Festival di Berlino, sguardi ad est

La 67ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino ha avuto luogo dal 9 al 19 febbraio 2017. Alcune note sul romeno “Ana, mon amour” e sul cinema georgiano

27/02/2017, Nicola Falcinella -

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L’Orso d’argento per il contributo artistico alla montatrice Dana Bunescu, per il film “Ana, mon amour” di Calin Peter Netzer, è stato l’unico premio al cinema dell’Europa del sud-est del 67° Festival di Berlino .

Un’edizione in generale tutto sommato buona, chiusa con l’Orso d’oro alla ritrovata ungherese Ildiko Enyedi, mentre il grande Aki Kaurismaki con la fiaba di immigrazione “The Other Side Of Hope” si è dovuto accontentare dell’Orso per la miglior regia, pur presentando un lavoro che si elevava decisamente sugli altri 17.

Il ritorno della cineasta magiara (nota negli anni ’90 per “Il mio XX secolo”, “Tamas e Juli” e “Simon Magus”) è un’ottima notizia, insieme a qualche altro film nella competizione e vari sparsi qua e là nelle diverse sezioni, compreso l’altro ungherese “1945” di Ferenc Torok ambientato in un villaggio il 12 agosto di quell’anno, con il passato e le colpe che riaffiorano tra reduci di Auschwitz che tornano a casa, i preparativi per un matrimonio e le importanti elezioni di novembre che si avvicinano.

Ana mon amour

Il regista romeno, già Orso d’oro per “Il caso Kerenes” nel 2013, è stato forse il grande deluso della serata di premiazione. Il premio per il montaggio riconosce una componente sicuramente lodevole di “Ana mon amour”, un contributo che rende il film pulsante e credibile, inteso e sincero, delicato e spietato. Netzer, al quarto lungometraggio, avrebbe meritato anche uno dei premi maggiori.

È la storia d’amore tra Toma e Ana, che si conoscono all’università, seguita non in ordine temporale, ma con un andamento che lo porta a svelarsi, mostrare la sua complessità nel suo dipanarsi, con una tensione crescente. Un film di sentimenti contrastanti, oscillante tra il comico e il drammatico, un po’ come tutte le storie d’amore così estreme. Entrambi i protagonisti hanno un passato che li segna o li blocca e alle spalle la solita famiglia romena disastrosa vista in tanti film: se c’è una costante del cinema romeno degli anni 2000 sono i danni compiuti dai genitori. Anche in questo caso le colpe dei padri e delle madri si ripercuotono sui figli.

Ana, abbandonata dal padre naturale che era emigrato in Francia prima che nascesse, ha vissuto con la madre e il padre adottivo, Igor, un uomo violento e possessivo. Ha dormito nel letto con loro fino all’età di 13 anni, così Toma teme che la ragazza abbia subito abusi. Non lo rinfranca nelle preoccupazioni la sua comica prima notte a Botosani, ospite della famiglia di lei, quando lo mettono a dormire nel letto insieme a Igor.

Anche i genitori del giovane hanno trascorsi travagliati. La madre aveva avuto un amante tedesco che era andato dal marito a chiedere la mano di lei: la coppia era rimasta insieme, ma la donna aveva riversato tutte le attenzioni sul figlio. Così sarà il padre a non accettare la relazione di Toma con Ana, perché è “una bastarda”.

Parte del racconto si sviluppa dalle sedute del protagonista con il suo analista. Un film di rivelazioni e confessioni (anche con il prete), di incertezze e dubbi e tanti farmaci (Igor e Ana), di sogni e proiezioni (Toma sogna di uccidere Ana), di specchi e di []i che si ripetono. Netzer non ha paura di scavare dentro la relazione e neppure di usare diverse scene di nudo, che forse a qualcuno potranno sembrare un po’ gratuite. Ottimi i due protagonisti Mircea Postelnicu e Diana Cavallioti, mentre lo psicanalista è interpretato da Adrian Titieni e il prete da Vlad Ivanov.

Cinema georgiano

Nella sezione Forum molto bello il corale georgiano “My Happy Family – Chemi bednieri ojakhi” di Nana & Simon (Nana Ekvtimishvili e Simon Gross), una conferma dopo il loro debutto “In Bloom”. Un film che avrebbe meritato il concorso e che meriterebbe una circolazione non solo nell’ambito dei festival.

Seguendo la protagonista Manana, insegnante cinquantaduenne, che cerca di separarsi ma la famiglia non è d’accordo, si ride e ci si commuove e si ha un quadro della vita di un paese che negli ultimi anni sta tornando sulla scena cinematografica con una giovane generazione di talenti.

All’inizio Manana cerca un giornale di annunci poi visita un appartamento, silenzioso al contrario di quello affollato e caotico dove vive con il marito Soso, i due anziani genitori, il figlio, la figlia e il suo fidanzato. L’intenzione della donna è andare a vivere da sola, ma le serve una spinta. Questa arriva dopo un colloquio con la studentessa diciassettenne assente da settimane perché stava divorziando dopo un matrimonio di pochi mesi: “Si deve andare via decise, invece le donne non lo fanno, esitano” dice la ragazza. È ciò che le serviva, Manana si decide, non fa scenate, non dà troppe spiegazioni, prende poche cose e si trasferisce. La separazione diviene però affare di famiglia, di famiglia allargata e tra i più decisi a bloccarla c’è il fratello di lei Rezo.

Il silenzio della nuova casa e la confusione di quella di famiglia. Una commedia drammatica composta di lunghe scene corali, tutte riprese in piano sequenza con macchina a mano. Film di colpi di scena, tanti elementi intrecciati. Ottimi interpreti, bravissima la protagonista che suona e canta. Film energico e delicato. Scene madri la festa della vecchia classe 35 anni dopo e quando Manana va dalla ex amante di Soso e dal loro figlio segreto spacciandosi per impiegata dell’azienda del gas.

Sempre in Forum è passato il documentario georgiano “City of Sun – Mzis qalaqi” del debuttante Rati Oneli, città di Chiatura, nella Georgia centrale, nota per le grandi miniere di manganese. Se il titolo si riferisce al celebre libro di Tommaso Campanella, con tanto di alcune frasi ad accompagnare l’inizio dei titoli di coda, per contrasto nelle immagini non c’è mai sole.

Oneli segue in parallelo diverse situazioni e persone, con pochi dialoghi tra loro, che non diventano mai veri e propri personaggi. Ci sono i minatori in miniera, le giovani atlete che si allenano sulla pista e per strada, le prove di teatro e del gruppo musicale tradizionale, l’insegnante di musica che demolisce le strutture in cemento armato di una vecchia fabbrica per ricavarne metallo da vendere ma che subisce continui furti notturni.

Ambisce a essere un documentario un po’ filosofico, punteggiato da una voce narrante, che cerca di essere ritratto dello spirito di un luogo, da una parte fatiscente e abbandonato, dall’altro con una vita che si svolge seminascosta: nel grigiore sussiste un’umanità tenace e Oneli riesce a portarla letteralmente alla luce.

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