Georgia: l’albero che sanguina
Quella di venerare gli alberi è tradizione antica, che in alcuni luoghi del Caucaso viene ancora praticata. Avviene così per un platano, nel villaggio di Janduri, in Georgia
(Pubblicato originariamente da Chai Khana)
Nel villaggio di Jandari, nella regione di Marneuli, in Georgia, vi è un albero sacro.
La comunità azera vi si reca in pellegrinaggio da tutta la regione il primo giorno del Novruz per porgere rispetto all’antico platano. La giornata è di festa: vi si suona musica tradizionale, la gente balla, i rami vengono addobbati con nastri rossi man a mano che si esprimono dei desideri.
La tradizione è radicata. I platani, così come le querce, i salici, i meli, i ciliegi, i pruni ed altri alberi sono considerati sacri. I luoghi dove crescono sono denominati "Pir" o "Ojak".
Per secoli – la tradizione precede infatti l’Islam – le comunità azere hanno creduto nel potere di questi alberi e li hanno protetti. Un albero tagliato si dice sanguini e la persona che lo taglia è considerata dannata.
Samaya Abdullayeva, 76 anni, vive vicino all’albero di Jandari. Dice di aver visto passare per tutta la vita persone che credevano nei poteri di quest’albero. "Nessuno sa esattamente come questo luogo sia divenuto sacro. Ma tutti pensano porti dei benefici. Secondo una leggenda, in passato un funzionario voleva tagliare l’albero e portarselo via, ma morì lungo la strada. È anche a seguito di racconti come questi che questo albero è considerato sacro e non deve assolutamente essere tagliato".
Queste credenze hanno salvato numerosi alberi, sottolinea Kerem Mammadov, archeologo ed etnografo.
"Secondo le antiche tradizioni la distruzione di alberi antichi che sorgevano al di fuori dei boschi e delle foreste era inammissibile. Era possibile tagliare alberi in alcune piccole parti di foreste ma tagliare un albero nel mezzo di una radura era vietato", afferma, aggiungendo che questa cultura protettrice degli alberi è antecedente all’Islam.
"Ai giorni nostri la maggior parte di questi santuari verdi sono costituiti da singoli alberi. Con il diffondersi dell’Islam la pratica di proteggere gli alberi è stata islamizzata… durante la conquista araba Abu Bakr, il califfo arabo, ha ordinato al proprio esercito di non offendere i luoghi che erano sacri agli indigeni, come templi o alberi", afferma.
Nonostante l’adozione dell’Islam e poi gli anni di politiche ateiste dell’Unione sovietica la tradizione è rimasta forte.
Anche se alcune credenze antiche sembrano essere in contraddizione con l’Islam, a Jandari vi è ampia prova di sincretismo: oltre ai dolci legati al Novruz, alla base del platano vengono lasciati anche ritratti di figure sacre all’Islam come l’Imam Ali e l’Imam Hussein.
Anche quest’anno, il primo giorno di Novruz, caduto il 23 marzo, numerosi appartenenti alle comunità azere in Georgia e Russia e anche azerbaigiani di Azerbaijan si sono radunati sotto l’albero di Jandari. Hanno legato nastri rossi ai suoi rami e si sono augurati a vicenda buona fortuna.
Secondo la tradizione i nastri rossi si spezzano e cadono dai rami una volta che il desiderio espresso è stato esaudito. Le persone prendono anche piccoli rametti dall’albero e, se il desiderio è stato esaudito, l’anno dopo riportano il rametto in segno di riconoscenza.
Quest’anno Sakine e Nariman, un’anziana coppia di Baku, si sono recati a Jandari portando con sé un rametto colto l’anno precedente. Nariman, insegnante a Baku, racconta che era venuta l’anno scorso augurandosi che il figlio trovasse lavoro. Nel corso dell’anno il suo desiderio si è avverato e lei è tornata per ringraziare.
La generazione di Nariman ha mantenuto l’antica tradizione della propria comunità nonostante gli sforzi dei governi in epoca sovietica di porle fine.
Manaf Suleymanov, tra gli scrittori azerbaigiani più rilevanti del 20mo secolo, ha scritto della tradizione di celebrare gli alberi: “In passato vi era un magnifico ‘Tekagac’ [albero sacro] ai piedi del monte Niyaldag. Sin da quando ero bambino ho sentito che ha guarito molti: anziani, giovani e bambini. Vi portavano vicino all’albero bambini con problemi, non in grado di camminare o parlare, facendoli dondolare sui suoi rami, pregando per la loro guarigione. E molti sono stati ascoltati. Anche se erano altre le ragioni della guarigione, lo si vedeva come un miracolo dell’albero-santurario di ‘Tekagac’”.
Mentre Suleymanov scriveva il libro da cui è stato tratta questa citazione, i luoghi di culto, come moschee o chiese, venivano distrutti regolarmente dalle istituzioni sovietiche. Poi l’albero venne tagliato. Suleymanov ne parlò con un’anziana del posto. "Dio ha punito l’uomo che ha tagliato l’albero. E’ morto durante gli arresti (repressioni di massa nel 1937, nda). Testimoni dicono che ogni volta che colpiva con la sua scure l’albero, dal tronco usciva sangue. L’albero piangeva sangue. La gente vegliò il “Tekagac" per tre giorni".
Il filologo Vahid Namazov abita a Jandari e sottolinea che non si sa esattamente quando la tradizione ha preso piede ma, ad un certo punto, è divenuta un modo per insegnare alle persone il rispetto per la natura. Di generazione in generazione alle persone veniva insegnato di non tagliare gli alberi sacri. Tra questi fichi, noccioli ed altri alberi da frutto. "Sembra quasi che questa tradizione si sia affermata per proteggere la natura, in particolare per proteggere gli alberi da frutto. E queste tradizioni hanno fatto sì che questi alberi antichi si preservassero sino ai giorni nostri".