Fiume: un’altra guerra
A Fiume, un incontro in cui si forniva uno sguardo diverso dalla memoria ufficiale in merito all’Operazione Tempesta del 1995, è divenuto teatro di scontri con forti contestazioni e persino aggressioni ai partecipanti
La ricorrenza del ventennale dell’Operazione Tempesta, con la quale nell’agosto 1995 l’esercito croato riconquistò la Krajina in mano ai separatisti serbi, è stata segnata da manifestazioni patriottiche in tutto il paese che hanno presentato una narrazione compatta e acritica della vittoria militare. Il ricordo del prezzo umano pagato dalla popolazione serba è stato assente dalla memoria ufficiale e relegato alle attività di una parte della società civile, spesso bersagliata dalle accuse di essere una quinta colonna traditrice.
Un’altra guerra
Un’eccezione virtuosa è stato il dibattito pubblico svoltosi a Fiume e intitolato “Un’altra guerra”, che ha presentato una narrazione pacifista attraverso le testimonianze di cinque donne di diverse nazionalità che hanno raccontato i traumi sofferti in diversi teatri di guerra legati al conflitto nella ex Jugoslavia. Solo una delle testimonianze, infatti, quella di una giovane profuga, era direttamente legata all’Operazione Tempesta.
L’iniziativa, moderata da Vesna Janković, che prese parte alle campagne pacifiste croate degli anni ’90, è stata organizzata dal Teatro nazionale di Fiume in collaborazione con il Consiglio nazionale serbo, organo della minoranza in Croazia, e con l’ong Documenta, da anni impegnata sul tema della memoria. Il Teatro nazionale di Fiume si è imposto come luogo di dibattito sulla memoria da un anno a questa parte, quando si è insediato come direttore il regista Oliver Frlić, che si è distinto ripetutamente per aver portato in scena temi scomodi, tra i quali i crimini commessi contro civili serbi nella guerra degli anni ’90. Frlić, accusato di “odiare tutto quello che è croato”, si è così trasformato in un magnete che ha catalizzato le ire della destra locale e non solo.
Le polemiche
Il dibattito in sé è rimasto sullo sfondo delle polemiche che lo hanno accompagnato fin da quando è stato annunciato. Ad aprire le danze è stato il quotidiano “Slobodna Dalmacija” che lo ha catalogato come una “contro-manifestazione” per l’Operazione Tempesta, una definizione immediatamente ripresa da una miriade di siti di destra che hanno iniziato il linciaggio mediatico e trasformato l’iniziativa fiumana in un obbiettivo prescelto per le accuse di antipatriottismo.
Il giorno successivo all’evento il quotidiano non ha desistito dal sensazionalismo, chiedendo alle associazioni dei veterani un’opinione sull’etichetta che avevano loro stessi attribuito all’evento. Il presidente dell’associazione dei veterani di Fiume, Mile Biondić, è partito all’attacco di quella che è stata definita una manifestazione grande-serba, umiliante in particolare per la sua concomitanza con il giorno della festa nazionale.
Commemorazione ufficiale e contro-manifestazione
La commemorazione ufficiale a Fiume si è svolta la mattina del 5 agosto sul ponte che per gran parte del Ventennio fascista rappresentò la frontiera tra il Regno di Italia e quello dei Serbi, Croati e Sloveni (dal 1929 Regno di Jugoslavia), oggi intitolato ai “difensori croati”. La manifestazione, estremamente sobria e priva di discorsi, è consistita solo nella deposizione di corone da parte delle autorità ed è stata disertata dalle associazioni dei veterani che hanno indetto una loro manifestazione nello stesso luogo nel tardo pomeriggio, diretta contro l’iniziativa del Teatro nazionale.
Sul ponte si sono dati appuntamento i membri delle associazione dei veterani, del locale Partito del diritto e gli ultras del Rijeka, l’Armada. Poco dopo i partecipanti si sono divisi e mentre una delegazione si è recata a presidiare il teatro, il resto del corteo ha marciato sul Korzo di Fiume, esibendo simboli ustaša e intonando cori inequivocabili: “I croati non bevono il vino, ma il sangue dei cetnici di Knin”. In seguito un centinaio di hooligan – la maggior parte dei quali così giovani da rendere anagraficamente impossibile una loro partecipazione alla guerra degli anni ’90 – sono confluiti davanti al teatro, dove la tensione è salita.
Alle minacce al direttore Frlić e al sindaco di Fiume Vojko Obernesel, ritenuto responsabile di aver appoggiato l’iniziativa, si è aggiunto il coro ossessivo “Aprite la porta! Aprite la porta” mentre il gruppo ha iniziato a fare pressione verso l’entrata. In quel momento dalle vie laterali si sono fatti avanti agenti in assetto antisommossa che hanno sostituito la polizia che fino a quel momento aveva presidiato la piazza, creando un cordone di fronte al teatro.
La piazza antistante il teatro si è così trasformata in un palcoscenico sul quale si è giocato un confronto tra due volti della società croata che non potrebbero essere più lontani l’uno dall’altro. Da una parte il pubblico che è entrato alla spicciolata, su invito, ed è stato fatto uscire dal retro sotto la scorta dalla polizia: esponenti del mondo intellettuale di Fiume e di Zagabria, rappresentanti dei media, oltre ad alcune personalità di spicco come il console della Serbia. Dall’altra coloro che sventolavano la tetra simbologia dello Stato indipendente croato contro i “traditori” che infangavano la memoria croata.
Triste epilogo
L’epilogo della giornata è avvenuto alla fine dello spettacolo, quando alcuni spettatori diretti alla stazione degli autobus sono stati raggiunti da un gruppo di hooligan che avevano precedentemente assediato il teatro. Costoro li hanno derisi, gettando loro addosso acqua e birra, si sono esibiti in atti osceni rivolti alle donne e hanno malmenato alcuni dei presenti, tra cui il giornalista del magazine on line Lupiga – una delle voci più attive della sinistra croata – Hrvoje Simičević. Nonostante la presenza degli stessi hooligan in città, dopo la fine del dibattito la polizia ha smobilitato, sebbene la possibilità che alcuni degli spettatori entrassero in contatto con eventuali aggressori sembrasse tutto fuorché remota, ed è arrivata sul luogo dell’aggressione quando questa si era già conclusa. In seguito una decina di persone, quasi tutte vecchie conoscenze della polizia, sono state denunciate.
I giorni successivi si sono alternate le dichiarazioni. Il ministro della Cultura Branislav Šipuš ha dichiarato che l’aggressione a un giornalista è un attacco stesso alla libertà di espressione e alla sicurezza della categoria. L’associazione dei giornalisti croati ha denunciato sia l’accaduto che la mancanza di professionalità da parte di alcune testate che hanno contribuito ad alimentare l’isteria nazionalista.
Il direttore del teatro Frlić ha dichiarato che i fatti del 5 agosto hanno dimostrato la necessità di costruire una cultura di pace. Ha affermato inoltre di essere convinto che quella che ha marciato per le strade della città non rappresenti l’autentica Fiume, ma una minoranza aggressiva e pericolosa. Il sindaco Obernesel ha dichiarato che Fiume è da sempre una città multiculturale e tollerante, ha espresso la convinzione che la maggior parte dei fiumani condanni quello che è accaduto e si è detto addolorato del fatto che alcuni individui esprimano le proprie posizioni con la violenza. È però discutibile che l’invito al linciaggio di chi la pensa diversamente possa essere definita un’opinione.
Tolleranza o connivenza?
Forse la sostanziale tolleranza mostrata a più riprese dalle autorità croate verso alcune delle espressioni più estreme della società, difese in nome della libertà di opinione ma che potrebbero tranquillamente sconfinare nel reato di incitamento all’odio, può essere una chiave di lettura per comprendere quello che è successo anche nella tradizionalmente rossa Fiume, che alcuni mesi fa, durante una presentazione, i giornalisti del defunto “Feral Tribune”, simbolo del giornalismo indipendente, avevano ricordato come un’oasi di libertà.
La commemorazione del ventennale dell’Operazione Tempesta è stata preceduta da mesi in cui il tema si è rincorso ossessivamente sulla stampa e non sono state rare le occasioni in cui simboli dell’estrema destra ustaša sono stati legittimati senza imbarazzo al fianco di cerimonie ufficiali. La stessa giornata del 5 agosto è stata celebrata in due tappe, nel clima di una grande festa nazionalista: la tradizionale manifestazione il 4 agosto a Knin, tra slogan e simboli ustaša, coronata dal cantante Marko Perković Thompson, simbolo dell’estrema destra, e la grande parata militare a Zagabria del giorno successivo, che ha celebrato la potenza dell’esercito croato. Ciò ha spesso rappresentato, come messo in luce da diverse voci, tra cui gli ex Feral Viktor Ivančić e Boris Dežulović, una normalizzazione dell’incitamento all’odio, nazionale o politico, degli slogan razzisti e delle minacce a chi esprime un’opinione diversa dalla narrazione acritica e vittoriosa dell’Operazione Tempesta. Questo, insieme al discorso pubblico che minimizza o elude i lati oscuri della “guerra patriottica” – definita dalla presidente Kolinda Grabar Kitarović “pura coma una lacrima” –, condiviso dall’HDZ all’opposizione ma anche da gran parte dell’SDP al governo, sono elementi di una temperie generale ai margini della quale nascono e crescono gli aggressori della sera del 5 agosto.