Fosse comuni in Serbia

Uno di temi più scottanti nella Serbia di oggi riguarda proprio le fosse comuni, alcune ancora nascoste sul suo territorio. Un argomento difficile da affrontare, perché chiama in causa istituzioni e alti funzionari. Ne parla Nataša Kandić, da anni impegnata nella ricerca della verità

09/11/2004, Redazione -

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Di Nataša Kandić, direttrice del Centro per il diritto umanitario di Belgrado.

L’articolo è stato pubblicato dal quotidiano belgradese Danas il 5 novembre 2004.

Traduzione di Luka Zanoni

La recente dichiarazione di Nenad Čanak, leader della Lega socialdemocratica della Vojvodina ed ex presidente del Parlamento della Vojvodina, concernente la presenza in Serbia di 17 fosse comuni coi corpi degli Albanesi uccisi, non ha sconvolto né l’élite politica né l’opinione pubblica serba. Gli organi competenti, innanzitutto il Parlamento e il Governo, si comportano come se le fosse comuni non riguardassero le istituzioni dello stato della Serbia. Questo perché è un tema che ancora deve essere aperto.

Esistono in Serbia, oltre alle otto riconosciute, altre fosse segrete dove sono nascosti i resti degli Albanesi del Kosovo, scoparsi nel 1998 e durante il periodo dei bombardamenti della NATO? Secondo le conoscenze a disposizione del Centro per il diritto umanitario, sei corpi sono stati trasferiti dal Kosovo a Niš già nel 1998 e bruciati nel forno crematorio, e durante i bombardamenti della NATO fu eseguita una consegna di corpi alla fonderia di Bor.

Nello stesso periodo tre carichi di corpi furono trasferiti alla miniera di Trepča, uno a Obilić, due consegne alla Acciaieria di Smederevo, una è stata gettata nelle vicinanze dei frigoriferi rivenuti nel Danubio nei pressi di Kladovo e l’altra vicino alla frontiera con la Romania. Secondo le conoscenze a disposizione del Centro per il diritto umanitario una fossa si trova nelle vicinanze di Raška.

Fino ad ora sono stati esumati 836 corpi di Albanesi kosovari trovati in fosse comuni in Serbia; cinque a Batajnica, due a Petrovo Selo e una a Peruća. Fino al 1 novembre 2004 il governo serbo ha consegnato all’UNMIK i corpi di 331 vittime identificate ed ai rappresentanti degli USA i corpi di tre Albanesi, cittadini americani.

Nella fosse comune, conosciuta come Batajnica 05, sono state esumate 287 vittime, 14 donne, 257 uomini e 19 vittime il cui sesso non è stato accertato. Tra le vittime ci sono almeno 10 ragazzi tra i 15 e 19 anni e un bambino inferiore ai 15 anni. In questa fossa sono stati trovati i documenti di identità di Alija, Šaban, Dafina, Aida ed Emina Melenica, Ferki Kadriu, Kemalj Trnave, Afrim Bajrami, Idriz Hasanija, Arsim Sejdiju, Bajram Islami, Sekine Uka e Gerguri Mensura, tutti di Vučiturn.

Il 12 marzo 2004 il governo della Serbia ha consegnato all’UNMIK i corpi di 15 vittime identificate, esumati nella fossa comune di Batajnica 05. Queste vittime sono registrate nei documenti della Croce rossa internazionale come persone che sono state viste per l’ultima volta il 22 maggio 1999 a Vučiturn: Murat Tirići (1975), Muzafer Mudžaheri (1957), Serhat Tirići (1977), Ajdin Šaćiri (1980), Ibrahim Zećiri (1962), Ferki Kadriu (1981), Ljuljzim Bajrami (1972), Šaban Melenica (1950), Ali Melenica (1941), Šefki Melenica (1977), Sekine Uka (1976), Irfan Žilivoda (1962), Bujar Krasnići (1980), Bedri Kutlovci (1962) e Fatmir Kećoli (1973).

Secondo la documentazione del Centro per il diritto umanitario le vittime identificate, come pure le vittime i cui documenti sono stati ritrovati nella fossa comune, appartengono al gruppo di 68 Albanesi che le forze serbe hanno ucciso il 22 maggio 1999 a Vučiturn nella casa di Džezair Pasome. In relazione a questo fatto il Centro per il diritto umanitario ha parlato con 15 persone che per ultime hanno visto le vittime. Riporto la dichiarazione di Šaban Merovci, neuropsichiatria di Vučiturn, rilasciata al Centro per il diritto umanitario il 21 marzo 2000 a Vučiturn, al quale la polizia portò via di casa il figlio e il cognato:

"Alle 8.00 circa del mattino del 22 maggio, due persone in uniforme, due riservisti, sfondarono il cancello del cortile ed entrarono nella nostra casa. Ordinarono agli uomini di uscire fuori, e alle donne e ai bambini di rimanere dentro. Uscimmo io, mio figlio Driton e mio cognato Mensur. Non controllarono la casa, e non cercarono né soldi né gioielli. Ci condussero verso il cimitero della città. Quando arrivammo fino alla casa di Džezair Pasome, ci fermarono. Davanti alla casa vidi un grande numero di uomini, con la faccia rivolta verso il muro della casa. C’erano parecchi poliziotti e militari. Lì vidi Dragan Mihajlović, l’ispettore, originario di Novoselo. Era lui a guidare l’azione. Non era mascherato, e così lo vidi in faccia. Oltre a lui riconobbi anche Zoran Vukotić, impiegato nella segreteria del Tribunale del comune, in uniforme e senza maschera, A me ordinarono di continuare lungo la strada, mentre Driton e Mensur si unirono al gruppo degli uomini già messi da parte. Mi rivolsi a Mihajlović, e anche agli altri, chiedendo: ‘Perché ci separate, quando abbiamo tutti la carta verde e siamo rimasti a Vučiturn su licenza del comando di polizia di Vućine’. Lo stesso Mihajlović mi rispose: ‘Tu continua verso il cimitero, noi eseguiremo un breve colloquio informativo e libereremo tutti’. Fui costretto a continuare. Al cimitero si riunì l’intera città. Rimanemmo sul prato, circondati da tutte le parti. Vedevo i militari regolari, i poliziotti e i paramilitari. Esattamente alle 12.00 vennero da me i poliziotti Safet e Zoran Dančetović, figlio di Duško, direttore dell’azienda commerciale Čičavica e mi chiesero cosa stessi facendo lì. Dopo di che mi dissero che ero libero e potevo andare a casa. Fui l’unico ad essere liberato, ancora oggi non so per quale motivo. Mi fu difficile andare da solo, ma pensavo solo a come liberare mio figlio e mio cognato. La polizia non permetteva che si girasse per la strada dove c’era la casa di Džezair Pasome, così che arrivai a casa per vie laterali. Da mia moglie e mia figlia seppi che la polizia aveva riportato a casa Driton e Mensur, ma poi li portò via di nuovo. Zoran Vukotić impiegato della segreteria era anche lui con questa polizia che li ha portati indietro e di nuovo portati via. Presero la macchina di Driton e 10.000 marchi. Dai vicini seppi che li hanno portati direttamente nella casa di Džezair Pasome. Parlai con la gente che entrò in quella casa durante la notte. Mi dissero che la casa bruciava e i corpi li hanno portati via. Ovunque si vedevano le tracce di sangue e i bossoli. Il bagno era pieno di sangue. Nello stesso cortile, nella casa di Sezair Pasome, furono trovate anche tracce di sangue e proiettili, ma anche una cinquantina di carte d’identità, sporche di sangue.
I corpi sono semplicemente spariti. Il giorno dopo andai dal sindaco, Slobodan Doknić per implorargli aiuto. Mi disse: ‘Šaban, nella casa di Džezair Pasome ne sono stati uccisi sette. Non c’era tuo figlio né tuo cognato. Controllerò cosa ne è stato di loro, poi ti farò sapere’. Due giorni dopo, Doknić mi disse che Mensur e Driton non erano nel carcere di Smrekovnica, ma che erano vivi. Cercai grazie a delle amicizie di sapere cosa fosse successo. Per ora non posso rendere noti i nomi di queste persone con cui giunsi in contatto. Fino ad ora tutti mi hanno detto che sono vivi e stanno bene, e non solo Driton e Mensur, ma anche gli altri 66.
Mi chiesero 188.000 marchi tedeschi per la liberazione di mio figlio e mio cognato. Accettai a tali condizioni che mi riportassero mio figlio a casa, da dove lo portarono via. Sono grandi persone, che occupano alte posizioni in Serbia. Quando tutto sarà finito, renderò pubblici i dettagli".

 

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