Geografia del voto presidenziale turco

Tre macchie cromatiche spartiscono la Turchia in altrettanti settori per illustrare l’esito delle elezioni presidenziali nel paese. La mappa elettorale turca assomiglia però anche ad un atlante storico dove dinamiche recenti e millenarie si intrecciano fino a determinare le scelte politiche 

26/08/2014, Fabrizio Polacco -

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Milliyet - foto F.Polacco

Fa una curiosa impressione osservare, sui giornali turchi, la distribuzione territoriale dei voti ottenuti dai tre candidati nelle recenti elezioni presidenziali. La mappa del Paese viene suddivisa nelle sue 81 province (iller), e la colorazione di ciascuna varia in base al candidato che vi ha riportato la vittoria. La testata Milliyet, ad esempio, colora in rosso quelle conquistate dal rappresentante dell’opposizione, Ekmeleddin İhsanoĝlu, in giallo quelle attribuite al vincitore, il capo del Governo uscente Recep Tayyip Erdoĝan, e in azzurro quelle del terzo arrivato, il capo del partito curdo HDP Selahattin Demirtaş. E’ un tipo di rappresentazione del voto assai consueta in tutte le elezioni del mondo: nel caso turco, tuttavia, le macchie di colore che ne risultano sono tanto singolari da evidenziare realtà che le sole semplici cifre delle percentuali raggiunte dai tre candidati (rispettivamente il 38,5, il 51,7 e il 9,8) non lascerebbero immaginare.

Anzitutto, l’impressione generale non è quella di un mosaico di tessere dai colori disordinatamente alternati, ma di tre macchie cromatiche compatte e ben distinte tra loro, che spartiscono il paese in altrettanti settori. Le province conquistate da ciascuno dei tre concorrenti sono infatti tutte territorialmente contigue tra loro (solo tre sono le eccezioni, su ottantuno province; ma anche queste uniche ‘isole’ – quella occidentale di Eskişeyir, e quelle orientali di Bilitis e di Tunceli – sono spazialmente assai poco distanti dal gruppo delle altre che hanno fatto registrare lo stesso vincitore).

Così, la carta della nazione si presenta costituita da uno straripante corpo centrale giallo, che va dagli estremi confini orientali con la Georgia e con l’Armenia fino alle sponde del Mar di Marmara, là dove sorge İstanbul: comprende cioè gran parte dell’Anatolia interna, arrivando a sud ai confini con la Siria, dove ingloba gli importanti centri di Gazı Antep e Şanlı Urfa. Questa è la zona conquistata dal vincente leader dell’AKP, Erdoĝan: che, lo ricordiamo, è divenuto così il primo Presidente della Repubblica Turca ad essere stato eletto direttamente dal suffragio popolare. Il ‘giallo’ dell’AKP è dunque, come ci si poteva aspettare, visivamente dominante. E tuttavia lo è ben più della percentuale dei suffragi ottenuta. Non la metà, come ci si aspetterebbe, ma i quattro quinti del territorio turco sembrano averlo sostenuto. Erdoĝan ha in effetti conquistato ben più del 52% delle province (sono ben 55 su 81 quelle ‘colorate’ del giallo AKP), e queste sono in genere territorialmente più estese di quelle conquistate dagli avversari. Nell’Anatolia centrale del resto si trovano gli iller di maggior superficie e meno densamente popolati, quelli in cui i maggiori centri abitati, anche assai industrializzati, sono circondati da estese campagne, fatte di piccoli villaggi che vivono di agricoltura o di pastorizia. Una vittoria, dunque, quella di Erdoĝan, maggioritaria sì, anche in alcune importanti città, ma addirittura schiacciante nelle campagne.

Istanbul specchio della Turchia

Anche Ankara ed İstanbul hanno scelto Erdoĝan. Ma va ricordato che quello di İstanbul è un caso a parte: l’imponente crescita demografica di questa megalopoli di oltre dieci milioni di abitanti è dovuta alla forte immigrazione interna, che è proveniente da tutte le zone del paese. La città è divenuta così, potremmo dire, lo specchio dell’intera Turchia. E ciò è confermato dal fatto che le percentuali ottenute qui dai tre candidati rispecchiano più o meno quelle ottenute a livello nazionale (nell’ordine: 50,17 %, 40,59 % e 9,23%). Inoltre, qui e ad Ankara la vittoria del leader AKP non è stata schiacciante come nelle regioni meno urbanizzate, dove ha talvolta superato il 60 o il 70% dei suffragi (il 75% nella ultratradizionialista provincia di Konya, e addirittura l’80% nella Rize di cui egli è originario, sul Mar Nero).
Sbaglierebbe dunque chi attribuisse ad Erdoĝan solo il sostegno della cosiddetta ‘Anatolia profonda’, poiché anche tutta la costa del Mar Nero, dal Caucaso alla parte più orientale del Mar di Marmara, ha sostenuto il nuovo Presidente.

Diyarbakir, mura della città vecchia

Diyarbakir, mura della città vecchia – Foto Yunus Emre Aydin

Altrettanto compatto territorialmente, e anch’esso talvolta plebiscitario, appare il risultato del curdo Demirtaş. Il candidato ha prevalso in 11 iller che sono tutti concentrati nella Turchia sud orientale, là dove, oltre i confini, si estendono paesi come l’Iran e l’Iraq: dalla incantevole Mardin alla terra dell’Hakkâri, spesso teatro di scontri armati con gli indipendentisti, fino alla regione del lago Van, comprendendo ovviamente il principale centro urbano popolato di curdi, Diyarbakır. Non è tuttavia sorprendente, questo voto, perché siamo proprio nelle regioni ove prevale tale minoranza: si tratta quindi di un suffragio marcatamente etnico, e allo stesso tempo tradizionale e culturale, visto che il rispetto della identità di questo popolo continua ad essere una delle principali questioni aperte della Turchia contemporanea.

Più curiosa e meritevole di analisi appare invece la distribuzione geografica delle province conquistate dai due partiti laici ancora legati alla figura del fondatore della Turchia moderna, M. Kemal Atatürk: il CHP e il MHP. Anche le regioni da loro conquistate sono territorialmente adiacenti, però non paiono agglomerate; costituiscono, più che una macchia, una collana, una collana rossa, nella scelta cromatica di Milliyet. Essa parte dalla cosiddetta Turchia europea (la Tracia orientale) e dal lato a noi più vicino del Mar di Marmara, prosegue lungo le sponde del mar Egeo, dai Dardanelli a Smirne, e poi nel Mediterraneo orientale, da Antalya ad Adana, per finire ad Antiochia, nella regione dell’Hatay, che è geograficamente incuneata nella Siria settentrionale. Di converso, è impressionante notare come nessuna delle regioni conquistate da Erdoĝan si affacci sull’Egeo né sul Mediterraneo. Dunque, come sottolinea il titolo di un articolo apparso sullo stesso quotidiano, hanno prevalso ‘Sulle sponde İhsanoĝlu, nelle campagne Erdoĝan’ .

E’ tuttavia un peccato che questo articolo di Milliyet , al di là del titolo, si fermi più che altro ad una constatazione geografica. Molto più interessante sarebbe invece analizzare la contrapposizione politico-elettorale tra ‘sponde e interno’ (pur con le precisazioni che abbiamo fatto), ricercandone le cause. Che stavolta non sono certo etniche (come appare per i voti del candidato Demirtaş), ma prevalentemente economico-culturali, e per di più sembrano poggiare su alcune condizioni storiche di lunga e di breve durata. La cosa impressionante, infatti – per chi sia capace di leggere il presente senza rimanere schiacciato sulla sola contemporaneità, ma osservandolo in una prospettiva temporale più ampia – è che, osservando questa recente mappa elettorale turca, pare di trovarsi di fronte ad una pagina illustrata di un atlante storico.

Divisioni storico-geografiche

Antakya: la chiesa che si vuole fondata da San Pietro nel I secolo d.C

Antakya: la chiesa che si vuole fondata da San Pietro nel I secolo d.C – Foto F.Polacco

Anzitutto, e in generale, quelle segnate dal ‘rosso’ dei due partiti laici sostenitori dello sconfitto Ekmeleddin İhsanoĝlu sono da sempre le regioni più aperte agli influssi esterni della Turchia, poiché si trovano a più stretto contatto, attraverso il mare, con le altre sponde del Mediterraneo, con l’Occidente e con l’Europa. E’ una vicenda che si rinnova da tre millenni, da quando, nei ‘secoli bui’ del medioevo ellenico (XII-XI sec. a.C.) su queste coste fiorirono un centinaio di colonie greche (le famose città-stato, le pòleis). Non si tratta di un passato tanto remoto, se si pensa che oltre un milione di greci continuarono a vivere, a commerciare, a fare affari lungo queste coste fino al 1923, l’anno dello scambio forzato di popolazioni tra Grecia e Repubblica Turca stabilito dal trattato di Losanna. Tanto per dare dei sommari punti di riferimento, lungo queste coste si trovano tanto la città di Ilio (Troia) cantata da Omero, quanto la Smirne/İzmir dove forse nacque; la metropoli greco-romana di Efeso (quella visitata da S. Paolo e frequentata, si dice, dalla Madonna e dall’evangelista Giovanni dopo la morte di Gesù); la Mileto che vide sorgere la prima scuola filosofica occidentale – quella ‘ionica’ di Talete e dei suoi successori – e l’Alicarnasso (Bodrum) dove nacque Erodoto, l’autore della prima nostra narrazione storica; fino ad Attaleia (Antalya), ad Aspendos (dove lo stesso Atatürk fece restaurare quello che è il teatro classico meglio conservato dell’antichità), a Side, alla Tarsus (Tarso) di S. Paolo e ad Antakya (Antiochia), detta ‘città delle tre religioni’, dove si visita ancora quella che fu forse la più antica chiesa cristiana.

La prossimità con il mare di queste zone non ha favorito nei millenni solo le colonizzazioni, i commerci, i fecondi scambi culturali e quindi la nascita di nuove visioni del mondo. Queste sono, da alcuni decenni, anche le regioni del paese dove il turismo si è trasformato in una delle attività economiche prevalenti. Per molti europei e occidentali in genere, andare in vacanza in Turchia significa spesso null’altro che effettuare un soggiorno in località come Bodrum, Kuşadası, Marmaris, certi di ritrovarvi tutte le comodità, le libertà e le opportunità di vita che sono tipiche dei paesi di provenienza. Sono località che per cinque, sei mesi l’anno accolgono milioni di stranieri, oltre ad essere prescelte da non pochi villeggianti stanziali, che vi risiedono stabilmente magari dopo essere andati in pensione: con tutto ciò che questo significa nel campo dei contatti economici e personali, dell’influsso dei costumi, dei modi di vivere, ed anche dello scambio di idee e dei modi pensare.
 
Le ‘coste’ del titolo di Milliyet, insomma, la ‘collana rossa’ delle regioni conquistate dal principale candidato sconfitto nelle elezioni del 10 agosto, gravitano ancora attorno all’Europa, sono il diaframma poroso che filtra ed assorbe gli influssi dell’Occidente. Così è da millenni, e così di certo continuerà ancora ad essere.

Assai diverso il discorso è per le coste settentrionali turche, quelle bagnate dal Mar Nero, che, come si è detto, hanno compattamente sostenuto anch’esse il vincitore Erdoĝan. Prevalentemente importuose, spesso strette tra i monti (le Alpi Pontiche) che si spingono talvolta fino al mare, sono state nel corso dei millenni sempre più difficili da raggiungere, ma anche da controllare e da conquistare. Già gli antichi Greci si limitarono ad aggrapparsi ad alcune, pur prestigiose, colonie marinare (come Sinope o Trabzon, Trebisonda), sebbene poi a partire dall’Ellenismo, ma anche sotto Bisanzio e nel multiculturale impero ottomano, sciamarono lungo alcune vallate interne del paese. Ma neppure il grande Alessandro le conquistò mai veramente; e da qui, poco dopo, insorse contro i Romani il temibile Mitridate, uno dei loro più accaniti e tenaci avversari. Oggi, dopo il crollo dell’impero sovietico, tutta questa costa settentrionale sta acquisendo una nuova centralità commerciale e vive una discreta fioritura economica. Ma si rivolge piuttosto alla Russia e all’Asia caucasica e centrale (qui arrivava una diramazione della Via della Seta), che non all’Occidente.

Ancor più radicato storicamente, se vogliamo, è il gruppo compatto delle regioni estreme sud orientali del paese, quelle colorate nell’azzurro dei sostenitori di Demirtaş. Qui siamo addirittura non più in Anatolia, ma in Mesopotamia settentrionale, tra l’Eufrate e il Tigri, e nel territorio turco anche oltre questi due fiumi. Sono regioni di civiltà antichissime che si sono succedute l’un l’altra nel corso dei millenni, intrecciandosi, influenzandosi e scontrandosi tra loro; anzi, addirittura queste terre costituirono la cuspide settentrionale di quella ‘mezzaluna fertile’ che vide nascere l’agricoltura nel corso del Neolitico. Gli stessi curdi, popolo di lingua indoeuropea incuneato oggi tra arabi, turchi e persiani, hanno origini che si perdono nella notte dei tempi, e che sono ancora oggetto di discussione tra i linguisti e gli storiografi per stabilirne i corretti connotati etnico-linguistici. Il partito HDP di Demirtaş non si è certo caratterizzato solo come pro-curdo, ma ha posto al centro del proprio programma i diritti di tutte le altre minoranze, non solo etniche, ma anche religiose, linguistiche e sessuali, assumendo un profilo di sinistra libertaria e laica. Però, a giudicare dai risultati, non è riuscito ugualmente a superare gli steccati dell’appartenenza etnica, vincendo solo nel sud-est del Paese.

"Determinismo storico"

Insomma, questa volta come non mai il quadro cromatico della mappa elettorale turca assomiglia appunto quello di un atlante storico: dinamiche recenti e millenarie paiono essersi intrecciate nel tempo fino a determinare, come forze costanti di lunga durata, scelte politico elettorali di poche settimane fa che sono in definitiva piuttosto scontate. Come anche commenta il titolo sovrastante la mappa di Milliyet, ‘Nella carta elettorale turca il quadro ancora una volta non è cambiato’.

Una società che continua a vivere una fase di forte sviluppo economico e demografico, insomma, non sembra altrettanto capace di sottrarsi ad una sorta di ‘determinismo storico’ che la mantiene suddivisa in grandi aree che compattamente e omogeneamente si schierano l’una contro l’altra, riproducendo nel tempo se stesse: tre enormi raggruppamenti socioculturali che diventano quasi automaticamente anche politico-elettorali, e perciò stesso risultano poco permeabili tra loro.

Quali le cause di questo marcato irrigidimento? Forse la mancanza di un adeguato dibattito politico e culturale interno? L’effetto negativo della sempre minore libertà di stampa e di informazione segnalata da non poche agenzie ed osservatori internazionali? Oppure, il frutto di un sistema di istruzione che, seppur recentemente riformato, dà forse troppo poco spazio ad una riflessione critica storico-filosofica, a favore di discipline tecnico scientifiche considerate sempre più centrali, magari proprio in nome di un adeguamento a quella Europa tecnologizzata in cui pur sempre si sostiene di voler entrare? Anche i moti di protesta scoppiati nell’ultimo anno e mezzo, probabilmente, con i loro strascichi di risentimenti, di reciproche accuse e di conseguenze assai dolorose, possono aver contribuito a radicalizzare le posizioni. Ma l’impressione generale è che vi sia nella Turchia di oggi come un passato che non passa – e per di più straordinariamente ricco, prestigioso ed imponente -, che si reincarna continuamente in un presente il quale a sua volta non riesce più a dominarlo e a gestirlo come dovrebbe e potrebbe accadere: ne appare, al contrario, dominato e vincolato.
 
Certo è che un paese così straordinariamente vario e ricco di risorse umane e culturali come la Turchia, da millenni – e per motivi non solo geografici – tanto rilevante sia per il Medio Oriente e l’Asia centrale che per l’Europa, avrebbe tutto da guadagnare se uscisse dall’irrigidimento e dalla attuale dura contrapposizione tra le varie componenti interne, e se valorizzasse la sua pluralità di culture, di modi di vivere e di pensare nella maniera migliore: lasciandoli, cioè, e lasciandosene contaminare. Senza soggezione verso il passato, ma anche senza timori per il futuro.

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