgiani (GYLA), nel periodo compreso tra novembre 2024 e il 18 marzo 2025 sono state imposte multe per un importo complessivo di due milioni di lari georgiani (circa 640mila euro) per “i blocchi stradali”, cifra che continua a crescere ogni giorno.

Per la stragrande maggioranza della popolazione georgiana, queste multe rappresentano un onere economico tutt’altro che irrilevante , considerando che, stando alle statistiche ufficiali , solo il 9% dei lavoratori a marzo 2025 aveva un reddito pari o superiori ai 4.800 lari (poco più di 1.500 euro). La situazione è ancora più grave per chi – come accade a molti manifestanti – viene multato ripetutamente, spesso dieci o addirittura quindici volte.

A marzo, la procura ha bloccato i conti correnti aperti allo scopo di raccogliere risorse per aiutare le persone multate, costringendo molti a ricorrere alla raccolta fondi online per pagare le multe.

Per i critici del governo, le multe non sono mero strumento di pressione finanziaria. Considerando la natura del processo – che include la videosorveglianza su larga scala e un massiccio ricorso alle sanzioni – l’obiettivo, secondo i critici, è quello di intimidire i cittadini.

Molti infatti definiscono le strategie utilizzate per consegnare le multe come un tentativo di intimidazione. Questa dinamica è emersa in particolare nella fase iniziale della campagna, quando gli agenti di polizia facevano visita alle persone a tarda notte per consegnare le multe, recandosi talvolta presso le abitazioni dove vivevano solo i familiari delle persone multate.

“Lo scopo – spiega Giorgi Davituri – è quello di creare l’impressione che ogni persona, ogni famiglia, possa essere multata e che, a prescindere dal fatto che la procedura sia lecita o illecita, nessuno possa sfuggirvi e che nessuno sia irraggiungibile – tutti i cittadini e i loro comportamenti vengono monitorati”.

In molti casi, le persone multate hanno affermato di non aver mai partecipato a blocchi stradali. Sia Luka che Medea spiegano di essere stati multati semplicemente per essersi trovati in una strada già bloccata.

Anche gli avvocati che stanno assistendo le persone multate mettono in guardia su questa strategia.

“Il ministero dell’Interno tende a stabilire un reato senza valutare gli elementi fondamentali, cioè senza cercare di chiarire se la strada fosse già bloccata al momento dell’arrivo della persona multata, se quest’ultima stesse partecipando attivamente alla protesta e se fosse coinvolta in blocchi stradali”, spiega Tamaz Kirtava, avvocato dell’associazione GYLA.

Gli osservatori sottolineano inoltre che lo stato non si limita a monitorare i blocchi stradali attraverso la videosorveglianza.

A marzo, GYLA ha pubblicato un video – utilizzato nell’ambito di un processo amministrativo – in cui una telecamera segue deliberatamente i movimenti di una manifestante. Quando la donna volta le spalle alla telecamera e inizia a leggere alcuni documenti, la camera fa uno zoom per catturare con maggiore chiarezza quanto scritto sui fogli.

Episodi analoghi hanno rafforzato il sospetto – nutrito da molte organizzazioni della società civile – che le telecamere vengano attivate manualmente, anziché automaticamente, suggerendo che nel processo siano coinvolte persone appositamente selezionate.

“Si tratta di un processo di sorveglianza e tracciamento, anche perché sono gli operatori, non i sistemi automatizzati, a sfruttare appieno le capacità tecniche delle telecamere per seguire gli individui e ingrandire le immagini”, sottolinea l’ong IDFI, che ha analizzato venti ore di filmati acquisiti da due telecamere ZPT.

Le capacità ottiche delle telecamere Dahua forniscono un notevole aiuto allo stato in questo sforzo: le riprese mostrano chiaramente che anche dopo aver ingrandito l’immagine, la qualità rimane intatta, rendendo più facile l’identificazione degli individui presi di mira.

Secondo IDFI, la videosorveglianza non viene utilizzata solo contro le persone sulle strade, ma anche contro quelle che camminano sui marciapiedi, anche dopo la conclusione delle proteste e il ripristino del traffico in viale Rustaveli.

“Questa dinamica suggerisce che lo stato considera l’esercizio del diritto di riunione come una minaccia e una questione di particolare interesse, utilizzando il sistema di videosorveglianza per l’identificazione dei partecipanti alle manifestazioni”, conclude il rapporto IDFI.

Le preoccupazioni sulla sorveglianza e le intercettazioni telefoniche effettuate dalle autorità non sono certo una novità in Georgia.

Dopo la vittoria alle elezioni politiche del 2012, il partito Sogno Georgiano aveva annunciato di voler porre fine a tali pratiche, distruggendo pubblicamente i dischi che si sospettava contenessero filmati personali registrati illegalmente durante il precedente governo. Annunci che però non hanno dissipato i dubbi sul rispetto della privacy.

Nel 2021, alcune registrazioni, presumibilmente trapelate dal Servizio di sicurezza nazionale, hanno svelato una campagna di sorveglianza contro giornalisti, attivisti, diplomatici e membri del clero, nell’ambito della quale sono state diffuse anche informazioni strettamente personali.

La situazione attuale si contraddistingue per la disinvoltura con cui viene effettuata la sorveglianza, in pieno giorno, prendendo di mira costantemente grandi gruppi di cittadini comuni.

“Certo, di fronte a questo tipo di sorveglianza avverto un forte disagio e una sensazione di minaccia: ho davvero l’impressione di essere seguita e osservata ovunque vada", spiega Medea Turashvili esplicitando le sue preoccupazioni riguardo alla sicurezza.

“In questo momento sono più arrabbiata che spaventata”, afferma Medea, specificando che il suo desiderio di “esprimere la rabbia per l’ingiustizia a cui assistiamo è più forte della paura di essere nuovamente multata o sorvegliata”.

Anche Luka prova un sentimento analogo. L’importo della multa ricevuta è quasi una volta e mezzo superiore al suo stipendio mensile. Per pagarla, dovrà richiedere un prestito bancario o “rinunciare a ogni comodità”. Ciononostante, continuerà a partecipare alle proteste, d’ora in poi però sempre indossando una mascherina chirurgica e un cappello.

“In un certo senso, ho provato soddisfazione [per la multa]. Le persone vengono arrestate, torturate, picchiate – e io ho potuto partecipare alle proteste senza difficoltà. Dopo essere stato multato, mi sono sentito ancora più parte della protesta, ho sentito di dover dare il mio contributo”.

“Una palese violazione delle leggi georgiane”

La società civile e gli avvocati che monitorano l’utilizzo della tecnologia contro i manifestanti denunciano molteplici violazioni della legge.

L’organizzazione Social Justice Centre sottolinea che le attuali pratiche del ministero dell’Interno violano diverse disposizioni della legge georgiana sulla protezione dei dati, tra cui la minimizzazione, il trattamento rispettoso e la gestione corretta dei dati personali.

“A differenza dei reati, gli illeciti amministrativi non minacciano l’ordine pubblico o la sicurezza in misura tale da giustificare il trattamento su larga scala di dati personali o sensibili. L’utilizzo di dati biometrici allo scopo di imporre sanzioni amministrative viola direttamente la legge georgiana e gli standard internazionali”, si legge in un rapporto pubblicato da Social Justice Centre.

Anche IDFI accusa il ministero dell’Interno di aver violato le norme sulla protezione dei dati, in particolare di aver sorvegliato i manifestanti, monitorando i loro movimenti e condividendo illegalmente i filmati delle telecamere tra i vari dipartimenti del ministero.

Come spiega l’ong, gli organismi investigativi non possono accedere ai filmati raccolti dal Centro 112 senza un’autorizzazione del tribunale, fatta eccezione per i casi amministrativi che riguardano l’identificazione delle targhe. Tuttavia, durante le recenti proteste, i filmati – secondo IDFI – sono stati condivisi senza alcuna autorizzazione del tribunale.

L’associazione GYLA, che ha pubblicato il video di una manifestante monitorata e ripresa con uno zoom mentre leggeva un documento, sottolinea che il ministero sta raccogliendo ed elaborando illegalmente i dati personali dei manifestanti senza alcuna base giuridica.

IDFI e GYLA hanno chiesto all’Ufficio per la protezione dei dati personali della Georgia di indagare la vicenda. Lo scorso 12 marzo, l’Ufficio ha confermato di aver già avviato due indagini il 18 febbraio per verificare la legalità dell’utilizzo della sorveglianza biometrica da parte del Centro 112 in viale Rustaveli e la legalità del trattamento dei dati biometrici da parte del ministero dell’Interno attraverso un “sistema elettronico speciale” nei casi amministrativi.

L’Ufficio ha affermato che le indagini sono in corso e che non potrà rilasciare una valutazione preliminare finché non saranno completate.

Pur avendo accolto con favore la decisione di avviare un’inchiesta, IDFI ha denunciato la tendenza a concentrarsi sui dati biometrici e a trascurare alcune questioni più ampie relative alla videosorveglianza. L’ong ha inoltre criticato l’atteggiamento dell’Ufficio per la protezione dei dati personali durante le proteste, sottolineando la sua incapacità di sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti fondamentali.

Tra il 4 febbraio e il 17 marzo, otto cittadini, assistiti da IDFI, hanno chiesto all’Ufficio di avviare un’indagine sulla legalità del trattamento dei loro dati personali da parte del ministero dell’Interno e del Centro 112.

Secondo IDFI, l’Ufficio ha respinto la richiesta, invocando i processi amministrativi in corso contro i ricorrenti. Una motivazione ritenuta inadeguata da IDFI che accusa l’Ufficio di aver illegittimamente eluso i propri doveri e di aver sostenuto passivamente la repressione politica ignorando l’utilizzo improprio di dati personali e strumenti di sorveglianza per fini politici.

I critici sottolineano che lo stato non utilizza le telecamere di sorveglianza con lo stesso entusiasmo quando si tratta di denunce contro la polizia.

Come recentemente rivelato da RFE/RL, il ministero dell’Interno, il Servizio di sicurezza nazionale e il Servizio di protezione speciale tendono a respingere le richieste di fornire i filmati delle videocamere di sorveglianza per le indagini sulle presunte violenze della polizia contro i manifestanti e i giornalisti. Le istituzioni motivano il rifiuto parlando di telecamere rotte, riparazioni o altri fattori.

Le organizzazioni della società civile sottolineano che le bodycam della polizia, a differenza delle telecamere di sorveglianza utilizzate durante le proteste, spesso non funzionano correttamente durante gli incidenti critici.

“In molti casi, in particolare quando i detenuti denunciano abusi, il ministero si limita a dichiarare di non aver utilizzato le bodycam, affermando di poter scegliere se utilizzarle o meno”, spiega l’avvocato Tamaz Kirtava di GYLA.

Interpellato da OC Media, l’Ufficio per la protezione dei dati personali ha respinto le obiezioni avanzate da IDFI, definendo “completamente infondata” la critica sulla ristrettezza delle due inchieste avviate.

L’Ufficio ha poi sottolineato che dal 4 febbraio al 17 marzo, anziché otto richieste citate da IDFI, ne ha ricevuto “molte di più”. Tuttavia, la maggior parte di queste richieste è stata respinta perché, secondo l’Ufficio, i ricorrenti non hanno descritto dettagliatamente le circostanze in cui i loro dati personali sarebbero stati trattati in violazione della legge, né tanto meno hanno specificato il carattere della potenziale violazione.

Quanto alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica – un’altra attività che, secondo i critici, l’Ufficio per la protezione dei dati personali avrebbe trascurato – l’Ufficio nella sua risposta scritta cita “le linee guida e le raccomandazioni” pubblicate in precedenza sul suo sito web e sulla pagina Facebook.

L’Ufficio ha inoltre ribadito di non poter accertare la legalità delle azioni del ministero dell’Interno finché non saranno completate le due indagini: la prima dovrebbe concludersi a metà giugno, e la seconda a fine giugno.

All’inizio di maggio OC Media ha contattato anche il ministero dell’Interno inviando una richiesta di accesso alle informazioni di interesse pubblico, come richiesto dal ministero stesso. Al momento della pubblicazione di questo articolo, non abbiamo ricevuto alcuna risposta.

“Lo stato vuole controllare ogni nostro passo”

L’utilizzo della tecnologia di sorveglianza cinese in Georgia non è un fenomeno nuovo. Le telecamere prodotte da aziende cinesi, come Dahua e Hikvision, da tempo ormai vengono acquistate dalle istituzioni georgiane, compresi i ministeri, le amministrazioni locali, gli istituti scolastici, ma anche dalle aziende private.

Non vi è nulla di sorprendente, considerando che le telecamere cinesi dominano il mercato globale. Tuttavia, le crescenti preoccupazioni sull’utilizzo della tecnologia cinese complicano la situazione.

Negli ultimi anni, molti governi, tra cui quelli di Regno Unito, Canada e Corea del Sud, hanno introdotto diverse restrizioni sulle telecamere di produzione cinese, citando preoccupazioni per la sicurezza nazionale.

Nel 2022, gli Stati Uniti si sono spinti oltre, vietando completamente qualsiasi nuova apparecchiatura di videosorveglianza e telecomunicazione prodotta da Dahua e Hikvision, ritenendola un rischio per la sicurezza nazionale.

Tra le principali preoccupazioni legate all’attività di queste aziende, spiccano i lor