Georgia: la fatica della democrazia (I)

Jonathan Wheatley* ha pubblicato una monografia sul regime politico in Georgia. Lo abbiamo incontrato per conoscere il percorso di state-building e democratizzazione della Georgia

25/09/2007, Maura Morandi -

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Jonathan Wheatley

Dal Suo punto di vista, quali elementi hanno caratterizzato il processo di transizione democratica e state-building della Georgia fin dalla sua dichiarazione d’indipendenza dall’Unione Sovietica?

Nel caso della Georgia post-sovietica possiamo parlare di pluralismo, per il modo in cui è caduta l’Unione Sovietica e per il modo in cui il processo di transizione è avvenuto. Il pluralismo è caratteristico delle repubbliche dove c’era un movimento di liberazione nazionale: se si guarda, infatti, ai paesi ex sovietici dove il movimento di liberazione nazionale è debole o inesistente si nota che il pluralismo non si è mai verificato ma si è avuto il consolidamento delle posizioni delle elite già al potere. Questo è il caso, ad esempio, delle Repubbliche dell’Asia Centrale e della Bielorussia. Nei primi anni Novanta in Georgia erano presenti sulla scena politica gruppi di diverso orientamento: gruppi nazionalisti (ad es. la "Tavola Rotonda" di Zviad Gamsakhurdia), le reti del vecchio Partito Comunista (in particolare il Komsomol), etc.

Quando il 7 marzo 1992 Edward Shevardnadze ritornò nel Paese,

lo stato georgiano non funzionava, non faceva quello che uno stato dovrebbe fare. Lo stato, infatti, dovrebbe avere il monopolio dell’uso della forza, ma in Georgia non era così a causa della presenza di diversi gruppi mafiosi. Lo stato, inoltre, dovrebbe fornire servizi, ma non era affatto in grado di farlo. Lo stato georgiano, infine, non era in grado di disporre le regole di base per il funzionamento della società, quali l’applicazione delle leggi, l’arbitrato etc. Si può dire quindi che lo stato georgiano non esisteva.

Salito al potere, Shevardnadze cercò di mettere insieme i pezzi e di ricostruire gradualmente lo stato. Per prima cosa ristabilì il ministero degli Interni e la polizia. Utilizzò le sue reti di contatti di partito e le introdusse negli apparati statali riuscendo a emarginare gradualmente la maggior parte dei gruppi nazionalisti. Nel 1995, infatti, solo uno dei partiti nazionalisti – il Partito Nazional-Democratico – riuscì a superare la barriera del 5% e ad ottenere seggi in parlamento. Shevardnadze, inoltre, istituì un partito di governo, l’Unione dei Cittadini della Georgia, che già nelle elezioni del 1995 era il più grande partito e ottenne la maggioranza in parlamento.

Ma nonostante Shevardnadze avesse centralizzato il potere attraverso la ricostruzione del ministero degli Interni, il reinserimento dei propri fedeli negli apparati pubblici e la creazione di un proprio partito, non riuscì a consolidare completamente il suo potere.

Nel periodo del governo di Shevardnadze in Georgia non c’era un sistema esattamente democratico ma piuttosto un sistema con una coalizione-ombrello che comprendeva l’Unione dei Cittadini della Georgia e altri gruppi sostenitori di Shevardnadze. Nonostante tali fazioni avessero interessi diversi all’interno della coalizione, Shevardnadze riuscì a stabilire un equilibrio tra loro. Si aveva quindi sì un sistema pluralistico, ma nel quale le elezioni non avrebbero mai cambiato niente perchè i vari partiti erano raggruppati sotto la stessa coalizione. Quando l’Unione dei Cittadini si spaccò, Shevardnadze cercò di ricomporla ma nel 2002-2003 nacquero diversi partiti d’opposizione. Per questo motivo le elezioni del 2003 furono particolarmente importanti, perchè non si aveva più la percezione che si dovesse scegliere tra le elite di Shevardnadze e che potesse avere effettivamente una vera scelta. Oltre all’ Unione dei Cittadini della Georgia di Shevardnadze si presentarono alle elezioni, tra gli altri, due partiti di opposizione composti da giovani politici: il Movimento Nazionale (fondato da Mikhail Saakashvili nel 2001) e i Democratici Uniti (fondato da Zurab Zhvania nel 2002).
Si può dire quindi che durante in governo Shevardnadze si aveva pluralismo ma non ancora democrazia e per quanto riguarda lo state-building il Governo fallì completamente nella costruzione dello Stato.

L’attuale governo di Saakashvili è molto più concentrato sullo state-building che sulla democratizzazione del Paese. In termini di democratizzazione direi che non c’è stato nessun miglioramento e nessun peggioramento, sebbene ci siano allo stesso tempo dei passi in avanti e dei passi indietro. Uno dei principali regressi nel processo di democratizzazione è il fatto che l’attuale governo sta cercando fortemente di controllare i mass-media e il settore giudiziario, in particolare in alcuni casi piuttosto sensibili. Per quanto riguarda il controllo dell’informazione, Saakashvili non è riuscito ad avere completamente successo in quanto a Tbilisi c’è un potente canale televisivo "Imedi" che non segue la linea di governo ed è diventato molto popolare. Naturalmente il governo non ne è affatto contento.

Sono dell’opinione che se Saakashvili non volesse davvero unirsi alla NATO e alle Istituzioni europee sarebbe molto più autoritario di quello che è ora, perché il suo istinto è autoritario. Saakashvili è molto più ideologico di Shevardnadze. Sotto Shevardnadze non c’era ideologia: l’ideologia era semplicemente proteggere gli interessi economici della classe dirigente. Il governo attuale invece ha una forte ideologia patriottica, l’aspetto fondamentale della quale è lo state-building, concepito come la rimozione di tutte le enclaves che impediscono il controllo dello Stato. La priorità nell’agenda politica di Saakashvili, infatti, è il restauro dell’integrità territoriale e quindi la reintegrazione dell’Abkhazia e dell’ Ossezia del Sud. Il governo sta inoltre perseguendo la linea politica di applicare le regole dello Stato in ogni parte del Paese, adottando anche leggi che spesso creano tensioni con le minoranze presenti in Georgia, soprattutto in merito alle lingue amministrative ufficiali. Un altro settore in cui il governo Saakashvili sta lavorando è la lotta alla corruzione.

Come ha influito la Rivoluzione delle Rose su questo processo?

Penso che la chiave dei cambiamenti avvenuti in Georgia dopo la Rivoluzione delle Rose consista nella migliorata capacità economica dello Stato. Prima del 2004 le entrate statali erano pari al 15% del PIL, oggi sono pari al 27%. Lo Stato è in grado di fornire più servizi e beni pubblici quali l’ elettricità, seppur ancora con qualche problema. La polizia non è più così corrotta come prima e non ci sono più bande criminali al suo interno. Il settore più riformato è quello della difesa: nel 2003 le spese per la difesa erano pari allo 0,3% del PIL, non si avevano nemmeno i soldi per comprare le scarpe ai soldati. Nel 2007 sono pari all’ 8%.
Per concludere direi che in termini di democratizzazione si è andati da un sistema comunista a un sistema non democratico pluralista fino ad arrivare a una democrazia ben gestita con Saakashvili. Sotto il profilo dello state-building, invece, si va da uno stato fallimentare ad uno stato con qualche significativa capacità.

Le relazioni tra Russia e Georgia sono sempre state difficili, con momenti di forte tensione come si sta verificando in questo periodo. Secondo Lei la Russia ha effettivamente un ruolo destabilizzante nella politica interna della Georgia?

Sì, penso che la Russia abbia un ruolo destabilizzante e che voglia giocare un ruolo predominante in Georgia. Credo però che la Russia non stia giocando bene le sue carte e che stia facendo seri errori nel perseguire il suo fine.
Per il governo Saakashvili l’integrità territoriale è la priorità numero uno, la Russia invece è determinata a mantenere la propria influenza su queste regioni, in particolare sull’Abkhazia. L’Abkhazia ha un’importanza strategica per la Russia, mentre credo che la questione dell’Ossezia del Sud sia piuttosto un questione d’orgoglio e di superbia e quindi penso che in futuro sarà molto più facile trovare un accordo con la Russia per l’Ossezia del Sud che per l’Abkhazia.

Un esempio del ruolo destabilizzante della Russia è il fatto che abbia iniziato a distribuire passaporti russi ai cittadini abkhazi e osseti con la scusa di voler proteggere i propri cittadini. Un altro esempio è il tentativo di indebolimento dell’economia georgiana attraverso il boicottaggio di alcuni prodotti per indurla a cambiare l’orientamento politico. Questa strategia però non ha dato i risultati sperati dalla Russia, anzi l’economia georgiana oggi è meno dipendente dalla Russia in termini di commercio e la Georgia ha trovato altri partner, tra i quali la Turchia è diventato il principale.

Secondo Lei, quali sono le prospettive di risoluzione dei conflitti nelle regioni secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud?

Credo che l’Ossezia del Sud verrà incorporata alla Georgia ma sono preoccupato per il modo in cui questo potrebbe avvenire perché in alcuni momenti sembra che la Georgia voglia usare la forza. L’anno scorso ci sono stati segnali forti in questo senso ma alla fine ha prevalso il consenso che ha portato alle dimissioni dell’allora ministro della Difesa, Irakli Okruashvili. Oggi la linea politica del governo georgiano ha portato all’istituzione di un’amministrazione parallela e alternativa a quella secessionista, guidata da Dmitry Sanakoyev. Quest’ultimo ha combattuto dalla parte dell’Ossezia del Sud nella guerra ed è stato ministro della Difesa e successivamente primo ministro del governo de facto di Ludwig Chibirov. Ora ha cambiato parte. Non so se questo governo parallelo possa funzionare, almeno che non vengano coinvolti gli abitanti dell’Ossezia del Sud. Saakashvili ha chiesto loro di unirsi ma naturalmente hanno rifiutato e rimangono estremamente sospettosi nei confronti della nuova amministrazione provvisoria.
Le possibilità di risoluzione del conflitto in Ossezia del Sud a mio parere, quindi, sono due: un tentativo da parte georgiana di riprendere l’Ossezia con la forza, che però porterebbe a conseguenze molto negative per la Georgia, oppure un qualche tipo accordo con Mosca per fare in modo che non sostenga più i secessionisti di Tskhinvali, nel qual caso il governo georgiano riuscirebbe probabilmente a riprendere il controllo della ragione senza troppe difficoltà.

Per quanto riguarda l’Abkhazia credo che sia una situazione estremamente difficile da risolvere. Anche perché mentre nel caso dell’Ossezia del Sud ci sono due parti, la Russia e la Georgia, nel caso dell’Abkhazia invece ce ne sono tre: russi, georgiani e abkhazi.
Un esempio dell’importanza della parte abkhaza è dato dalle elezioni presidenziali del 2004 che si sono tenute nella regione. In quella tornata elettorale vinse Bagapsh, nonostante Khadjimba fosse fortemente sostenuto da Putin. Quello che ne conseguì fu una forte pressione da parte di Mosca che portò alla nomina di Khadjimba a vice Presidente formalmente con poteri aumentati.

Si deve tenere in considerazione, inoltre, che in Abkhazia ci sono due fazioni: una pro russa, l’altra puramente per l’indipendenza. Credo che quest’ultima sia la più forte. La parte abkhaza è un giocatore importante nel conflitto perché, a differenza dell’Ossezia del Sud che vuole unirsi all’ Ossezia del Nord e quindi alla Russia, la stragrande maggioranza degli abkhazi non vuole entrare nella Federazione Russa.
L’Abkhazia, inoltre, sta cercando di stabilire contatti con i paesi europei mostrandosi molto democratizzata per tentare di ottenere una qualche forma di riconoscimento. Anche se credo proprio che questo non accadrà.

Onestamente non vedo nessun possibile progresso, nessuna reale prospettiva di risoluzione nel vicino futuro per quanto riguarda il conflitto in Abkhazia, perché non c’è niente in comune tra le parti e non vedo come possano trovare un compromesso. Attualmente la Russia, da parte sua, non vuole arrivare ad un consenso e anche se lo volesse in futuro poi bisognerebbe prendere in considerazione la volontà abkhaza e quindi le rivendicazioni degli indipendentisti.(1 – continua)

*Jonathan Wheatley è consulente freelance per lo European Centre for Minority Issues di Flensburg (Germania). Le sue aree di ricerca comprendono il processo di state-building e trasformazione democratica nell’ex Unione Sovietica e le problematiche relative alle minoranze nel Caucaso del Sud. Recentemente ha pubblicato il libro Georgia from National Awakening to Rose Revolution: Delayed Transition in the Former Soviet Union – Ashgate Publishing Editore – un’analisi del regime politico in Georgia dal 1988 al 2004.

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