Generazione sacrificale

Rositza Valkanova, entra nel mondo del cinema come regista, per poi divenire, negli anni ’90 una delle prime produttrici in Bulgaria. Nelle sue parole le difficoltà e le speranze della "generazione sacrificale", sospesa tra il vecchio che non passa e il nuovo che non sembra arrivare mai

25/06/2008, Francesco Martino - Sofia

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Come è iniziata la sua avventura nel mondo del cinema?

Verso la fine del liceo ho iniziato a pensare che volevo studiare regia cinematografica, e alla fine sono proprio riuscita a diplomarmi in questa materia nell’82. Ho avuto la fortuna di far parte di una classe eccezionale, a cominciare dagli insegnanti, il prof. Hristo Hristov, che è venuto recentemente a mancare, il prof. Georgi Dyulgerov e Mladen Kiselov, regista teatrale. Il destino ha poi voluto che si trovassero nella mia classe i nomi che al momento sono i più significativi del cinema bulgaro attuale, Iglika Trifonova, Lyudmil Todorov, Svetoslav Ovcharov, Ivan Cherkelov, Milena Andonova e Mario Krastev. Fino all’89 ho lavorato negli studi di produzione di documentari. Con la fine del regime gli studi non furono chiusi, ma il personale, registi, operatori non furono più pagati dallo stato, e quindi ci siamo ritrovati sulla strada Dopo qualche anno comparve in Bulgaria la professione di produttore. Intorno al ’94, dopo alcuni tentativi andati a vuoto di trovare appunto un produttore che potesse supportare i nostri progetti cinematografici, i miei amici e compagni di classe un giorno decisero all’unanimità che io sarei dovuta diventare produttore…E alla fine è andata proprio così.

Mi può raccontare un po’ più di come la sua generazione ha vissuto gli anni del passaggio dal vecchio regime alla democrazia?

La mia generazione, è quella che ha cominciato a lavorare nel vecchio sistema per poi continuare nel nuovo. Lavorare nel vecchio sistema non era affatto facile, per una serie di motivi di tipo amministrativo. Ad esempio pretendevano che lavorassimo come assistenti alla regia per almeno cinque anni o in almeno dieci film per ottenere il diritto ad esordire con un proprio lavoro. Non appena abbiamo cominciato a lavorare per conto nostro sono arrivati i grandi cambiamenti, e dieci anni si può dire che sono andati perduti o quasi, alla fine quando abbiamo rincominciato a lavorare verso la fine degli anni ’90 abbiamo dovuto ascoltare le continue critiche di chi diceva "eh…non si fanno più i film di una volta", e poi proprio nel momento in cui le cose si sono stabilizzate un po’ di più, si disse che non bisognava dimenticare i vecchi maestri, e dare loro una possibilità, forse l’ultima, di raccontare una loro storia. In qualche modo mi viene da pensare che nel nostro destino era scritto di essere una generazione sacrificale, rispetto alla transizione da un sistema all’altro.

Uno dei momenti fondamentali della produzione cinematografica è quello della distribuzione e della reclamizzazione dei film. Esiste oggi in Bulgaria un sistema moderno e funzionante che si occupa di questi aspetti?

In un certo senso si può dire che in Bulgaria tutto quello che esiste nel campo del cinema è estremamente moderno, nel senso che è nuovo, e non si basa su niente se non su se stesso. Non esiste una tradizione, non esiste alcuna esperienza, e se questa c’è stata l’abbiamo dimenticata. Qui quello che assolutamente manca è l’ultima rotella del meccanismo della produzione cinematografica, la distribuzione. Questo per alcune ragioni obiettive: da una parte subito dopo l’89 il processo di produzione è stato spezzato in modo molto violento. Tutti noi, che lavoriamo nel campo, abbiamo permesso in modo molto improvvido che si spezzasse il legame con la produzione che c’era stata fino ad allora. Abbiamo fatto parte, seppur involontariamente di questo processo, perché noi da parte nostra volevamo fortemente che finisse il monopolio dello stato, che non ci fosse più ideologia. Il mondo del cinema, primo fra tutti, ha preso posizione contro la protezione statale, dicendo che tutti dovevano mettersi sul mercato, e che chi valeva davvero sarebbe riuscito a realizzarsi e a realizzare i propri film. Abbiamo così perso, da un giorno all’altro, un’enorme base sia tecnica che finanziaria, che era stata accumulata nel corso degli anni e che era molto solida e significativa. Da quel momento poi lo stato stesso ha iniziato ad implodere, e per quanto riguarda la cultura ed il cinema in particolare, sebbene sulla carta si facessero riforme molto mirate e funzionali, in realtà, data la mancanza di fondi e di un mercato reale per i prodotti cinematografici, in qualche modo l’intero sistema rimase vivo soltanto sulla carta. Il rapporto col passato si è spezzato anche per quanto riguarda la distribuzione. Nel vecchio sistema c’erano distributori, che erano sì statali, ma avevano ottimi rapporti con la rete delle sale. Invece di salvaguardare questa rete, nella foga di privatizzazione l’abbiamo distrutta, e quando ce ne siamo accorti era ormai troppo tardi.

Tornando un po’ indietro, se è vero che prima dell’89 lo stato investiva molto nella produzione di film, qual era il ruolo che, secondo il regime doveva prendere la cinematografia all’interno della società?

Lo scopo di quel regime nel mantenere un livello e una qualità di produzione cinematografici molto alti, e di riservare al cinema una grande autorità nella società, è svelato dalle famose parole del compagno Lenin, secondo cui "dopo l’elettrificazione, la cosa per noi più importante è il cinema", perché questo è lo strumento più efficace per il lavaggio del cervello. E benché questo fine non fosse gridato così forte, come succede in Russia o in America, anche in Bulgaria le cose andavano nello stesso modo. La natura umana, però, anche in queste condizioni continua a seguire le sue leggi intime. Così succedeva che, da una parte lo stato spendeva soldi nel settore cinematografico perché questo servisse i suoi scopi, ma le persone vive che lavoravano nel cinema, sfruttando proprio le risorse messe a disposizione dallo stato, volevano seguire i propri desideri personali di espressione e le proprie idee. E così, anche se a prima vista è paradossale, proprio nell’industria preposta al lavaggio del cervello è nata la contestazione più cosciente, e questo non solo in Bulgaria, ma, credo, un po’ dappertutto.

Ma il cinema, in che modo riusciva a sfuggire all’ideologia?

Faceva nascere una sua lingua, una sua lingua propria, allegorico, che parlava di una cosa, ma in realtà ne raccontava un’altra. E proprio per questo, guardando oggi i film di allora, diventa difficile decifrarli e capire perché all’epoca ci piacquero tanto, e perché sono stati così importanti. In qualche modo sono davvero incomprensibili a chi non ha vissuto quegli anni, un po’ come alcune commedie greco-antiche che oggi non fanno più ridere, perché parlavano di fatti del momento al loro pubblico di riferimento.

Come agiva prima dell’89 la censura?

Personalmente non ho avuto problemi diretti con la censura. Qui devo aprire una parentesi: con le persone intorno a me eravamo interessati soprattutto verso tematiche filosofiche ed esistenziali, più che sociali o ideologiche, perché eravamo convinti che quando un film come prodotto d’arte, è un documento adeguato, sincero ed autentico, in esso si potrà sempre leggere lo spirito del tempo. Così che i nostri film all’epoca non erano direttamente diretti contro l’ideologia, e comunque non erano tali da attirare un’immediata reazione della censura. Quello che succedeva, però, al di là della censura, è che in una società che era pervasa di conformismo, si percepiva immediatamente il "diverso", che seppur non esprimibile in termini concreti veniva subito avvertito e provocava reazioni negative. Le ragioni per cui un film veniva censurato, di solito non erano nemmeno lontanamente ideologiche, non erano mai espresse chiaramente. Ricordo il caso del film "Parcheta lyubov", (Pezzi d’amore), di Ivan Cherkelov, uscito nel 1988, che non fu censurato, ma fu di fatto "affondato", emarginato, anche se cinque anni dopo i critici lo inserirono tra i dieci migliori film bulgari di ogni tempo. Questo perché, ad esempio, non si capiva che lavoro facessero i protagonisti, e che di fatto questi bighellonassero per la maggior parte del tempo, veniva percepito immediatamente come una forma di opposizione, qualcosa di vero, anche se nel film nessuno mostrava cartelli con scritto "Abbasso il partito". E una ideologia fasulla, come quella che reggeva lo stato percepisce immediatamente questo come un ostacolo.

Che ruolo hanno le coproduzioni nella produzione di film oggi in Bulgaria. Sono una forma di investimento?

Posso parlare dei film co-prodotti in Europa. Nessuno degli esempi che posso portare è una forma di investimento, anche se iniziano a comparire anche in Bulgaria produttori che fanno investimenti, e non si basano piuttosto, come faccio io e come si è fatto in genere finora, su fondi e sussidi statali per la creazione di un prodotto artistico. Non c’è l’idea di investire soldi che poi siano fatti fruttare attraverso lo sfruttamento commerciale del film. La ragione risiede nel fatto che in nessuna delle nazioni con cui lavoro, Bulgaria, Ungheria, Olanda, il mercato è abbastanza grande da poter coprire le spese di produzione, e nemmeno il fatto che in Bulgaria i costi sono più contenuti cambia il panorama, visto che il film non riesce ad essere tanto più economico da compensare la mancanza di mercato interno. Lo stesso discorso vale anche per una nazione grande come la Germania, che con pochissime eccezioni come "Goodbye, Lenin" e "La vita degli altri", e pur avendo a disposizione un mercato potenziale estremamente più ampio, non riesce a sostenere le produzioni con lo sfruttamento commerciale. La situazione è resa naturalmente più complicata dalla iper-produzione di film a livello globale, che inondano lo spazio mediatico attraverso internet, attraverso la tv satellitare o quella via cavo, fenomeno che già cambia e cambierà in modo sostanziale il tipo di rapporto tra prodotto filmico e spettatore.

E l’Unione Europea nel suo complesso gioca un ruolo significativo?

Quello che io spero, in termini molto concreti, è che il nostro ingresso nell’Unione Europea contribuisca alla standardizzazione delle disposizioni di legge basilari nel campo della produzione cinematografica. Voglio dire, oggi in Bulgaria esiste un centro di produzione cinematografica (il "Filmov Centar") che è pensato con le stesse linee di base di quelli presenti nel resto d’Europa. Quello che manca però è qualcosa a prima vista poco visibile, ma che cambia radicalmente la situazione sul campo, e cioè la mancanza di informazione e trasparenza. Spero che l’Unione Europea aiuti a fare chiarezza in questo campo, e a implementare l’obbligo alla diffusione e condivisione delle informazioni.

Perché il pubblico bulgaro continua a vedere i vecchi film? Si tratta solo di nostalgia o c’è anche dell’altro?

Questa è una domanda molto complessa, e penso che tutti quelli che vivono di cinema in Bulgaria si siano posti seriamente la domanda, visto che il nostro destino dipende in buona parte dalla risposta che si è in grado di fornire. Credo che il motivo per cui in tv vengono dati soprattutto vecchi film sia dovuto all’impressione che i bulgari vogliano vedere solo ed esclusivamente quelli, e noi i nuovi. Tra l’altro, per una serie di motivi, le tv sono in generale le istituzioni più conservatrici e retrograde tra quelle che si occupano di cinema, e sono le più lente ad accettare il cambiamento. Questa impressione è sicuramente, almeno in parte vera, anche se nessuno si è dato la pena di studiare in profondità questo tema, quindi per me la teoria per cui il pubblico bulgaro preferisce vedere vecchi film è piuttosto approssimativa. Anche la leggenda secondo cui nei vecchi film la recitazione è migliore rispetto alla nuova, è appunto una leggenda. Ho visto ultimamente "Lyubimetz 13" (Il tredicesimo beniamino), un vecchio film con Apostol Karaminliev, che è stato una vera stella, e il suo modo di recitare nel film è quasi inguardabile. Anche altri film "mito", come "Lachenite obuvki na neznania voin" (Le scarpe lucide del milite ignoto) di Ranger Valchanov, o "Kozyat Rog" di Metodi Andonov, che a suo tempo ho amato senza fine, oggi, ad un’analisi più attenta, mi mostrano molti limiti. La nascita della nostalgia è un processo che si trasmette in modo "virulento", senza che ci sia molta riflessione o molta verità in esso. Tra l’altro è stato lo stesso mondo del cinema, o almeno parti di esso, che è profondamente nostalgico, ad aver contribuito grandemente a questo processo, per non sentirsi definitivamente parte del passato, per continuare a vivere e a sentirsi vivo ancora per un po’…

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