Fratelli d’Europa?
Nell’incertezza che avvolge l’Europa dei 27 proseguono le trattative con i Paesi candidati all’allargamento. E se dei dubbi affiorano nell’aprirsi a nuovi membri, ulteriori perplessità sorgono nell’osservare le differenze di trattamento che l’Ue riserva ai suoi aspiranti aderenti
Nonostante tutto pare ci sia ancora voglia di Europa. O perlomeno, questo è quanto il Commissario all’Allargamento, il ceco Štefan Fűle, ha voluto evidenziare nel presentare nei mesi scorsi i progressi mostrati dai nove Paesi in attesa di far parte dell’Ue.
Ciononostante, è fuori discussione che la situazione attuale non lasci spazio a troppo ottimismo. Dopo gli allargamenti del 2004 e del 2007 è emerso il fenomeno della cosiddetta “fatica da allargamento”, in un’Unione che con difficoltà tentava di darsi nuove regole di funzionamento.
Nel 2013 tra l’altro l’Ue irrobustirà le proprie fila con l’ingresso del suo 28mo membro, la Croazia, che a sua volta potrebbe essere accompagnato dal 29mo, l’Islanda.
Se però la Croazia, prima di ottenere il lasciapassare, ha dovuto sopportare continui ritardi, con ben maggiore entusiasmo pare essere stata accolta la più recente candidatura dell’Islanda, avvenuta soltanto due anni fa.
Percorsi diversi
Profondamente differenti sono le problematiche con le quali i due Paesi più vicini all’ingresso nell’Ue hanno dovuto e talvolta tutt’oggi devono convivere. Lo stato adriatico ha avanzato la domanda di adesione nel 2003, per diventare candidato ufficiale un anno più tardi. Il proposito iniziale di entrare a far parte dell’Ue congiuntamente a Bulgaria e Romania, nel 2007, però, non ha avuto un riscontro positivo a causa di diverse questioni; la disputa confinaria con la vicina Slovenia per la baia di Pirano si è risolta soltanto 2 anni fa, così come si sono dilatati i tempi per via della scarsa collaborazione con il Tribunale de l’Aia.
Strettamente correlato a quest’ultimo punto, ha posto da freno alle trattative anche l’obsolescenza del sistema giudiziario e della pubblica amministrazione. L’insieme di questi fattori ha perciò portato la Croazia a chiudere i negoziati per l’adesione soltanto nello scorso giugno, in coincidenza con uno dei momenti più difficili per la sopravvivenza stessa del progetto politico europeo.
Assai più snello è stato invece il percorso dell’altra più seria candidata all’adesione, l’Islanda. Anche in questo caso, tuttavia, gli intoppi lungo il cammino sono numerosi, sebbene smussati per via dei pochi grattacapi che un suo ingresso potrebbe ad ogni modo provocare.
La questione Icesave
Per chi conosce l’orgoglio isolazionista dell’Islanda, può destare un certo scalpore la sua richiesta di entrare a far parte dell’Ue. Una scelta, questa, mai ponderata dall’isola fino all’avvento della crisi finanziaria nel 2008, manifestatasi qui con particolare gravità.
Tutto ha avuto origine da un conto bancario online (Icesave) che una delle tre maggiori agenzie di credito islandese (Landsbanki) ha aperto nel 2006 allo scopo di attirare nuovi depositi, soprattutto da Gran Bretagna e Olanda. Ma a seguito della crisi finanziaria l’istituto islandese è andato in sofferenza e né quest’ultimo, né la Banca Centrale nazionale in suo soccorso, sono riusciti ad appianare un debito di 4 miliardi di euro accumulato in due soli anni nei confronti in particolare di cittadini olandesi e della Gran Bretagna. La candidatura nell’Ue è sembrata quindi per l’Islanda la soluzione migliore per uscire dall’impasse in cui si è improvvisamente trovata.
Nel 2009 prendono così avvio i negoziati tra l’Islanda e l’Ue, quest’ultima ben lieta di accogliere tra le proprie fila uno dei pochi stati occidentali ancora non facente parte dell’Unione. Ma il percorso di adesione, che Bruxelles inizialmente prevedeva essere alquanto rapido, agevolato dal fatto di essere già in linea con i parametri previsti dai “criteri di Copenaghen”, è stato ostacolato da Gran Bretagna e Olanda, che hanno posto il veto all’ingresso dell’isola fino a quando non sarà risolta la questione “Icesave”.
Malgrado l’attuale stallo e le tensioni sempre più pronunciate tra le differenti parti della contesa, il Commissario per l’Allargamento si è recentemente mostrato comunque fiducioso per la risoluzione della disputa, arrivando a pronosticare un ingresso dell’Islanda nell’Ue nel luglio 2013, congiuntamente a quello croato.
Questione di reciproci interessi
Per l’Islanda aderire all’Ue significa principalmente poter adottare l’euro, in modo da sostituire la locale króna, troppo debole e soggetta ad inflazione nel mercato internazionale, benché a ciò si accompagni il forte timore di perdere il diritto esclusivo di poter pescare nei propri mari, principale attività su cui si sorregge la sua fragile economia.
Da parte dell’Ue, invece, l’Islanda costituisce un’entità tradizionalmente pacifica, che per di più consentirebbe di inaugurare una nuova strategia di cooperazione con la regione artica, sempre più allettante a seguito dei mutamenti climatici che stanno aprendo nuove rotte commerciali nell’estremo nord.
Tuttavia, se l’Ue ha srotolato il tappeto rosso ai piedi dell’Islanda, ciò non significa che l’adesione sarà sicura, anche se si dovesse risolvere la questione “Icesave”. I sondaggi in vista del referendum finale per l’adesione vedono infatti una netta prevalenza del fronte del “No”, lasciando perciò presagire il rischio che i suoi abitanti seguiranno il cammino già intrapreso dai loro cugini norvegesi, che hanno già voltato le spalle all’Ue in due distinte occasioni.
Entusiasmo rispetto l’adesione che di fatto non è invece mai mancato in Croazia dove un’opinione pubblica da sempre ampiamente favorevole all’ingresso, ha temporaneamente virato verso una netta presa di distanza da Bruxelles solo in coincidenza con la condanna del generale Ante Gotovina presso il Tribunale dell’Aja, nello scorso aprile, salvo poi ritornare a superare largamente la soglia del 50%.
Euroscetticismo in salsa olandese
Altro elemento che lega i percorsi europei dei due Paesi è che entrambi si sono trovati a che fare, in questi anni, con i veti dell’Olanda, particolarmente attiva su questo fronte. Non solo in merito alla disputa Icesave.
L’Olanda ha infatti espresso in più occasioni seri dubbi sull’entrata nell’area Schengen di Romania e Bulgaria e, in merito alla Croazia, ha posto particolare attenzione allo stato della sua collaborazione con il Tribunale dell’Aja.
Un analogo discorso può valere tra l’altro per la Serbia, poiché anche in questo caso l’Olanda ha tergiversato più di tutti nel concedere il benestare per l’avvio del processo di candidatura.
In uno dei momenti maggiormente delicati per l’UE, le divergenze di approccio adottate nei confronti dei Paesi aspiranti membri, in questo caso Islanda e Croazia (ma come non pensare al caso della Turchia?) nei Balcani non è passata inosservata. In questa fase alimentare divisioni tra Paesi di serie A e di serie B è tanto facile quanto rischioso.