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Futuro del Kosovo? Basta con la propaganda
La sicurezza delle minoranze in Kosovo è garantita? E la loro libertà di movimento? Ci siamo confrontati con chi, in questi anni, ha lavorato e operato sul campo. La prima di una serie di interviste è con Fabrizio Bettini*, dell’Operazione Colomba
In Kosovo vi è libertà di movimento per le minoranze?
In quest’ultimo periodo sento spesso sia da parte delle istituzioni internazionali che da parte delle autorità kosovare affermare che vi è libertà di movimento. In realtà non è vero, vi è un inizio di libertà di movimento ma quest’ultima non è certo completa, per due fattori: vi sono ancora elementi oggettivi di insicurezza sul campo e vi è una percezione psicologica di insicurezza da parte della comunità serba. Quest’ultimo aspetto di fatto ne limita la libertà di movimento.
Potresti fare qualche esempio di quanto hai affermato?
Vi è un grande magazzino presso il quale i serbi di Gorazdevac, enclave del Kosovo occidentale dove lavoro, hanno iniziato ad andare. Questa è senza dubbio una novità positiva. Ma c’è anche molta paura, alcune persone è da sette anni che non lasciano infatti l’enclave. E non mancano gli incidenti, recentemente due signore che vi si sono recate sono state insultate e poi seguite una volta che hanno abbandonato il negozio. In ogni caso, secondo me, l’amministrazione di Peja/Pec negli ultimi anni ha fatto dei passi rilevanti nei confronti di Gorazdevac, d’altra parte come amministrazione Gorazdevac non ha fatto dei passi verso Peja ma li ha fatti la gente che vive a Gorazdevac. Secondo me rispetto ad un anno fa c’è più accesso alle istituzioni, al comune, all’ospedale… relativo ma c’è e c’è disponibilità delle istituzioni. Questo non significa non si incontrino resistenze da parte delle autorità locali. Una nostra volontaria si è recata recentemente in comune ad accompagnare alcuni serbi che non si sono fatti nessun problema a compilare dei moduli in lingua albanese. Ma quando la volontaria ha chiesto se c’erano i moduli in serbo la risposta è stata provocatoria. "Ci saranno solo quando ci sarà l’indipendenza". C’è anche da aspettarsi queste reazioni, non è nulla di trascendentale però sono tutti pronti a dire che è tutto a posto mentre non è vero…
A livello locale nel rapporto tra le comunità potresti invece raccontarmi di un esempio positivo?
Vorrei raccontare una vicenda che ha riguardato la "micro" situazione dell’enclave di Gorazdevac e dei suoi rapproti con la città di Peja/Pec. Un anno e mezzo fa la radio di Gorazdevac ha fatto un’intervista al sindaco, grazie anche alla mediazione internazionale. La redazione della radio è stata estremamente professionale nel fargli l’intervista. Il sindaco ha avuto meno paura della realtà di Gorazdevac e ci è poi tornato più volte e questo ha aiutato persone di Gorazdevac a riconoscere il sindaco come interlocutore. Questo è avvenuto anche su spinta di persone intelligenti che lavorano nell’amministrazione ONU dove vi è un ufficio "delle comunità" che è ancora composto da due internazionali, che lavorano molto bene.
Cosa rende un posto più o meno sicuro?
Di solito purtroppo la maggior sicurezza è legata alle persone che lavorano nella singola istituzione piuttosto che dipendere da una politica generale. All’ospedale di Peja ad esempio lavorava un italiano che aveva a dir poco un atteggiamento timoroso quando chiedevamo se potevamo portare dei serbi a farsi curare, storceva il naso. Da quando negli ultimi due anni vi è invece una persona che dialoga con il personale albanese e si fa garante dell’accesso dei serbi alla struttura non c’è più alcun problema. Alle volte dipende anche dalla "controparte" che ci si trova davanti. Vi sono differenze di sicurezza a seconda della zona dalla quale si proviene. Per un cittadino di Peja/Pec sapere che un serbo dei villaggi di Siga o Brestovik si muove liberamente è diverso dal sapere che un serbo di Gorazdevac si muove liberamente. Perché Gorazdevac ha la fama di essere popolata da nazionalisti che non vogliono mai uscire mentre a Siga e Brestovik sono tornate circa una trentina di famiglie serbe grazie ad un accordo con la municipalità locale.
Chi c’è a tuo avviso dietro gli incidenti che coinvolgono le minoranze?
A me sembra che gli incidenti siano opera di singoli e non vi sia dietro una politica generale. Ma questo avviene perché chi muove i fili in Kosovo ha affermato di voler evitare provocazioni. Temo però che se si decidesse per il contrario scoppierebbero immediatamente incidenti.
Cosa si potrebbe fare per rassicurare la comunità serba e farla uscire da un vittimismo che certo non la aiuta a ripensare il proprio ruolo in Kosovo?
Innanzittutto occorrerebbe fare giustizia. Un eventuale successo delle indagini su quanto accaduto il 13 agosto di tre anni fa, quando proprio a Gorazdevac vennero uccisi dei ragazzini serbi che giocavano nei pressi di un torrente, o il 17 marzo dell’anno successivo avrebbero un grosso riscontro e creerebbero molta più fiducia nella comunità serba.
E Belgrado in tutto questo?
Se ragioniamo sul lato serbo Belgrado sta facendo a mio avviso la peggior politica che potrebbe fare in Kosovo in questo momento. Non riescono a dire al proprio popolo che l’indipendenza ci sarà e quindi continuano col boicottare le istituzioni kosovare invece di favorire l’accesso dei rappresentanti serbi nelle istituzioni che, si badi bene, in questo momento favorirebbe di molto questi ultimi. Otterrebbero infatti molti vantaggi a partecipare e molte porte sarebbero aperte. Si verificherebbe una discriminazione positiva nei loro confronti, almeno di facciata. Recentemente ad esempio il Centro di coordinamento del governo serbo sul Kosovo ha costretto coloro i quali lavorano in varie istituzioni in Kosovo a scegliere tra lo stipendio kosovaro e quello serbo. Era certamente un’ingiustizia che i serbi prendessero due stipendi però il Centro di coordinamento obbligando i serbi a scegliere l’una o l’altra parte di fatto li hanno spinti a rifiutare lo stipendio dato dalle autorità albanesi. E’ innegabile infatti che il punto di riferimento è Belgrado, è inutile farsi illusioni in merito. Però se si riesce a pagare un serbo tramite le autorità locali kosovare si mantiene un legame, un aggancio con la realtà locale. Se lo si costringe a licenziarsi si tagliano ancora di più i ponti.
Belgrado sembra guardare più alla propria opinione pubblica interna che non al destino dei serbi del Kosovo …
Concordo. La Serbia secondo me sta facendo grossissimi []i, e poi non spinge i politici del Kosovo a partecipare alle istituzioni, questo è un grosso []e in questo momento, perché in questo momento storico otterrebbero tantissimo. A Gorazdevac è stato istituito un ufficio della municipalità di Pec, una sorta di municipalità parallela. Capisco fosse accaduto nel 2001 ma nel 2006 non è certo un segnale positivo ed anzi è una grossa miopia da parte dei serbi che non stanno preparando la popolazione all’eventualità dell’indipendenza. Dal mio punto di vista vi è parte della classe politica in Serbia che mira alla fuoriuscita di tutti i serbi dal Kosovo. Hanno interesse a creare un caso. C’è una parte invece che mi sembra abbia un approccio più pragmatico. Da una parte il premier Kostunica, dall’altra il Presidente Tadic.
Nel caso di indipendenza del Kosovo non si percepisce il timore che la comunità internazionale possa dimenticarsi in fretta degli standard, della protezione delle minoranze ed in ultima istanza del Kosovo stesso?
Questo è il timore della comunità serba, in molti dicono di non voler rimanere in un Kosovo indipendente perché non si sentono sicuri. "I nostri figli saranno obbligati a studiare la cultura dell’altro e a dimenticare la nostra cultura", affermano. In parte è senza dubbio propaganda, in parte è una posizione condivisibile. Se la comunità internazionale non si garantisce un ruolo di controllo vero, il rischio dell’indipendenza è che il Kosovo possa diventare una regione controllata direttamente da reti mafiose.
E i programmi internazionali, cosa fanno per favorire la multietnicità della Provincia?
Purtroppo c’è ancora il giochino del "mi serve un serbo", "mi serve un albanese". Mi spiego. Ora la questione della multietnicità è divenuta una parola d’ordine della comunità internazionale e dei finanziatori. Ci sono molte organizzazioni quindi che puntano alla creazione di progetti multietnici e si basano su ONG organizzazioni non governative, ndc locali che spesso poi in realtà non esistono, non sono rappresentative. Ve ne sono anche nel villaggio dove noi operiamo, Gorazdevac. Tutto si esaurisce, proprio per come è stata la cultura internazionale in Kosovo, al collegare due concetti: progetto multietnico = soldi. Non si favorisce però in questo modo un reale incontro tra le comunità. Vi sono potenzialità poi che rimangono inespresse. Magari si favoriscono progetti con un impatto anche positivo sul territorio, ma non vanno nella direzione dell’incontro e dell’integrazione.
In ultimo che pensi dell’atteggiamento assunto in questi mesi da Jessen Petersen nei confronti della sicurezza delle minoranze?
Se Petersen volesse effettivamente comunicare con la comunità serba farebbe meglio a dire che ci sono ancora problemi in merito alla libertà di movimento e alla sicurezza del minoranze. La situazione è certamente migliore di quella di due anni fa. Una presa di posizione che riconosca la vera situazione sul campo sarebbe accettabilissima sia da parte della comunità albanese del Kosovo sia dalla comunità serba. Si creerebbe una comunicazione diversa.
* Fabrizio Bettini opera da tempo in Kosovo per l’Operazione Colomba, in particolare a Gorazdevac, enclave serba nel Kosovo occidentale, e Pec/Peja, a pochi chilometri di distanza.