Fragile Turchia
Un convegno organizzato dalla presidenza slovena dell’UE riunisce a Brdo rappresentanti della società civile e dei governi di Paesi candidati o inseriti nella Politica Europea di Vicinato. La fragilità delle associazioni e ong turche: gli interventi di Dorian Filote e Rana Birden
Negli ultimi anni la Turchia, paese candidato all’ingresso in Europa e già in fase di negoziazioni con Bruxelles, ha compiuto un progresso politico ed economico tremendo. Adesso, è chiamata ad un ulteriore sforzo per realizzare le riforme che potranno allineare la sua legislazione con i canoni imposti dall’Unione. Ma l’arretratezza e l’isolamento caratterizzanti ampi strati della popolazione turca sono un ostacolo che impedisce perfino la comunicazione tra la società civile e i suoi rappresentanti davanti a Bruxelles.
Presente al convegno promosso dalla Slovenia il 2 aprile scorso a Brdo per dar voce alla società civile presso l’UE, Dorian Filote, delegato turco della Commissione Europea, ha tracciato un quadro della situazione poco ottimista: «Nei paesi dell’Europa centrale e orientale, dopo la caduta del comunismo, la società civile ha sviluppato il senso delle istituzioni e la prospettiva della nuova democrazia. Non è il caso della Turchia, dove abbiamo fondazioni stabilitesi con la moderna Repubblica Turca, 82 anni fa, e che in qualche modo stanno attuando come un’estensione dello Stato. Abbiamo poi camere di commercio molto potenti e corporazioni di professionisti davvero poderose, che politicamente si fanno sentire, e che sono capaci di mantenere relazioni economiche forti. Ma poi ci sono un numero di ONG e associazioni, fondate per lo più negli anni Novanta e che affrontano i problemi della gente comune: la povertà, la violazione dei diritti umani, la corruzione, l’emarginazione. E a questo livello c’è una totale mancanza di cooperazione: non esiste una coalizione costruttiva e si avverte l’assenza di collegamenti, specie nelle aree più critiche e fra i gruppi svantaggiati: le donne, i giovani, la fascia di popolazione povera e rurale».
La Turchia in questo momento sta registrando una crescita del commercio pari all’1,2%, su di un territorio che misura quasi 1.000 km tra Est e Ovest, e circa 800 tra Nord e Sud. Dentro questo spazio, si muovono 80.000 associazioni registrate, 5.000 fondazioni e 5.000 tra cooperative, unioni e camere di commercio. Nonostante ciò, il livello di partecipazione della società civile rimane bassissimo ed è soltanto al 2,8% secondo i dati riportati dalle ONG.
Secondo il delegato europeo, è innegabile che «dal riconoscimento della Turchia come paese candidato nel 1999 e ancora di più dall’apertura delle negoziazioni nell’ottobre del 2005, il coinvolgimento della società civile nella relazione tra Turchia e UE si è significativamente intensificato. Non solo: l’underground della Turchia ha avuto una seria transizione e nell’arco degli ultimi 2 anni la società civile è diventata più organizzata, specialmente con l’entrata in vigore di una nuova legge sull’associazionismo nel novembre del 2004, anche se il vero impatto di questa normativa non è ancora visibile perché ci sono segnali che in un certo modo è stata abusata da parte di qualche istituzione dello stato».
A febbraio scorso, inoltre, è stata adottata una nuova legge sulle fondazioni, largamente compatibile con gli standards internazionali riguardanti le associazioni e ciò rappresenta un passo avanti per la filantropia in Turchia, perché nelle consultazioni che hanno portato a questo risultato sono state coinvolte un buon numero di ONG. Infine, nel 2007 si è assistito a tentativi di ottimizzazione del processo, ma sono emersi anche tutti i punti deboli: i diritti umani, l’indipendenza delle istituzioni, la libertà di espressione, e l’inclusione sociale restano ancora temi aperti.
«La commissione Europea – ha proseguito la sua analisi Dorian Filote – ha adesso un forte impegno nello sviluppo della società civile in Turchia, e di fatto supporta le ONG che con i loro programmi portano avanti un monitoraggio del contesto legale e politico, oltre ad avere un ruolo chiave nell’esprimere la mentalità dei cittadini, accrescere la loro consapevolezza e incoraggiare la loro partecipazione». L’ultimo progetto, disegnato per migliorare la cooperazione tra la società civile e le autorità pubbliche e la partecipazione democratica delle ONG, ha avuto risultati misti, fatti di luci e ombre: «Larga parte dei partecipanti non stanno continuando il lavoro sotto i principi proposti, forse perché non hanno maturato un atteggiamento adeguato. Comunque, almeno è iniziato un dialogo tra la società civile e le autorità pubbliche, con pubblicazioni, trainings sulla partecipazione, e una sorta di memorandum di intesa tra le due parti sulle esigenze e i modi di cooperare».
Il delegato europeo ha concluso il suo intervento manifestando scetticismo rispetto ai tempi di una vera e propria collaborazione: «Non siamo sicuri che tutto ciò succeda presto, e il motivo è la diffidenza di fondo dalle due parti: pubblica amministrazione e ONG indipendenti. Penso che le ONG dovrebbero lavorare di più assieme: vedono se stesse come eroi che hanno il compito di cambiare la Turchia, e non hanno forse una prospettiva chiara. Personalmente sono stato coinvolto in un certo numero di consultazioni con la delegazione di Bruxelles, ma è stato frustrante perché gli input che abbiamo avuto dalle ONG non sono sufficienti, e dimostrano che c’è ancora molto da fare. La Turchia deve ancora creare una vera prospettiva per la società civile per migliorare il contesto dove le ONG funzionino ma l’iniziativa può venire solo dalle ONG stesse»
Nella medesima occasione, Rana Birden, membro del KADER (Association for Supporting and Training Women Candidates), ha espresso il punto di vista della società civile turca, lamentando il senso di discriminazione che come attivista donna è costretta a subire ripetutamente a diversi livelli e criticando il meccanismo delle consultazioni della UE: «Quando c’è stata la notizia della candidatura e tanto la Commissione Europea quanto gli stati membri dell’UE hanno lanciato alla società civile turca un appello affinché questa si faccia avanti, il messaggio è stato recepito e numerosi progetti sono stati lanciati dai nomi più prominenti del mondo accademico e delle organizzazioni in difesa dei diritti umani sui temi europei e per la promozione dell’UE nel paese».
L’incoraggiamento, insomma, è stato accolto dalle organizzazioni con un benvenuto quando ancora la Turchia non aveva nessun accesso a Bruxelles. «Ma nei fatti, il ruolo della società civile nel processo di accesso è rimasto limitato – ha riportato Rana Birden, denunciando le responsabilità del governo turco e dell’Unione Europea. Ufficialmente, il governo sta organizzando eventi speciali e pubblicizza le consultazioni, ma in realtà non c’è una vera cooperazione. Un passo avanti può avvenire solo se le organizzazioni si uniscono per pretendere che il percorso venga seguito correttamente. Un chiaro esempio di non-consultazione è quello relativo al cambiamento della costituzione, annunciato dal governo turco e indirettamente legato al processo di riforma in funzione dell’integrazione europea: ebbene, 3 mesi dopo quell’annuncio non c’è stata nessuna consultazione e nessuno sa a che punto è il lavoro».
Per quanto riguarda il rapporto che la società civile dovrebbe instaurare con l’UE, Rana Birden riporta lo smarrimento delle organizzazioni di fronte alle complicazioni materiali per arrivare a ciò: «Le ONG stanno ancora avendo dei problemi per ricevere i fondi europei per le difficoltà delle procedure, la mancanza di risorse umane, l’incapacità nelle aree depresse del paese, dove il livello di conoscenza dell’inglese è molto basso, e conseguire i documenti ufficiali o accedere ai network interni e internazionali sono possibilità remote, così che solamente le ONG più grandi possono approfittare dei fondi europei, seguire un meccanismo di consultazioni politiche, andare in visita a Bruxelles e sedersi all’ufficio turco presso la Commissione Europea o incontrare i membri del Parlamento Europeo. Così che in questo momento solo due ONG stanno rappresentando la Turchia presso l’UE, oltre alla coalizione delle donne, la più grande rete di collegamento femminile in Turchia, che lotta per i diritti umani delle donne turche. Decisamente, ci vogliono più presenza e visibilità a Bruxelles: non si tratta solo di ricevere i fondi per l’amministrazione e la progettazione, ma di vedere una vera partnership, io ritengo che noi cittadini turchi stiamo facendo la nostra parte, ma c’è bisogno che anche i responsabili europei facciano la loro».