Georgia: i combattenti dello stato islamico
Circa un centinaio di cittadini georgiani sarebbero partiti per combattere dalla parte del cosiddetto Stato islamico in Siria. La situazione nella regione del Pankisi
Il 14 ottobre scorso Jainuladebin Hakikji, 36 anni, cittadino indiano, non ha ricevuto il consueto benvenuto georgiano all’arrivo all’aeroporto internazionale di Tbilisi su un volo da Dubai. Come riferito dal quotidiano britannico Daily Mail, al contrario di un suo collega ben rasato, Hakikji non ha avuto il permesso di entrare nel paese. Il ragioniere commercialista residente negli Emirati Arabi Uniti, musulmano, sostiene di essere stato preso di mira a causa della sua barba.
I documenti rilasciati dalla polizia di frontiera georgiana elencano le ragioni per le quali ai viaggiatori può essere impedito di entrare nel paese. Tuttavia, in questo caso non è stata spuntata nessuna delle voci, come la mancanza di fondi o dei documenti di viaggio necessari.
"Mentre aspettavo il volo di ritorno, un ufficiale è stato assegnato alla mia sorveglianza", ha dichiarato Hakikji a Gulf News. "’Volevo andare in bagno, ma lui ha detto che non era permesso. Mi hanno trattato come un criminale. Hanno detto che non potevano lasciarmi entrare nel paese per motivi di sicurezza, ma è stato a causa del mio aspetto. Io sono musulmano osservante, per questo porto la barba lunga".
L’esperienza di Hakikji si inquadra nella stretta dei controlli alle frontiere da parte della Georgia, conseguente alla delibera 2178 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dello scorso anno, finalizzata ad evitare il transito verso la Siria di chi cerca di unirsi allo Stato islamico – conosciuto anche come ISIS, ISIL e Daesh – o a gruppi affiliati ad al Qaida. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e il Dipartimento di Stato americano considerano infatti la Georgia una via di transito per le reclute straniere dal Caucaso del Nord e dall’Asia centrale.
I combattenti del Pankisi
Tarkhan Batirashvili, alias Abu Omar al-Shishani, proviene dalla pittoresca Gola del Pankisi della Georgia e, da veterano della guerra dell’agosto 2008 con la Russia, è un comandante militare di primo piano per l’ISIS. Ad oggi, si ritiene che almeno 13 abitanti del Pankisi siano morti combattendo in Siria.
La Georgia è in effetti anche una fonte di nuove reclute: ben 100 persone, molte dal Pankisi, avrebbero lasciato il paese per la Siria. Poiché i cittadini georgiani possono entrare in Turchia senza visto, esclusivamente sulla base della carta d’identità, è relativamente facile per chiunque voglia unirsi all’ISIS raggiungere la Siria. Così hanno fatto in aprile Muslim Kushtanashvili, 16 anni, e Ramzan Bagakashvili, 18.
Tradizionalmente Sufi, molti giovani di etnia Kist che vivono nel Pankisi sono sempre più attratti dal salafismo. Inoltre, le ONG riportano anche la conversione di alcuni azeri, per lo più sciiti piuttosto che sunniti. Una possibile spiegazione sta nel fatto che molti azeri della Georgia, così come del vicino Azerbaijan, sono non-settari nella loro comprensione dell’Islam. In Azerbaijan, il capo del Consiglio dei musulmani del Caucaso è sciita, mentre il suo vice è sunnita.
Nel villaggio azero di Karajala, in Georgia, ad esempio, due donne sotto i trent’anni, Elmira Suleymanova e Diana Gharibova, sono partite per la Turchia per seguire i mariti in Siria. Secondo i media, nessuna delle due viveva in povertà, ragione generalmente citata dal governo georgiano e da altri come responsabile del problema. In realtà, tuttavia, le cause della radicalizzazione sono molte e di varia natura.
Nel mese di maggio, entrare in un gruppo armato illegale e viaggiare all’estero per partecipare ad attività t[]istiche è diventato un reato punibile fino a nove anni di carcere. Tuttavia, nonostante l’attenzione altrove rivolta a politiche di anti-radicalizzazione mirate a combattere l’appeal ideologico di gruppi come l’ISIS, in Georgia non esistono programmi di questo tipo. La necessità di contrastare l’estremismo violento è evidenziata anche dalla risoluzione 2178 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Un’efficace attività di contrasto all’estremismo violento richiede il coinvolgimento di leader religiosi e della comunità, società civile locale, donne, giovani e testimoni credibili, come vittime del t[]ismo ed ex combattenti disillusi, per contrastare la narrazione di gruppi estremisti come l’ISIS.
Il fenomeno della radicalizzazione
"La mancanza di opportunità di un’istruzione islamica formale, istituzioni musulmane frammentate e la debolezza della società civile hanno aperto la porta a manifestazioni più conservatrici dell’Islam, tra cui l’Islam salafita", spiega Bennett Clifford, ricercatore della Wake Forest University. "I programmi dal basso e di comunità sono preferibili alle strategie governative di contrasto all’estremismo".
Se i programmi anti-radicalizzazione
sono destinati solo ai musulmani,
può insorgere una percezione
di essere presi di mira e
ricevere un trattamento ingiusto
Bennett Clifford
Clifford ha studiato la situazione in Pankisi, Adjara e Kvemo Kartli all’inizio di quest’anno. "L’economia è un fattore necessario, ma non sufficiente a spiegare la radicalizzazione", conclude.
I comportamenti discriminatori e talvolta estremisti di alcuni membri della Chiesa ortodossa georgiana nei confronti di cittadini musulmani in Adjara, e la marginalizzazione da parte della maggioranza cristiana in Georgia, potrebbero alimentare un’ulteriore radicalizzazione islamica.
"Se i programmi anti-radicalizzazione sono destinati solo ai musulmani", dice Clifford, "può insorgere una percezione di essere presi di mira e ricevere un trattamento ingiusto".
Ma ora, con la Russia impegnata militarmente in Siria, la narrazione dell’ISIS e degli altri gruppi che combattono Assad rischia di rivelarsi ancora più attraente, soprattutto in una comunità come quella del Pankisi, abitata da profughi delle guerre cecene degli anni novanta e duemila. La situazione è resa ancora più problematica dalla quasi totale assenza di narrazioni alternative alla propaganda estremista facilmente accessibile su Internet.
Nel mese di giugno Helena Bedwell, giornalista che lavora a Tbilisi, ha citato un esempio di questo fenomeno: "La religione del Pankisi è l’Islam", recita un post su un blog di notizie locali scritto da uno studente del Pankisi. "I musulmani vanno a fare la Jihad. Al giorno d’oggi, la Jihad è in Siria. Gli adolescenti del Pankisi vanno in Siria per fare la Jihad. Pensano che sia la strada giusta. Tanti ragazzi sono morti in Siria per Allah. Pensano che quando muoiono nella Jihad andranno in paradiso. Combattono contro i soldati di Assad. I mojahid provengono da tutto il mondo, compreso il Pankisi".
*Onnik James Krikorian partecipa a gruppi di lavoro di esperti, seminari e conferenze sul contrasto all’estremismo violento e al t[]ismo organizzati da CSCC (Center for Strategic Countert[]ism Communications), GCTF (Global Countert[]ism Forum), Hedayah Center, Centro Internazionale Antit[]ismo – L’Aia (ICCT), ufficio dell’OSCE in Tajikistan, OSCE Transnational Threats Department e UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime)