Georgia: è tempo di cambiare approccio sulla Guerra d’agosto

La Georgia non può continuare a vedersi esclusivamente come vittima nei conflitti separatisti che la riguardano. Occorre ripartire dal riconoscere le proprie responsabilità e dallo sforzarsi di guardare il conflitto con gli occhi di chi sta dall’alta parte del confine

31/08/2020, Maia Nukri Tabidze -

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Illustrazione: Dato Parulava/Oc Media

(Pubblicato originariamente da OC Media il 7 agosto 2020)

È passato più di un decennio dalla Guerra di agosto e tre decenni da quando sono scoppiati i primi conflitti territoriali in Georgia e tuttavia la discussione rimane sempre la stessa. Se si vuole superare la situazione di stallo, il governo e la società civile georgiana in generale devono riesaminare il modo in cui guardano e parlano di questi conflitti.

Chi ha iniziato la guerra in Ossezia meridionale nell’agosto 2008? Più di 10 anni dopo, le discussioni sulla guerra di agosto in Ossezia del Sud si riducono ancora a questa domanda. Ma chi abbia o meno sparato il primo colpo che ha dato avvio alla Guerra di agosto diventa poco rilevante se si considera che le persone continuano a vivere in una situazione di guerra fino ad oggi.

La Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata contro la Georgia su questa questione, un fatto ampiamente sfruttato dalla Russia per dipingere se stessa come pacificatrice tra georgiani e osseti del sud – camuffando ciò che in realtà è stata: una delle parti in conflitto.

La narrativa della Georgia è diametralmente opposta e gli eventi dell’agosto 2008 vengono inquadrati come una guerra russo-georgiana, ignorando del tutto gli osseti.

Nei dibattiti e nei discorsi sui media russi, che spesso ripetono le narrazioni proposte dal Cremlino, c’è una chiara tendenza ad incolpare la Georgia per aver "provocato" la Russia con la sua richiesta di adesione alla Nato. Una narrazione in linea con la politica neo-coloniale della Russia nell’area post-sovietica.

Tuttavia, la lotta della Georgia contro questo atteggiamento neocoloniale non implica che vi sia libertà da condizionamenti esterni – le soluzioni suggerite dal governo e dalla società civile spesso implicano esplicitamente o implicitamente il coinvolgimento della Nato e dell’Unione europea. E queste non sono affatto soluzioni che osseti del sud e abkhazi percepiscono come non oppressive.

Il supposto diritto russo sulla Georgia si traduce in supposto diritto georgiano sull’Ossezia del sud e l’Abkhazia, che a loro volta, si rifiutano di riconoscere le vittime dall’altra parte del filo spinato.

L’asimmetria di potere tra Georgia e Russia, così come il ritiro delle forze georgiane da Tskhinvali e lo sfollamento di decine di migliaia di persone dall’Ossezia meridionale, hanno reso l’ovvio ancora più chiaro: la Georgia non può cercare soluzioni aggressive in Abkhazia e Ossezia meridionale.

I sentimenti militaristici in Georgia sono in declino e sono state ripristinate alcune relazioni diplomatiche ed economiche con la Russia. Le leadership dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia, sebbene escluse dai negoziati diplomatici e dalle guerre di informazione tra Georgia e Russia, hanno registrato una certa apertura al dialogo con la Georgia.

Ciononostante siamo molto lontani da quelli che potrebbero essere definiti negoziati di pace. La Georgia è riuscita a denunciare la Russia come una parte in causa piuttosto che come un soggetto pacificatore nella regione. Tuttavia l’immagine della Georgia come vittima non porta a una visione adeguata a risolvere il conflitto.

Nessuna visione di pace

Dopo tre guerre e diversi scontri, la pace sembra essere così impopolare in Georgia che il governo non osa nemmeno sollevare la possibilità di un dialogo con le autorità dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale, soprattutto prima di elezioni.

Nel frattempo, la retorica della società civile è astorica e disinteressata a dir poco. Che si tratti della cattura del medico georgiano Vaja Gaprindashvili o dell’omicidio di Archil Tatunashvili, le soluzioni individuate dalle autorità georgiane sono a breve termine, rivolte esclusivamente all’esercito russo, e non si pongono nemmeno l’obiettivo di capire che ne pensi l’altra parte del conflitto della visione georgiana del conflitto stesso.

L’integrità territoriale dello Stato georgiano sembra essere l’unica preoccupazione, ma come popoli che sono stati nutriti di odio possano coesistere tra loro rimane senza risposta.

A livello statale, non vi sono proposte di possibili soluzioni al conflitto. Sogno georgiano, al governo, ha costruito la propria intera identità politica in opposizione al partito precedentemente al governo, il Movimento nazionale unito.

L’ex presidente Mikheil Saakashvili è stato accusato di essere il responsabile della guerra e sono state condannate -ed utilizzate per screditarlo – le soluzioni inefficaci e aggressive del precedente governo. Tuttavia, qui si è fermato il S​ogno Georgiano.

Non esiste un piano proattivo o un suggerimento, o anche una discussione aperta, su come risolvere il conflitto. Sia il governo che la società civile ricorrono solo alla ricerca di aiuto e riconoscimento da parte di una terza potenza, l’Occidente.

Illusioni georgiane

La promessa dell’adesione alla Nato e all’UE è associata alla risoluzione dei conflitti in un modo molto paradossale. È evidente infatti che l’interesse della Georgia ad aderire alla Nato la renderà sempre un potenziale bersaglio di violenza economica e reale da parte della Russia. Allo stesso tempo, la Nato, e in una certa misura l’UE, si riferiscono implicitamente ai conflitti e agli interessi della Russia in Georgia come motivo principale per rifiutare l’adesione della Georgia.

Anche se il paese aderisse a una di queste istituzioni, è chiaro fin da ora che la Russia non rinuncerà a questi suoi interessi, almeno non senza violenza. Ancora una volta, la pace non è lo scenario per il quale né il governo georgiano né la società civile stanno firmando.

La Georgia sembra illudersi che gli abkhazi e gli osseti inizieranno in qualche modo miracolosamente a convivere con i georgiani una volta che il fattore russo sarà stato eliminato. Allo stesso modo, gli interessi dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia a essere coinvolti con organizzazioni internazionali come l’UE sono spesso sopravvalutati.

La mancanza di interesse dell’UE nella regione e la riluttanza dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale a impegnarsi con le organizzazioni internazionali nella risoluzione dei conflitti o nella costruzione della democrazia riducono lo spazio per la cooperazione internazionale, soprattutto quando la soluzione è quasi sempre articolata in termini assolutisti: la Georgia deve riottenere i propri territori.

D’altra parte, il riconoscimento dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale lascerebbe gli oltre 200.000 sfollati senza soluzione e senza giustizia, il che lascia uno spazio limitato per il compromesso da entrambe le parti. Ci sono anche molti legittimi dubbi sul fatto che l’Abkhazia e l’Ossezia meridionale sarebbero mai disposte a scendere a compromessi su questo argomento.

Detto in questo modo, sembra che i conflitti siano destinati a essere congelati a tempo indeterminato: l’integrità territoriale del paese non sarà ripristinata con la forza poiché la Russia non rinuncerà al suo interesse nella regione e l’adesione alla NATO o non avverrà o comunque non fornirà alcuna garanzia per la risoluzione del conflitto.

Ma, nonostante quanto disperata appaia la situazione, vi sono ancora alcune mosse che il governo georgiano e la comunità internazionale potrebbero fare.

Una via per andare avanti

L’unico risultato della Georgia per quanto riguarda i conflitti è stato quello di smascherare gli interessi russi nella regione per quello che sono. Tuttavia, ciò non ha ridotto l’influenza della Russia in Abkhazia e Ossezia meridionale.

Sebbene sia impossibile interrompere completamente le relazioni con la Russia, potrebbero esserci modi per concentrarsi sul mettere in evidenza l’interferenza russa nella regione a tutti i livelli e utilizzare il sostegno internazionale come punto di partenza.

Il movimento anti-occupazione potrebbe anche concentrarsi più da vicino sull’influenza della potenza economica russa in Georgia, acquisita attraverso la proprietà di diverse aziende strategiche.

Inoltre, a parte iniziative frammentate come fornire assistenza sanitaria agli abkhazi e agli osseti del sud, il governo georgiano non ha avuto un approccio inclusivo rispetto alle comunità che rivendica come propri cittadini.

Ad esempio, il fatto che i signori della guerra georgiani degli anni ’90 non siano mai stati puniti non solo manda un messaggio minaccioso agli osseti e agli abkhazi, ma cancella anche il ricordo delle violenze subite dai georgiani stessi. Un esempio su tutti è quello di Jaba Ioseliani, un vero e proprio ladro a capo del famigerato gruppo paramilitare Mkhedrioni, che venne sepolto in modo cerimonioso al Pantheon di Didube (Cimitero di Tbilisi dove sono sepolte alcune tra le principali personalità storiche ed artistiche della Georgia, ndr).

In altre parole, il movimento anti-occupazione dovrebbe ragionare sulla violenza della guerra civile e il trauma collettivo che ha inflitto non in semplici termini nazionalistici, ma come un problema che tutta la Georgia, con tutte le sue comunità etniche, ha subito. Dovrebbero chiedere giustizia per tutti, non semplicemente per le vittime del potere coloniale russo.

Ciò è particolarmente importante dal momento che il poco scambio che c’è stato tra Georgia e Abkhazia e Ossezia meridionale è andato ulteriormente diminuendo nel corso degli anni. Una nuova generazione di sfollati – così come le giovani generazioni in questi territori – non partono certo nella loro vita dal ricordo di una convivenza pacifica e di amicizia e apprendono versioni della storia totalmente contrastanti.

Complessivamente, queste azioni sposterebbero la narrazione da quella del solo vittimismo al riconoscimento della colpa anche della propria parte. Questo ovviamente non fornisce alcuna garanzia che gli abkhazi e gli osseti del sud faranno lo stesso, ma donne e uomini di buona volontà esistono da entrambe le parti e costruire una storia più umana del conflitto non è così difficile se vi è la volontà politica di farlo.

Oltre lo stato-nazione

Questo porta a un suggerimento finale impopolare: una visione di risoluzione al di là degli interessi nazionalistici dello stato.

Finora, gli unici attori a cui la Georgia si riferisce quando parla del conflitto sono la Russia e l’Occidente. Gli osseti del sud e gli abkhazi non solo sono considerati come parti passive, quasi inesistenti, ma il conflitto in sé non viene mai collocato in uno spazio geopolitico più ampio.

Sebbene la Georgia abbia cercato attivamente di posizionarsi come parte dell’Europa, non possiamo ignorare il fatto che si trova innanzitutto nel Caucaso meridionale, una regione con tensioni politiche e conflitti congelati a ogni proprio confine riconosciuto o non riconosciuto.

Le soluzioni per la coesistenza non devono necessariamente attenersi alla rigida demarcazione dello stato-nazione e potrebbero prevedere identità ed entità più transnazionali.

L’autonomia e la sovranità di questo o quello stato non rispecchiano già ora gli indicatori geografici formali dello stato. Come affermato sopra, le influenze che i paesi o le organizzazioni più potenti esercitano nella regione sono già state negoziate, accettate o rifiutate.

Per un piccolo paese e a basso reddito come la Georgia, la ricerca di alleanze al di fuori dei suoi confini è inevitabile. Ciò è ancora più vero per l’Abkhazia e l’Ossezia meridionale, soprattutto per quest’ultima, che finora ha dimostrato una capacità limitata di esistere in modo indipendente.

Spremere queste regioni per causarne una rottura non ha funzionato e ha portato a legami più stretti tra loro e la Russia. Forse riconoscere i limiti e le vulnerabilità di tutte queste nazioni e trovare soluzioni comuni potrebbe rendere la situazione migliore.

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