Femminicidio: una piaga anche in Europa

Nonostante l’approvazione di leggi e normativa specifica, i casi di femminicidio non accennano a diminuire in Europa. Un quadro della situazione che si sofferma anche sui paesi del sud-est Europa

24/11/2017, Alberto Burba, Marzia Bona -

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Le scarpe rosse sono divenute il simbolo della giornata del 25 novembre contro la violenza sulle donne

In associazione con The European Data Journalism Network

43.600. E’ il numero di donne e ragazze uccise nel 2012 in tutto il mondo da un partner, un ex fidanzato, un membro della propria famiglia. Un terzo dell’universo femminile dichiara poi di avere subito almeno una volta una forma di violenza, fisica o sessuale. Solo l’11 per cento delle vittime denuncia il caso alle autorità. A presentare queste cifre è il rapporto Combating violence against women dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), pubblicato nel novembre 2016.

Dati che fanno impallidire: questi numeri, paragonabili ai dati del conflitto siriano – 40mila morti nei primi 20 mesi di guerra – sono lo specchio di un problema che interessa il mondo intero.

I paesi che registrano i casi più numerosi sono sparsi ai quattro angoli del pianeta. In Russia, El Salvador e Sudafrica il tasso di femminicidio supera i 6 casi ogni 100mila donne, toccando punte di 15 casi ogni 100.000 donne in Honduras. Nei paesi dell’Europa occidentale, il tasso medio è, annualmente, di 0,4 vittime di femminicidio ogni 100.000 donne. Per una donna che vive in Honduras quindi, il rischio di essere vittima di un omicidio di genere, perpetrato dal partner o all’interno della cerchia familiare, è 40 volte più alto di quello che interessa una cittadina dei paesi dell’Europa occidentale. Ma i dati sulla situazione in Europa sono tutt’altro che rassicuranti.

Femminicidio in Europa: cosa dicono i dati

Al netto della mancanza di dati per molti paesi europei, la mappa sottostante rappresenta graficamente i numeri assoluti del femminicidio in Europa. I casi più numerosi si registrano in Italia, Germania, Regno Unito.

I numeri del femminicidio

La mappa mostra il numero di vittime, nel 2015, per i paesi che mettono a disposizione i dati attraverso Eurostat

 

L’incidenza del fenomeno nei singoli paesi si coglie però in modo più preciso se si considera il tasso di femminicidi, ovvero il rapporto tra il numero di vittime e la popolazione di riferimento (in questo caso, il totale della popolazione femminile). Il grafico che segue mostra i paesi con il più alto tasso di femminicidi, e comprende solo i paesi mappati da Eurostat. Rispetto a questi ultimi, la situazione peggiore si registra in Montenegro, Lettonia, Lituania e Repubblica Ceca. Anche in Ungheria, Bosnia Erzegovina e Croazia il tasso è superiore alla media europea.

 

Il grafico riportato qui sopra mostra in dettaglio l’incidenza di femminicidi commessi da partner o ex-partner, mettendoli a confronto con i casi in cui a commettere il reato è un membro della famiglia della vittima (ad esempio padre, cugini, fratelli o sorelle). Il più delle volte la responsabilità è attribuibile al partner, con alcune eccezioni: in Lituania e in Bosnia, in particolare, la maggior parte dei femminicidi è riconducibile a un membro della cerchia familiare.

Un’ultima considerazione che emerge dai dati disponibili a livello europeo sui casi di omicidio intenzionale mette in luce un andamento difforme per i due generi: mentre le vittime di sesso maschile sono in calo significativo negli ultimi anni, il numero di donne uccise in Europa, non necessariamente per mano del partner e di un membro della famiglia rimane costante, con un lieve incremento dal 2013 al 2015.

I dati che mancano

La disponibilità di dati comparabili resta purtroppo piuttosto limitata: gli indicatori messi a disposizione da Eurostat e rielaborati da EIGE (l’Istituto dell’Unione europea per la parità di genere che ha sede in Lituania), coprono solo 20 paesi tra i quali 15 stati membri e 4 paesi candidati dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia, Macedonia, Montenegro) più la Svizzera. Sono ben 13 i paesi membri per i quali non sono accessibili dati statistici sui casi di femminicidio (vedi grafica).

Persistono inoltre forti discrepanze nelle modalità di raccolta dati: per categorizzare come femminicidio un caso di omicidio intenzionale si valutano il sesso della vittima e la relazione esistente tra quest’ultima e l’esecutore del crimine. Si tratta di accertamenti che competono agli organi di polizia: secondo un recente rapporto pubblicato da EIGE , gli organi di polizia in Danimarca, Grecia, Lussemburgo, Lituania, Malta e Polonia non raccolgono tale informazione in caso di omicidio. Francia e Regno Unito sono invece i paesi che rendono disponibili i dati più dettagliati, riportando il movente, le armi usate e le circostanze generali dell’atto.

Proprio per l’insufficienza di indicatori quantitativi comparabili, il femminicidio è stato escluso dalle dimensioni prese in considerazione per formulare il Gender Equality Index 2017 presentato in occasione dell’incontro sui diritti fondamentali nell’Ue da poco concluso.

Gli strumenti per combattere il femminicidio

Ma quali sono gli strumenti giuridici per combattere il femminicidio? I primi passi sul tema sono stati fatti nel 1979, con la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione ai danni della donna (CEDAW). È seguita l’adozione, nel 1995, della Piattaforma d’Azione di Pechino. Con un salto in avanti di 16 anni si è giunti alla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, approvata dal Consiglio d’Europa nel 2011. Finora, 14 paesi europei vi hanno aderito e anche l’Unione Europea è in procinto di farlo: il Parlamento ha espresso il proprio parere positivo a settembre 2017, sollevando riserve sulle limitazioni poste alla cooperazione giudiziaria in materia penale nei casi di violenza di genere. Ora la parola definitiva spetta al Consiglio dell’Unione Europea.

In riferimento alle strategie indicate ai paesi firmatari della Convenzione di Istanbul si parla spesso delle “3 P” : Prevenzione (e quindi educazione), Protezione (risposta efficace alle denunce di chi subisce violenza di genere) e Punizione degli autori delle violazioni, che diventano 4 se si include il Potenziamento dei diritti delle donne (Empowerment) inteso come contrasto ed eliminazione della violenza contro le donne e della violenza domestica.

In alcuni paesi europei tra i quali anche l’Italia, così come in ambito europeo, è in corso un dibattito serrato su questo tema. L’incontro annuale sui diritti fondamentali nell’Unione Europea organizzato dalla Commissione Europea, che si è tenuto il 20 e 21 novembre di quest’anno a Bruxelles, ha avuto come tema proprio i diritti delle donne. Nel corso del vertice la Commissaria per la giustizia, i consumatori e la parità di genere, Vĕra Jourová, ha posto l’attenzione sui divari retributivi di genere . “Nei Paesi dell’Unione europea – ha detto la Commissaria – le donne guadagnano in media il 16% in meno rispetto ai loro colleghi uomini. Questa ingiustizia è inaccettabile nelle nostre società. Il divario salariale va colmato, perché l’indipendenza economica delle donne è la loro arma migliore per difendersi dalle violenze”.

La Commissione sta quindi ora valutando un “Piano d’Azione” da presentare entro la fine del suo mandato (2019) per porre fine al divario salariale tra uomini e donne. Un passo ulteriore verso una società più egualitaria.

Come abbiamo lavorato

I dati usati per l’analisi sulla quale si basa quest’articolo provengono da Eurostat. I dati sulla Romania ci sono stati cortesemente forniti dalla professoressa Ecaterina Balica. Sei a conoscenza di dati relativi ai paesi non inclusi in quest’articolo? Aiutaci ad integrarli, inviando una segnalazione a redazione@balcanicaucaso.org

Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network  ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0

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