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Faccia a faccia a Belgrado
“Liceulice” non è solo un semplice giornalino che si può comprare per strada a Belgrado, ma un esperimento di imprenditoria sociale volto all’inclusione di soggetti con gravi difficoltà. Ne abbiamo parlato col direttore Milosav Marinović
Se cammini per Belgrado ti capita spesso di incontrarli; in piedi nei punti strategici della capitale serba, (d’estate e d’inverno, in rigoroso gilet blu-arancio) tengono tra le mani una rivista a colori e ti invitano a comprarla: “Liceulice ” nasce a Belgrado 10 anni fa sulla scia di altri street papers presenti nel mondo (a Milano, per esempio, Scarp de’ Tennis ). Il giornalino viene pubblicato dieci volte l’anno a Belgrado, Novi Sad e Kikinda con tirature che arrivano fino alle 10.000 copie. La vendita avviene per strada, anche se gli ambulanti, in crescita e arrivati a più di 100, sono i benvenuti in bar, ristoranti, aziende, centri commerciali, spazi culturali, ecc. Una copia può essere acquistata inoltre online, in versione digitale e in abbonamento.
Milosav Marinović, che ne è il direttore e responsabile, dice che “il progetto si basa sui principi dell’imprenditoria sociale e non si tratta di una semplice forma di assistenza sociale o umanitaria ma di un prodotto di qualità a un prezzo competitivo accompagnato da una forte componente sociale: i venditori vengono infatti formati alla vendita, acquisiscono fiducia in loro stessi e guadagnano dei soldi (il 50% del prezzo di ogni rivista venduta che costa circa 1,70 euro, ndr) e non vengono ultimo notati, ascoltati e accettati dalla comunità”.
Il nome “Liceulice” si presta a una doppia interpretazione: “Lice ulice” (le facce della strada) in risposta ai bisogni delle persone che vivono per strada e grazie alla strada, e “Lice u lice” (faccia a faccia), per ribadire il concetto dello stare insieme, senza distinzioni e discriminazioni.
Marinović sottolinea che “negli ultimi anni il sostegno all’iniziativa è arrivato anche da alcune grandi aziende e organizzazioni che forniscono supporto a vari gruppi emarginati e vulnerabili e che si occupano di protezione e promozione dei diritti umani, nonché da ambasciate, fondazioni, donatori stranieri e nazionali”.
Chi sono le persone che lavorano con voi e che cosa fate per loro in concreto?
Partirei dalle parole di un nostro collaboratore: “Per la prima volta posso dire che mi sento utile a questo mondo”. La nostra rete di venditori ambulanti è composta da categorie di persone a rischio marginalizzazione come senzatetto, disabili, utenti di servizi psichiatrici, Rom, anziani, genitori single… Tutti coloro che sono coinvolti nei nostri programmi hanno l’opportunità di acquisire nuove esperienze, fiducia in sé e con il nostro supporto anche di cambiare le circostanze sfavorevoli della propria vita. Lavoriamo per aumentare la capacità dei nostri utenti all’indipendenza e al reintegro nei flussi sociali regolari e nel mercato del lavoro.
Negli ultimi dieci anni siamo riusciti a dare lavoro e sostegno psicosociale ed economico a circa 600 persone. I nostri ambulanti seguono vari corsi di formazione e si può dire che questa per loro è una forma di lavoro autonomo o di mini-imprenditorialità. Autonomamente decidono il proprio orario di lavoro e optano per uno dei “punti vendita”; devono comunque attenersi a regole abbastanza rigide sul comportamento durante la vendita e sul rispetto reciproco. Inoltre, esiste un elaborato sistema di premi e incentivi, ma anche delle sanzioni in caso di violazione delle regole concordate.
Non facciamo mai mancare il nostro sostegno quotidiano fatto anche da consultazioni con il nostro team di esperti grazie ai quali ad esempio vengono realizzati piani finanziari individuali e risolti alcuni problemi acuti. Ci occupiamo altresì di raccolta e distribuzione di aiuti umanitari [cibo, igiene, abbigliamento e calzature, ndr], gestiamo laboratori speciali per l’emancipazione psicosociale, e aiutiamo nella risoluzione di problemi di salute individuali o esistenziali.
Entrare a far parte del nostro team per molti di loro è stato un punto di svolta e il momento in cui le cose hanno iniziato a migliorare. I soldi guadagnati dalla vendita della rivista hanno aiutato qualcuno a diventare indipendente o a trovare alloggio; altri hanno superato l’alcolismo o la tossicodipendenza motivati dal desiderio di far parte della squadra, mentre per altri la motivazione principale è stata l’opportunità di uscire dall’isolamento. Un buon venditore riesce a guadagnare qui da noi anche più del salario minimo previsto in Serbia per legge (275 euro circa).
Se chiedi loro qual è la cosa più importante in questa attività, oltre ai guadagni, ti diranno l’occasione di comunicare con i clienti, i passanti, o i proprietari di alcune aziende che li invitano da loro. La frase che ripetono spesso è che “Liceulice” li ha riportati nella comunità. La specificità dei giornali di strada sta proprio nel fatto che consentono un legame tra venditore e lettore, perché le vendite si fanno sul posto, “faccia a faccia”. Questo tipo di interazione aiuta a costruire dei ponti tra chi è ai margini e il resto della comunità e in generale aiuta tutti a capire cosa significhi l’esclusione sociale.
Di cosa parlano gli articoli della rivista e cosa vi interessa di più analizzare? Chi è il vostro lettore tipico?
I temi chiave sono quelli che sostengono l’attivismo dei cittadini in settori come la tutela dell’ambiente e l’interesse pubblico e la lotta contro ogni tipo di discriminazione ed esclusione. Siamo l’unica rivista che affronta continuamente temi legati a uno sviluppo sostenibile, umano e giusto della società, a un ambiente più sano, a una vita più etica di ciascuno di noi, a più umanità e solidarietà. La qualità dei nostri testi, ma anche delle illustrazioni che li accompagnano, è riconosciuta a livello mondiale ed è stata meritevole di premi. Siamo orgogliosi che la rivista sia diventata un membro importante della “International Network of Street Papers”, che ci ha nominato per i migliori testi, copertine e design otto volte finora, e ci ha assegnato anche il premio per la migliore copertina nel 2017.
Il nostro lettore tipo è per lo più un giovane o una persona di mezza età, donne soprattutto, consapevole, empatico e interessato a temi come l’ecologia, la giustizia e il bene pubblico. “Acquistando ‘Liceulice’ aiuti gli altri. Leggendo ‘Liceulice’ aiuti te stesso” è il nostro motto. La rivista è per molti aspetti un mezzo diverso, poiché il modo in cui affrontiamo i fenomeni sociali non è lo stesso di altri media simili.
Quali sono le reazioni più comuni dei cittadini? Le esperienze sono sempre positive? Qualcuno vi ha lasciato perché deluso o a seguito di un’esperienza spiacevole?
Naturalmente ci sono voluti molti sforzi perché “Liceulice” fosse riconosciuto e accettato dalla comunità e un po’ di scetticismo ancora rimane, anche se il numero di chi ci rispetta e ci sostiene cresce di giorno in giorno, grazie soprattutto al comportamento corretto dei nostri venditori, alla dedizione e trasparenza nel lavoro, alla qualità della rivista stessa e certamente alla longevità del nostro impegno umano.
Le esperienze negative per strada, almeno quelle “più gravi”, si contano in questi anni sulle dita di una mano, e nei pochi casi di denuncia abbiamo sempre ricevuto un caloroso sostegno da parte dell’opinione pubblica. Nessuno ci ha lasciato a causa di una “spiacevole esperienza per strada”, quando le persone se ne vanno è perché hanno ottenuto un lavoro fisso o le loro circostanze di vita sono cambiate.
Qual è l’opinione della società serba nei confronti delle persone con diversi tipi di problemi? Esiste ancora la solidarietà? Com’è stato l’anno del Covid-19?
La crisi che ci ha colpito dopo lo scoppio della pandemia ha lasciato tutti coloro che erano in pericolo prima di tutto questo ancora di più alla deriva, a sopravvivere come possono. La Serbia non è molto diversa da altri paesi, e su alcune classifiche di cose negative è in testa. L’assenza dello stato di diritto e la mancanza di rispetto per i diritti umani fondamentali sono dei punti critici sul percorso di integrazione europeo della Serbia. Le politiche sociali e le politiche contro la discriminazione non sono certamente tra i temi più importanti nel paese. Esiste una serie di categorie di popolazione in pericolo e prive di diritti civili, la cui pressoché inesistente presenza nei media non determina un cambiamento degli atteggiamenti e dei pregiudizi stereotipati presenti nella nostra società.
L’anno scorso è stato difficile per tutti, soprattutto per noi che vendiamo per strada. Mi sento di dire però che la solidarietà non è morta ma è inaspettatamente sempre più presente. Apparentemente abituati al nulla istituzionale e in assenza di empatia istituzionale i cittadini riconoscono l’importanza della solidarietà. Nel 2020 abbiamo pubblicato 8 edizioni cartacee e 2 digitali (durante lo stato di emergenza). I canali di vendita regolari hanno subito un duro colpo, ma abbiamo aumentato il numero di abbonati. Grazie alle donazioni abbiamo fornito ai nostri venditori oltre 550 pacchi di aiuti (cibo, igiene, ecc.), pasti caldi durante lo stato di emergenza e abbiamo fatto 1300 chiamate con finalità di supporto psicosociale. Sfortunatamente il virus non è ancora stato sconfitto ma speriamo che presto i nostri ragazzi siano in grado di tornare per strada a guadagnarsi da vivere.