Georgia, l’Europa si allontana
Un tempo il paese più in linea con l’UE di tutto il Partenariato orientale, oggi la Georgia rischia di vedersi rifiutare lo status di paese candidato i prossimi 23 e 24 giugno, per quando è prevista la decisione del Consiglio UE. Nel frattempo i cittadini scendono in piazza con lo slogan “Torniamo a casa, in Europa”
Il 23 e 24 giugno il Consiglio UE deciderà sullo status di candidati all’Unione europea di Georgia, Moldavia e Ucraina. Tutta l’attenzione pubblica è comprensibilmente rivolta all’Ucraina per la tragedia che l’attraversa. Ma all’ombra di questa catastrofe si consuma anche la crisi georgiana. La Georgia è stata per anni la miglior performer nell’avvicinamento all’Unione europea fra gli stati del Partenariato orientale (Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina). Ciononostante, nella decisione di questa settimana, sembra destinata ad essere il fanalino di coda dei tre, come anticipato dalle opinioni espresse finora dall’Europarlamento e dalla Commissione.
Parlamento
L’8 giugno 2022 l’Europarlamento ha adottato una risoluzione sullo status dei media in Georgia , a ridosso della decisione sullo status di candidatura. Sono diverse le questioni che vengono sollevate e la misura giunge dopo che il Sogno Georgiano, il partito di governo da tre mandati consecutivi, ha ripetutamente e in modo incrementale attaccato l’istituzione europea. La risoluzione elenca una serie di episodi e deliberate scelte politiche che hanno progressivamente allontanato la Georgia dalla prospettiva europea. Fra i vari punti toccati, si ricorda il ritiro del Sogno dall’accordo concordato con l’Unione Europea, per cui il presidente del Consiglio europeo Charles Michel si era speso molto e che aveva portato alla fine di una lunga crisi politica nel paese. L’Europarlamento ha poi ricordato l’attacco alla stampa, fisico, che ha portato alla morte di un cameraman il 5 luglio 2021, il recente arresto di Nika Gvaramia e in generale la collusione del governo nel reprimere la libertà di stampa e nel garantire immunità ai perpetratori di aggressioni e disinformazione.
Inoltre “[L’Europarlamento] esprime preoccupazione per il costante aumento della disinformazione e della manipolazione dell’informazione da parte russa in Georgia, nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina, e sollecita il governo georgiano a sviluppare programmi di educazione all’alfabetizzazione mediatica per i suoi cittadini, a sostenere la società civile nella creazione di meccanismi di verifica dei fatti, e ad adottare misure attive per prevenire campagne di disinformazione da parte di attori stranieri o nazionali contro il paese […]”. Questioni interne e internazionali si intrecciano nella Risoluzione dell’Europarlamento sulla Georgia, ed è evidente che il paese si pone all’interno di esse in una posizione di grande ambiguità, che ne causa l’allontanamento da quelli che sono da decenni i suoi obiettivi, anche sanciti dalla costituzione e dal grande sostegno popolare: l’integrazione nel quadro euro atlantico.
La Commissione
Nel tempo trascorso fra la risoluzione dell’Europarlamento e la pubblicazione del parere della Commissione Europea sulla candidatura del paese la Presidente della Repubblica Salomè Zourabishvili ha lanciato un allarme forte, risoluto, contro un percorso che sta portando il paese all’isolamento internazionale. Il 7 giugno la Zourabishvili era in Italia dove ha incontrato il presidente Mattarella nel tentativo di assicurare l’appoggio italiano alla candidatura della Georgia, mentre il 16 giugno ha organizzato una manifestazione a sostegno della via europea per la Georgia. Iniziative che non trovano sponda nel partito di governo, da cui sono proseguiti gli attacchi ai partner europei. Nessun tentativo del Sogno di utilizzare le due settimane tra la risoluzione dell’Europarlamento e la decisione del Consiglio per dimostrare la volontà di far ricredere gli organismi europei, di ritornare nell’alveo dei candidati plausibili senza ulteriori ritardi.
L’opinione della Commissione, espressa il 17 giugno, riprende le questioni sollevate dall’Europarlamento e sottolinea che gli sviluppi politici e istituzionali recenti hanno minato i progressi democratici della Georgia. La Commissione sottolinea l’involuzione degli standard elettorali e il fallimento della riforma della giustizia, che rimane il tallone di Achille del paese. In generale il controllo dell’esecutivo sui poteri legislativi e giudiziario è sempre più dilagante, anche per il deliberato attacco ad organi indipendenti, come l’Ombudsperson/Difensore Civico, ripetutamente vittima di continue critiche delegittimanti negli ultimi due mandati del Sogno, e di cui è prossimo il rinnovo. C’è poi stato lo scioglimento dell’Ispettorato di stato, come ricordato anche dall’Europarlamento.
La Georgia che arriva alla data del Consiglio Ue è sempre meno specchio del volere popolare, e sempre più strumento dell’unico oligarca del paese, Bidzina Ivanishvili, che da solo – caso unico nell’intero spazio post-sovietico – detiene una fortuna pari a più del 30% del PIL nazionale. E non a caso la Commissione raccomanda di “attuare l’impegno alla de-oligarchizzazione, eliminando l’eccessiva influenza di interessi acquisiti nella vita economica, politica e pubblica”.
Manifestazione
Il governo ha subodorato da tempo che il 24 la Georgia potrebbe essere l’unico dei tre paesi a cui non verrà riconosciuto lo status di candidato, nemmeno con riserva.
La Commissione ha parlato solo di lasciare aperte per la Georgia le prospettive europee, ed è un giudizio che pesa, al di là delle posizioni dei singoli stati dell’Unione. Questo nonostante la frenetica attività della presidente per rompere l’isolamento, per costruire consenso europeo intorno alla Georgia. Minimizza invece il governo, con il primo ministro che ha sostenuto che alla fine candidatura o meno non cambia niente, oppure presentando la “prospettiva aperta” come un grande passo avanti.
Non ci stanno i georgiani, che si organizzano, che cercano quella visibilità alla loro volontà europea che non trovano rappresentata nelle istituzioni di governo.
Il 20 giugno è una data importante: nel 2019 sono iniziati quel giorno i disordini per l’affare Gavrilov, quando una grande mobilitazione nel paese aveva scosso prima Tbilisi e poi le altre città della Georgia, contro l’influenza russa e contro il presidente del parlamento che aveva permesso a un deputato della Duma di parlare dal podio del parlamento. Irakli Kobakhidze l’allora presidente del parlamento si era dimesso, ed è oggi a capo del Sogno.
La stessa data è stata scelta da varie organizzazioni della società civile capeggiate dal gruppo “Vergogna” , per organizzare una manifestazione ispirata allo slogan “Torniamo a casa, in Europa”. Un oceano di persone hanno inondato il centro di Tbilisi, nonostante il primo ministro Irakli Garibashvili avesse minacciato una dura repressione, non si sa bene per cosa visto che non era una manifestazione di protesta ma di sostegno a una posizione che sulla carta è anche quella del governo. Sicuramente è stata la manifestazione più partecipata degli ultimi anni , culminata in piazza Europa, e i georgiani hanno veicolato con grande chiarezza e civiltà la loro posizione. La manifestazione si è estesa poi ad alcune comunità georgiane all’estero e ad altre città del paese.
Ora toccherà al Consiglio UE districarsi in questo quadro estremamente complesso.