Georgia, dalla piazza alla prigione

In Georgia si fa sempre più pesante la repressione dell’opposizione politica, con decine di figure chiave agli arresti o sotto processo, tra le denunce di irregolarità delle organizzazioni che difendono i diritti umani. Tra i tanti casi, spicca quello di Temur Katamadze

29/05/2025, Marilisa Lorusso -

Georgia-dalla-piazza-alla-prigione

Proteste in Georgia - © Valeria Petrova/Shutterstock

Il 22 maggio scorso, un tribunale georgiano ha posto in custodia cautelare il leader dell’opposizione Zurab Japaridze. Japaridze è una delle figure chiave della Coalizione per il Cambiamento, che risulta seconda alle elezioni parlamentari del 2024.

Japaridze si era rifiutato di comparire alla commissione parlamentare per la messa al bando dell’opposizione: per questo avrebbe quindi dovuto pagare una cauzione, ma non riconoscendo né la legittimità della commissione, né del parlamento, si è rifiutato, e rischia ora un anno di carcere.

Ma non sono solo i leader politici a finire in carcere. Dall’inizio delle proteste pro-Unione Europea nel novembre 2024, la risposta del governo di Tbilisi ha portato alla detenzione di oltre 460 persone, di cui più di 50 sono state incriminate penalmente. Le organizzazioni per i diritti umani hanno documentato casi diffusi di violenza e trattamenti disumani contro i detenuti.

Tra i casi più noti c’è quello di Giorgi Chikvaidze, un uomo d’affari che sostiene di avere informazioni pesanti su Bidzina Ivanishvili ed è stato arrestato l’11 marzo per presunta appropriazione indebita.

Il giorno successivo ha avviato uno sciopero della fame per protestare contro quello che ha definito un arresto motivato politicamente. Con il rapido peggioramento delle sue condizioni di salute, che hanno fatto temere danni cerebrali e una sospetta meningite, la difesa ha chiesto il suo trasferimento in una struttura medica specializzata.

Alla fine Chikvaidze è stato trasferito, anche se non in una sede con accesso a tutti i trattamenti, e in seguito ha sospeso temporaneamente lo sciopero della fame motivando questa scelta con il timore che le autorità carcerarie potessero usare le sue condizioni per ritardare i procedimenti giudiziari. Il 6 maggio Chikvaidze è stato condannato a nove anni di carcere.

Andro Chichinadze, noto attore, è stato arrestato a dicembre insieme ad altre dieci persone, tra cui il comico Onise Tskhadadze, con l’accusa di partecipazione a violenze di gruppo ai sensi dell’articolo 225 del Codice penale.

Il gruppo, accusato di essere coinvolto in disordini durante le manifestazioni pro-UE, continua a essere detenuto in custodia cautelare. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ammesso il suo caso, alimentando le speranze di un controllo internazionale.

Molti altri attivisti devono affrontare accuse altrettanto gravi. A marzo il Tribunale della città di Tbilisi ha rinviato a giudizio otto persone – Zviad Tsetskhladze, Vepkhia Kasradze, Vasil Kadzelashvili, Giorgi Gorgadze, Irakli Miminoshvili, Insaf Aliev, Tornike Goshadze e Nikoloz Javakhishvili – per accuse di violenza di gruppo, con gli organizzatori che rischiano fino a nove anni di reclusione.

Omar Okribelashvili, accusato di aver causato danni materiali di lieve entità, sarebbe stato trasferito forzatamente nel carcere di Rustavi nonostante gli sforzi legali per bloccarne il trasferimento. Nika Katsia e Giorgi Akhobadze, arrestati durante le proteste di dicembre, sono stati accusati di spaccio di droga – accuse che i loro difensori sostengono siano fabbricate.

Un altro caso, quello di Giorgi Okmelashvili, condannato a cinque anni per la presunta aggressione a un agente di polizia, è oggetto di aspre critiche da parte di gruppi della società civile che affermano che il suo processo è stato viziato da violazioni procedurali e uso improprio delle prove.

Ad oggi, decine di manifestanti rimangono in custodia. Gli organismi di controllo dei diritti umani continuano a monitorare i processi, denunciando costanti preoccupazioni circa l’indipendenza della magistratura, gli abusi da parte della polizia e le ritorsioni politiche contro gli attivisti.

Temur Katamadze: da icona delle proteste a detenuto politico

Temur Katamadze, cittadino turco di origine georgiana (il suo nome turco è Gaffar Yilmaz), è diventato una figura simbolica nella recente ondata di proteste in Georgia. Noto tra i manifestanti come il “portabandiera”, Katamadze ha guadagnato visibilità per il suo ruolo di primo piano nelle manifestazioni antigovernative spesso visto in prima linea a sventolare la bandiera georgiana. Nonostante i suoi forti legami con la Georgia, dove vive dal 2012, il suo status giuridico rimane precario.

Le autorità georgiane hanno ripetutamente respinto le sue domande di cittadinanza e, più recentemente, di rifugiato. Il 18 marzo, il Tribunale della città di Tbilisi ha respinto la richiesta di asilo di Katamadze, una decisione che lo espone a gravi rischi. Katamadze teme fortemente il rimpatrio.

Secondo l’Associazione dei Giovani Avvocati Georgiani (GYLA), Katamadze rischia un mandato di arresto in Turchia e teme persecuzioni politiche in caso di espulsione. Katamadze sostiene che il mandato d’arresto nei suoi confronti possa derivare dalla sua pluridecennale difesa dei diritti della diaspora georgiana in Turchia – un attivismo che, a suo dire, lo ha reso un “bersaglio dello Stato turco”.

Katamadze sarebbe stato informato nel 2023 che, se fosse entrato in Turchia, sarebbe stato arrestato per presunto sostegno al defunto Fethullah Gülen (un oppositore politico dichiarato nemico dal governo turco) e che la sua stessa vita avrebbe potuto essere in pericolo.

Katamadze afferma che la storia è stata inventata, un’affermazione confermata dal suo avvocato. Dalla detenzione, il 21 marzo ha rivolto un appello diretto alla presidente georgiana uscente Salome Zourabichvili, esortandola a contattare il presidente francese Emmanuel Macron affinché intervenisse in suo favore.

La detenzione di Katamadze è stata segnata da crescenti tensioni e da un peggioramento delle sue condizioni di salute. Dopo uno sciopero della fame di 48 giorni iniziato all’inizio di quest’anno ha perso oltre 20 chili prima di essere trasferito alla clinica Vivamedi di Tbilisi il 4 marzo. Il giorno dopo è stato accusato di aver aggredito la direttrice della clinica, Nino Nadiradze, e multato di 2.800 lari georgiani (circa 900 euro).

Katamadze e i suoi sostenitori negano l’accusa, considerandola parte di una più ampia campagna per screditarlo e isolarlo. Il 1° aprile, Katamadze ha ripreso lo sciopero della fame. Il Tribunale della città di Tbilisi ha esteso la sua detenzione fino a sei mesi.

Katamadze si trova ad affrontare una difficile battaglia legale, in cui il suo status è ipotecato alle sue opinioni politiche, a riprova delle numerose leve che il governo ha nelle proprie mani contro i manifestanti, a maggior ragione chi si trova in condizione di vulnerabilità legale.

Il 29 aprile la Corte d’appello di Tbilisi gli ha negato lo status di rifugiato o di persona con permesso speciale per motivi umanitari, una decisione che comporta la imminente deportazione in Turchia.

L’Associazione dei Giovani Avvocati Georgiani (GYLA) riferisce che il Tribunale della Città di Tbilisi ha accolto la sua richiesta e sospeso la decisione del Dipartimento per l’Immigrazione del Ministero degli Affari Interni del 30 aprile relativa all’espulsione dalla Georgia di Katamadze, fino a quando il tribunale non avrà preso una decisione definitiva, entro trenta giorni.

Intanto Katamadze il 15 maggio ha ricominciato un breve sciopero della fame di protesta anche in solidarietà con la condanna a nove anni di Chikvaidze.

Tag:

Commenta e condividi

I più letti

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta