Georgia: la crisi politica entra in un tunnel

In Georgia è in atto una crisi che rischia di far retrocedere il paese ad un passato che si pensava ormai superato. La rivalità tra i due maggiori partiti del paese, Sogno georgiano e Movimento nazionale unito, sta ormai travalicando i banchi parlamentari e della politica

01/03/2021, Marilisa Lorusso -

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Tblisi, febbraio 2021, giovani protestano nell'anniversario della fine della Prima repubblica georgiana (foto © EvaL Miko/shutterstock)

La decade 18-28 febbraio può essere riassunta con la frase di male in peggio, che è l’unico commento possibile su come si è avviluppata la crisi politica, e sempre più sociale, georgiana. Dieci giorni cominciati con le dimissioni del primo ministro, massima carica politica del paese, espresse in un’aula del parlamento priva dell’opposizione, e proseguiti con una catena di episodi che fanno sempre più sprofondare il paese verso un passato che ci si augurava fosse stato archiviato.

Atto primo: Garibashvili

Il primo atto della crisi che è seguita alle dimissioni del primo ministro Gakharia è la nomina e poi in tempi strettissimi la conferma dell’incarico a guida del governo di Irakli Garibashvili. Sogno Georgiano aveva 15 giorni per proporre un nome e poi andare al voto di fiducia, un lasso di tempo che avrebbe potuto permettere di entrare in qualche forma di consultazione con l’opposizione per cercare di ridurre la faglia che si è creata, e che sta diventando sempre di più una deriva di continenti. Invece il 23 febbraio, dopo soli 5 giorni, la Georgia ha avuto un nuovo primo ministro. Garibashvili è stato primo ministro dal 2013 al 2015, biennio in cui si è distinto per la posizione aggressiva nei confronti del Movimento Nazionale Unito (MNU), che aveva definito un’organizzazione criminale. Non esattamente il profilo di politico idoneo a ridurre la polarizzazione nel paese, come ha confermato il suo discorso programmatico al parlamento davanti a 91 deputati su 150, con sempre assente l’opposizione, ormai stabilmente nella piazza antistante al parlamento, piuttosto che al suo interno. Garibashvili ha ribadito che il MNU è un ricettacolo di criminali e t[]isti ed è stato poi confermato primo ministro con 89 voti favorevoli e due contrari.

Atto secondo: il blitz

A poche ore da questo sviluppo e in un giorno importante per la storia georgiana, andava in scena il secondo atto della crisi. Lo stesso 23 febbraio, data in cui si ricorda la fine della Prima Repubblica georgiana con l’occupazione e poi l’annessione all’Unione Sovietica, con un blitz alla sede del MNU, è stato arrestato Nika Melia.

Nikanor Melia, detto Nika, è il Segretario nazionale del MNU, ed era stata l’autorizzazione a procedere contro di lui da parte del parlamento ad innescare la crisi. Melia si era asserragliato nella sede del MNU fin dall’inizio della crisi, per resistere a un arresto che considera politicamente motivato. La sede è state letteralmente presa d’assalto, come confermano le immagini che sono state pubblicate dopo il blitz.

Il blitz è stato salutato favorevolmente in modo unanime da parte dei quadri di partito di Sogno Georgiano. Rimandando alla commemorazione del 23 febbraio, il Segretario del partito di maggioranza ha commentato : “È già chiaro che i moderni bolscevichi Mikhail Saakashvili, Nika Gvaramia, Giga Bokeria, Nikanor Melia, Nino Burjanadze, Nito Chkheidze, Irakli Okruashvili non potranno fare nulla contro lo stato georgiano”. Una lettura faziosa e polarizzata della linea politica delle principali figure politiche dell’opposizione e della linea editoriale di un giornalista, parole che non potevano che incendiare ulteriormente gli animi.

Atto terzo: l’aggressione a un giornalista

La notte del 24 febbraio Vakho Sanaia, giornalista di Formula TV, canale indipendente, è stato aggredito da tre persone in strada , mentre era insieme alla sua famiglia. Il giornalista si è trovato con la macchina in panne e mentre aspettava il soccorso stradale è stato riconosciuto e aggredito. I 3, ubriachi, lo hanno insultato e picchiato per la sua attività di giornalista. Il Centro per la Formazione e il Monitoraggio dei Diritti Umani ha sottolineato che: “È necessario notare l’inefficacia delle indagini su altri casi di attacchi ai giornalisti. Ad esempio il ferimento di dozzine di giornalisti durante la dispersione di una manifestazione di protesta il 20 giugno 2019 non è stato ancora indagato. Di conseguenza, ora stiamo assistendo a un’atmosfera di illegalità, ostilità e tensione all’interno della nostra società”. L’associazione Carta per l’Etica Giornalistica ha commentato: “La Carta invita le autorità a smetterla di parlare di norme per limitare la libertà di pensiero, parola ed espressione e, invece, a sostenere la libertà dei media astenendosi dall’attaccare i rappresentanti dei media, anche se questi ultimi appaiono critici nei confronti delle autorità del paese.”

Ora le accuse verso i tre, identificati e arrestati, sono di aggressione e minacce , e nell’atmosfera incandescente della Georgia di questi tempi forse si sono creati i presupposti perché questo reato non rimanga impunito.

Epilogo: Un disco rotto

Nuovamente i paesi partner della Georgia hanno sollecitato il paese perché si inverta la direzione, perché non si diano per scontati i successi raggiunti in termini di sicurezza interna, democratizzazione, ma si lavori, tutti, a consolidarli. I toni non sono gli stessi dell’inizio della crisi, sono più allarmati. Per la prima volta nelle altalenanti vicende dalla Rivoluzione delle Rose l’ambasciata americana ha emesso una dichiarazione che tradisce un senso dell’irrimediabilità di quello che è accaduto: “Siamo scioccati dalla retorica della leadership della Georgia durante la crisi. I metodi prepotenti e l’aggressione non sono il modo per risolvere i contrasti politici della Georgia. Oggi la Georgia ha fatto un passo indietro nel suo percorso di rafforzamento democratico nella famiglia dei paesi euro-atlantici”.

Il 1 marzo toccherà al presidente del Consiglio europeo incontrare le massime cariche di governo e di stato georgiano, nonché l’opposizione. La visita di Charles Michel era prevista ed è tappa di un viaggio che lo porterà in vari paesi ex sovietici. Chiaramente l’agenda degli incontri risentirà pesantemente della crisi in corso ed è auspicabile che il chiaro messaggio di decompressione della tensione venga inequivocabilmente inviato e ricevuto nello scambio fra le parti.

L’unica certezza è che di nuovo la piazza è mobilitata. Il calendario delle proteste già fa prevedere una mobilitazione fino a metà marzo. La Georgia non riesce a uscire da questa dinamica di polarizzazione e piazza, di piazza contro palazzo. Di nuovo non funziona in meccanismo democratico di rappresentare alcune istanze senza il bisogno di capipopolo e mobilitazioni – che peraltro nel pieno della crisi pandemica sono uno strumento non privo di rischi. In un momento così difficile e pieno di sfide , le istituzioni georgiane non riescono a svolgere la loro funzione di redimere le controversie, di essere lo spazio per una coabitazione pacifica di posizioni rappresentative delle varie anime del paese, e di essere il luogo in cui si amministra lo stato attraverso scelte politiche discusse, anche duramente, ma nei luoghi legittimi.

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