Georgia: carceri e salute mentale
In Georgia un doloroso fatto di cronaca ha riportato all’attenzione il tema della tutela della salute mentale delle persone fragili e in particolare dei detenuti. Nelle carceri mancano assistenti sociali qualificati, psicologi, psichiatri e personale di reparto
In agosto un fatto di cronaca ha scosso la Georgia. Il 18 di quel mese un detenuto è stato trasferito dal carcere al Centro di Salute Mentale e di Lotta contro le Tossicodipendenze. Dopo 2 giorni una pattuglia lo ha prelevato per riportarlo in carcere ma il giovane è riuscito a sottrarre un’arma a un agente di scorta e a sparare un colpo agli agenti – senza ferirli – e uno a se stesso. È finito in coma, per poi morire in ospedale. Disperata la madre che ha dichiarato : “Come ha fatto una pistola a finire in mano a mio figlio… Come si è sparato? Spiegatemelo”. "Hanno deciso che in un giorno il ragazzo era guarito, ma il ragazzo non stava bene, non era pronto per essere riportato in prigione".
Sull’incidente sono partire delle indagini, che hanno coinvolto innanzitutto l’agente a cui è stata sottratta l’arma. Quest’ultimo è stato arrestato ai sensi dell’articolo 342, paragrafo 2, del Codice penale della Georgia, cioè per negligenza dei doveri d’ufficio con conseguente morte o gravi conseguenze. Le accuse comportano una possibile condanna a 2-5 anni di reclusione. Bacho Kvaratskhelia, capo della divisione investigativa, ha specificato che l’ufficiale avrebbe grosse responsabilità perché si muoveva con un’arma personale senza dovuta tutela il che avrebbe reso possibile al detenuto, persona in condizione di vulnerabilità psichiatrica e suscettibile a comportamenti non prevedibili, di comparirgli alle spalle e sottrargliela.
L’episodio è sintomatico non solo di un comportamento individuale che andrà accertato in sede processuale, ma anche dei problemi che riguardano le persone con disturbi mentali in Georgia.
La salute in carcere
La madre del detenuto ha innanzitutto criticato la scelta di trasferire il ragazzo. Uno dei problemi della Georgia che nemmeno le riforme del sistema carcerario hanno saputo risolvere è che hanno ereditato l’obsoleto modello sovietico: carceri pollaio dove rimane scarsissima la qualità dell’assistenza medica e soprattutto psichiatrica. La questione è riemersa anche nel quadro della carcerazione di Mikheil Saakashvili, quando le sue condizioni di salute ne hanno imposto il trasferimento perché il carcere in cui stava scontando la condanna non era una struttura adeguata.
Nel più recente rapporto del Dipartimento di Stato americano sulla protezione dei diritti umani si sottolinea che la tutela della salute mentale rimane inadeguata all’interno del sistema penitenziario, dove lo screening iniziale della salute mentale dei detenuti è presente solo in due carceri nell’ambito di un progetto pilota sostenuto dal Consiglio d’Europa. Il sistema carcerario manca di assistenti sociali qualificati, psicologi, psichiatri e personale di reparto. I detenuti ottengono di essere visitati soltanto in caso di emergenza, per la dialisi programmata, per la chemioterapia o trattamenti medici post-operatori. Insomma, categorie vulnerabili come i borderline o le persone con disturbi psicologi o psichiatrici non trovano una adeguata assistenza.
La salute mentale, una sfida
Ma non è solo in carcere che la tutela della salute mentale in Georgia rimane una sfida. Due studi, di cui uno sugli effetti della pandemia di Covid-19 sul settore della sanità in categorie vulnerabili, hanno evidenziato che la Georgia rimane su questo tema molto indietro rispetto ad altri paesi. Anche qui il punto di partenza è il sistema sovietico. Nell’Urss le persone con disturbi mentali venivano internate in grandi manicomi, e l’approccio terapeutico era farmacologico e non strutturato intorno alle esigenze del singolo degente. Dopo l’indipendenza la Georgia si è instradata verso una riforma del sistema e i vecchi manicomi sovietici sono stati progressivamente smantellati con il progetto di creare realtà più piccole, più concentrate sui bisogni dei singoli pazienti, adottando un approccio più in linea con le terapie contemporanee. Ma è una transizione resa molto difficile dai costi, dalla carenza di personale, dalla difficoltà a oltrepassare il paradigma di rinchiudere la persona con dei disturbi in una struttura.
Uno studio pone a confronto il sistema inglese con quello georgiano. Il Regno Unito investe molto di più nella salute mentale della Georgia. Comparandolo con la spesa sanitaria dei due paesi il Regno Unito spende 5 volte in più. Gran parte di questo budget va a cure non ospedaliere, mentre le cure ospedaliere in Georgia assorbono oltre il 70% del totale speso per la salute mentale. Questo lascia le persone affette da disturbi mentali con pochissime opzioni tranne il ricovero in ospedale. Le cure in istituzioni ancora non riformate drenano il budget per i trattamenti di salute mentale, mentre le terapie ambulatoriali, o lo sviluppo di una rete di Centri di igiene mentale sul territorio, quali per esempio presenti in Italia, rimangono il tallone d’Achille della tutela della salute mentale nel paese.
Gli interventi di emergenza da soli assorbono il 20% del budget stanziato per gli ambulatori e sono un servizio disponibile in un numero limitato di regioni.
Il servizio di riabilitazione psico-sociale che è finalizzato a promuovere l’integrazione sociale e le condizioni di adattamento per le persone con disturbi mentali, è anch’esso limitato a poche istituzioni nell’intero paese e copre quindi un numero esiguo di beneficiari.
La tutela dell’igiene mentale è sempre un tema delicato, in vari paesi. Il diritto ad essere accolti e messi in condizione di vivere in società per le persone con disturbi mentali e psichiatrici è un percorso relativamente recente e che combatte contro pregiudizi, ostacoli di varia natura, e molto spesso contro una volontà politica limitata che si concretizza in investimenti inadeguati. La Georgia ha dimostrato di volersi instradare verso questa rivoluzione di civiltà, ma rimangono carenti i fondi, le strutture, il personale. Questo nuovo, tragico fatto di cronaca, ricorda quanta strada ancora c’è da fare.