Georgia: la fatica della democrazia (II)

La seconda parte dell’intervista a Jonathan Wheatley*. Problemi tensioni e ostacoli legati all’integrazione delle minoranze etniche presenti in Georgia

28/09/2007, Maura Morandi -

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Parlamento Georgia

Oltre ai problemi in Abkhazia e Ossezia del Sud, il governo di Tbilisi si deve confrontare con i problemi legati alle minoranze etniche nelle regioni del Kvemo Kartli e dello Javakheti. Quali sono le cause di tensione in queste regioni?

Direi che ci sono due cause principali. La prima è di tipo socio-economico: queste regioni, in particolare Tsalka, Ninotsminda e Akhalkalaki, sono regioni periferiche e sono molto tagliate fuori dalle infrastrutture georgiane, scuole e ospedali sono davvero degradati, vivono sulla sussistenza, non sono in grado di vendere i loro prodotti e quindi non sono per niente integrate nell’economia del Paese. La grave carenza economica ha condotto a due serie problematiche: una consiste nella percezione delle minoranze di essere deliberatamente discriminate da

parte dei georgiani in modo da essere forzate a migrare; e l’altra sta nel fatto che con un’economia sottosviluppata si hanno pochissime possibilità di essere integrati nel resto del Paese. Questo, ad esempio, è il caso dello Javakheti, dove a causa dell’isolamento e della poca integrazione si sono stabiliti molti più legami con l’Armenia e in alcuni casi con la Russia che con la Georgia. I libri di testo scolastici, ad esempio, vengono dall’Armenia e non dalla Georgia: l’isolamento economico ha condotto quindi in queste aree anche ad un isolamento di tipo culturale.

La seconda causa è da identificare nella reazione da parte delle minoranze a ciò che sta facendo il governo georgiano. Per la prima volta, infatti, le autorità centrali di Tbilisi si stanno impegnando seriamente per cercare di integrare nel resto del Paese queste aree, soprattutto attraverso l’educazione. A Kutaisi, ad esempio, è stata istituita una scuola per i futuri impiegati statali nella quale si stanno cercando di portare anche ragazzi dallo Javakheti e dal Kvemo Kartli. Sono stati attivati, inoltre, corsi di lingua georgiana per chi non la sa e si sta sviluppo un curriculum nazionale che include materie sensibili quali la storia. La versione armena della storia, infatti, è abbastanza incompatibile con la versione georgiana e gli armeni accusano il ministero dell’educazione di insegnare la versione georgiana della storia.

Ciò che si sta verificando, quindi, è una resistenza

delle periferie, ed in particolare delle minoranze, alle imposizioni dell’autorità centrale. Soprattutto è fortemente resistita dalle minoranze l’imposizione della lingua georgiana, in particolare dagli armeni che si rifiutano di impararla perché hanno paura di essere assimilati dai georgiani e di perdere la loro identità nazionale. Recentemente poi è entrata in vigore la legge per la quale anche gli impiegati pubblici a livello locale devono sapere il georgiano e a causa di questa regola alcune persone hanno perso il lavoro. Ciò ha condotto alla crescita della sensazione da parte della minoranze di essere sotto pressione e di voler essere spinte fuori dal Paese.

La riluttanza delle periferie per il georgiano forse è anche dovuta al fatto che il governo di Tbilisi ha stabilito un piano troppo breve e non realistico per l’insegnamento della lingua. E questo a causa dell’entusiasmo e della ferma volontà da parte del ministero dell’Educazione di far parlare a tutti il georgiano in Georgia, entusiasmo che è diretta conseguenza dell’ideologia d’integrazione nazionale e che innesca la reazione delle minoranze che non possono accettare subito una lingua che non hanno mai parlato.

Dal Suo punto di vista, è possibile un’effettiva integrazione delle minoranze presenti nelle regioni? Quali sono gli ostacoli che impediscono tale integrazione?

Direi che l’ostacolo principale all’integrazione delle minoranze è la lingua. Il 35-40% delle minoranze sanno il georgiano, ma nelle zone in cui sono maggiormente concentrate, e quindi nelle periferie, probabilmente la percentuale non è più del 10%.

Credo comunque che un’effettiva integrazione sia possibile. Perché ci si muova in questo senso però penso sia necessario rivedere l’attuale tempistica del piano di insegnamento stabilito dal governo georgiano che attualmente è troppo ambiziosa. E poi penso che ci sia bisogno di ideare una valida metodologia per insegnare la lingua georgiana.

L’attuale governo si oppone in modo deciso all’idea di avere lingue amministrative

riconosciute a livello locale. L’unica lingua oltre al georgiano, infatti, ad essere riconosciuta nella costituzione della Georgia è l’abkhazo per l’Abkhazia. Penso che le autorità di Tbilisi dovrebbero prendere in considerazione l’opportunità di altre lingue amministrative perché la miglior soluzione per far fronte alle tensioni è che le minoranze diventino bilingui: mantengano, cioè, la propria lingua e studino il georgiano. Se l’azero e l’armeno fossero riconosciute come lingue amministrative, inoltre, si incoraggerebbe l’impiego di personale bilingue. E questo potrebbe ridurre la resistenza di alcune comunità alla lingua georgiana perché da una parte le minoranze dovrebbero imparare il georgiano e dall’altra i georgiani che vivono in quegli stessi luoghi dovrebbero imparare un po’ di armeno o di azero per poter lavorare negli apparati statali.

Il governo di Tbilisi deve anche far fronte al problema delle numerose minoranze linguistiche presenti sul territorio georgiano. Qual è la situazione attuale? È prevista una qualche forma di tutela di tali minoranze? Secondo Lei come potrebbe essere risolta tale questione?

La situazione delle piccole minoranze linguistiche presenti in Georgia è un problema serio. Ad esempio il mingreliano e lo svano sono considerati dal governo di Tbilisi dialetti e non lingue, nonostante siano molto differenti dal georgiano. In particolare la questione del mingreliano (parlato in Mingrelia, provincia storica nel nord-ovest della Georgia che comprendeva un parte di territorio dell’Abkhazia, ndr) è molto sensibile a livello politico perchè in Abkhazia c’è una società multietnica composta da abkhazi, russi, armeni e mingreli/georgiani. Questi ultimi stanno addirittura prendendo in considerazione la possibilità di pubblicare giornali in mingreliano. Naturalmente i georgiani sono totalmente contrari e lo intendono un ulteriore tentativo della Russia per dividere la Georgia.

In ogni caso lo svano e il mingrelo sono lingue diffuse e parlate quotidianamente e non sono in pericolo di estinzione. Potrebbero scomparire invece le lingue di piccoli gruppi quali il curdo, l’assiro, il bats (o tsova tush – lingua appartenente al ceppo delle lingue del Caucaso del Nord), l’udi (moderno discendente della lingua albana) etc.. Queste lingue, infatti, sono poco parlate e gli appartenenti a questi gruppi linguistici spesso non le sanno più scrivere.

Che cosa potrebbe accadere se il Parlamento georgiano ratificasse la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie?

Credo che ci vorrà ancora molto tempo prima che la Carta venga ratificata. (2 – fine)

*Jonathan Wheatley è consulente freelance per lo European Centre for Minority Issues di Flensburg (Germania). Le sue aree di ricerca comprendono il processo di state-building e trasformazione democratica nell’ex Unione Sovietica e le problematiche relative alle minoranze nel Caucaso del Sud. Recentemente ha pubblicato il libro Georgia from National Awakening to Rose Revolution: Delayed Transition in the Former Soviet Union – Ashgate Publishing Editore – un’analisi del regime politico in Georgia dal 1988 al 2004.

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