Europa primo amore?

I cittadini bosniaci tifano Europa, come rivela un recente sondaggio. E’ questa la via d’uscita dalla impasse in cui si trova la Bosnia di Dayton? Un aggiornamento sulla situazione interna e sul cammino internazionale del Paese

11/06/2004, Andrea Oskari Rossini -

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Frantisek Kupka, Nocturne (1911)

Secondo un sondaggio condotto dalla società "Prism Research", e riportato dal quotidiano Dnevni List nella edizione del 25 maggio scorso, l’81,6% dei Bosniaci si dichiara certo che la cooperazione con l’Unione Europea sia più importante di quella con gli Stati Uniti. Il committente (la Delegazione della Commissione Europea a Sarajevo) può apparire sospetto, ma i risultati dell’inchiesta non sono privi di un certo interesse. Rispetto ad altri Paesi che aspirano all’ingresso nella UE, emerge che in Bosnia Erzegovina c’è un desiderio molto più forte di Europa, e la maggioranza dei 1.500 intervistati ritiene che il processo di integrazione non sia abbastanza rapido. I fattori considerati ostativi al cammino verso Bruxelles, secondo i cittadini, sono la criminalità, la corruzione, la situazione economica, la impunità dei criminali di guerra. In una parola, la deregolazione che – tra guerra e pace fredda – continua nel Paese ormai dal 1992, nonostante la massiccia presenza internazionale.

L’agenda politica del Paese, tuttavia, non vede in questo periodo al primo posto l’Europa, ma la adesione a quello che, in una intervista del marzo scorso, il prof. Gajo Sekulić della Università di Sarajevo definiva un "pericoloso relitto archeologico della guerra fredda", la Nato.

Le speranze riposte dalla maggioranza dei politici bosniaci in una rapida adesione al programma di Partnership per la Pace, considerato tappa intermedia per l’ingresso nella Alleanza, si sono però recentemente infrante di fronte alle dichiarazioni del segretario generale dell’organizzazione, Jaap de Hoop Scheffer, il quale ha praticamente escluso novità in questo senso nel corso del vertice di Istanbul del 28 e 29 giugno prossimi.

Secondo fonti diplomatiche dell’Alleanza Atlantica (Ansa, 24 maggio), la causa risiede nella mancata cooperazione con il Tribunale Internazionale dell’Aja, e in particolare nella persistente latitanza di Karadzić e Mladić. L’Alto Rappresentante in Bosnia, Paddy Ashdown, ha precisato che "la risposta sull’adesione alla Partnership per la Pace (PFP) non e’ a Bruxelles, ne’ a Sarajevo, ma a Banja Luka", indicando nella Republika Srpska il principale ostacolo. Scheffer, dal canto suo, ha ribadito che la Nato procede con ordine: prima l’arresto dei ricercati per crimini di guerra, poi l’ingresso nella PFP (Fena, 26 maggio). L’arresto di Karadzić e Mladić, dunque, viene ora direttamente collegato alle possibilità di adesione della BiH alla Nato e, forse, non solo a questo.

Ancora Karadzić

Il clima politico interno si è infervorato. Il primo ministro Adnan Terzić ha dichiarato (Dnevni Avaz, 26 maggio) che la battuta di arresto nella integrazione della Bosnia nella comunità democratica rappresenta una ricompensa per i criminali di guerra, e che il governo centrale e la Federacija (la Entità a maggioranza croato musulmana) non possono fare nulla, mentre tutto è nelle mani della comunità internazionale e delle autorità della Republika Srpska. Oslobodjenje, nella stessa giornata, ha titolato: "Una delle vittorie di Karadzić?"

Milorad Dodik, presidente del Partito Socialdemocratico Indipendente (SNSD), ha tuttavia sostenuto che non si tratta di un problema della RS, e che la RS non può essere considerata responsabile. La responsabilità – ha affermato Dodik – è di coloro che nella RS sono al potere (Nezavisne Novine, 27 maggio).

Nei giorni scorsi, Ashdown si è recato a Belgrado dove ha incontrato sia il presidente Kostunica che il ministro degli Esteri Drasković. Per Dnevni Avaz (8 giugno), Ashdown non poteva scegliere un luogo migliore per inviare un messaggio ai politici della RS. Secondo le dichiarazioni riportate dalla stampa, Kostunica e Drasković hanno giocato di squadra: mentre il primo ha ribadito la necessità di rispettare gli accordi di Dayton, chiave per la stabilità della BiH, il secondo ha detto che la cooperazione con l’Aja rappresenta una difesa dell’onore dei Serbi.

Per difendere questo onore, secondo la maggioranza degli osservatori, restano solo un paio di settimane, prima che abbia inizio il vertice di Istanbul. Non sembra che il tempo a disposizione sia sufficiente.

Emir Suljagić, commentatore del sarajevese Dani, nota tuttavia nella ultima edizione del settimanale che l’atteggiamento della comunità internazionale sull’arresto di Karadzić è cambiato. Per la prima volta, l’arresto del latitante diviene condizione per il futuro internazionale della Bosnia (mentre prima, in occasione ad esempio dell’ingresso nel Consiglio d’Europa, non lo era). Allo stesso tempo, sottolinea Suljagić evidenziando la aumentata pressione nei confronti della RS, le autorità della RS per la prima volta rilevano il legame che esiste tra l’arresto di Karadzić e la sopravvivenza dell’Entità.

31 fosse comuni

Insieme alla questione della collaborazione con il Tribunale dell’Aja, uno dei principali terreni di scontro che nelle settimane scorse ha opposto Alto Rappresentante e autorità della Republika Srpska è quello relativo alla cosiddetta Commissione Srebrenica. Attraverso il lavoro della Commissione, la RS deve fornire le informazioni necessarie a ricostruire la sorte delle persone scomparse nei giorni successivi alla resa delle forze internazionali e alla cattura dell’enclave da parte delle forze di Mladić. Finora sono stati esumati i resti di circa 6.000 vittime da 60 fosse comuni della zona, ma mancano all’appello oltre diecimila persone (Ansa, 4 giugno), e il termine stabilito per la presentazione di un rapporto completo è la metà di luglio.

Dopo mesi di false partenze e mezzi fallimenti, la Commissione sembra produrre documentazione di rilievo.

Nei giorni scorsi (Fena, 4 giugno), questo organismo ha infatti reso nota la ubicazione di 31 fosse comuni finora sconosciute. Le informazioni, ottenute dalle istituzioni della RS e da testimoni, sono state trasmesse alla Commissione per la ricerca dei dispersi della Federacija BH, i cui esperti hanno visitato tutte le località indicate. Il comunicato del governo della RS, tuttavia, non dice quanti corpi potrebbero esserci nelle nuove fosse, 30 delle quali sarebbero nell’area di Srebrenica e una nell’area di Bratunac.

Amor Masovic, presidente della Commissione della FBiH per le persone scomparse, ha dichiarato (Oslobodjenje, 6 giugno) che in base ai primi rilevamenti si aspettano di trovare i corpi di circa 2.500 persone in queste fosse, alcune delle quali avrebbero "carattere primario", il che dovrebbe rendere più facile la identificazione.

Si tratta della prima volta che le istituzioni della RS forniscono informazioni sull’ubicazione delle fosse comuni. Data la natura fortemente simbolica, oltre che concreta, della posta in gioco, potrebbe trattarsi di un primo segnale importante non solamente di collaborazione con le autorità internazionali ma anche di elaborazione del passato recente da parte dei Serbi di Bosnia.

Significative sono state le parole utilizzate dal presidente della RS, Dragan Čavić, già alla fine di maggio (Nezavisne Novine, 24 maggio): "Per noi è il momento di affrontare seriamente la questione Srebrenica. Le informazioni che ho ricevuto dalla Commissione sono scioccanti… La forza della condanna che proviene da me non è la stessa di quella di un Tribunale. Proviene da un uomo che appartiene ad una nazione che non ha mai commesso crimini ma che è stata vittima. Non dobbiamo tacere sul fatto che siamo stati vittime, ma non dobbiamo neppure tacere su quello che i Serbi hanno fatto agli altri. I Serbi devono avere forza, io devo averne, per affrontare il fatto che a Srebrenica è stato commesso un crimine di guerra che deve essere condannato. La RS e tutto il popolo non possono essere identificati con i fatti di Srebrenica; così come la Federazione e tutti i Bosniaco Musulmani non possono essere identificati con i fatti di Kravice, dove i Serbi sono stati vittime. Se vogliamo essere un fattore di riconciliazione in BiH, allora come prima cosa noi Serbi dobbiamo affrontare i fatti di Srebrenica. Quando la Commissione Srebrenica avrà finito il proprio lavoro, farò un serio passo in avanti a nome del mio popolo. Spero che il mio popolo e gli altri lo comprenderanno."

Allo stesso tempo, tuttavia, si è aperta una forte polemica relativamente al termine che verrà utilizzato dalla Commissione per descrivere i crimini commessi contro i Bosniaco Musulmani a Srebrenica. Alla luce della recente sentenza di appello da parte della Corte dell’Aja nei confronti del generale Krstić, l’utilizzo della parola "genocidio", o la sua sostituzione con altri termini, sarà in ogni caso stigmatizzato. Indiscrezioni giornalistiche (Oslobodjenje, 7 giugno) avvertono che la Commissione sta già discutendo proprio di questo, divisa esattamente a metà al suo interno.

Chi comanda in Republika Srpska

All’interno della RS, tuttavia, e probabilmente all’interno dello stesso SDS (Partito Democratico Serbo), le spinte avvengono in direzioni diverse. Dopo il fallito raid che ha portato alla morte di Novica Lukić, nell’aprile scorso, il comandante delle forze speciali della polizia della RS, Dragan Lukac, è stato rimosso (v. "Bosnia: pulizia dopo il pasticciato raid", di Gordana Katana e Nerma Jelačić, IWPR, 25 maggio). Il ministro dell’Interno della RS, Zoran Djerić, e il capo della polizia dell’Entità, Radomir Neguš, hanno accusato Lukac del fallimento dell’operazione che, invece di portare al primo arresto da parte delle RS di un ricercato dell’Aja, causò la morte di un innocente.

La rimozione di Lukac appare controversa. Secondo Milorad Dodik (SNSD), "Le forze speciali agiscono sotto gli ordini del capo della polizia e del Ministero degli Interni. E’ irresponsabile che coloro che hanno dato quegli ordini ora se ne lavino le mani."

In conferenza stampa, Lukac ha dichiarato di essere utilizzato come capro espiatorio per il proprio passato politico, lontano da Pale, vicino a Banja Luka: "Molti nell’SDS non mi hanno mai perdonato per questo – ha dichiarato il 19 maggio a Banja Luka." Secondo alcuni, il disastroso esito del raid è utilizzato proprio per compromettere Lukac.

Secondo Lukac, il messaggio che emerge dalla fallita operazione, e dalla sua rimozione, è molto semplice: "Nessuno deve compiere azioni di questo tipo (di arresto di ricercati dell’Aja, ndr)."

Se questo fosse davvero il messaggio, la tensione tra istituzioni della RS e comunità internazionale è destinata ad aumentare drasticamente. Ashdown aveva già avvisato che, se la RS continuasse a rappresentare un ostacolo al cammino della Bosnia verso la Partnership per la Pace, per la incapacità di arrestare Karadzić e Mladić, ci sarebbero state conseguenze. Roman Petrovski, di Vecernje Novosti, ha intervistato l’Alto Rappresentante martedì scorso chiedendogli se all’orizzonte ci fosse l’obiettivo di cambiare Dayton e abolire la RS. Ashdown ha chiarito: "La RS deve capire che è una Entità e non uno Stato indipendente. Dayton è una strada a due vie. Una parte protegge le Entità, mentre un’altra è diretta allo sviluppo di uno Stato comune. La RS fa solo quanto necessario per rafforzare l’Entità, evitando di lavorare per uno Stato comune. Ho detto chiaramente alla RS che io non cambierò Dayton, solo i cittadini della Bosnia lo possono fare. tuttavia, se la RS o altri in Bosnia dovessero rendere lo Stato non funzionale in rapporto a Dayton allora anche l’Accordo deve essere cambiato."

Insomma, il dibattito sulla architettura istituzionale del Paese continua.

La gente ha fame

Anche gli altri eventi, in Bosnia, procedono nella solita routine.

Una famiglia di profughi, Serbi della Croazia rifugiati a Banja Luka, si è difesa dall’ufficiale giudiziario, che per la undicesima volta era venuto a notificargli l’ordine di sgombero, rovesciandogli addosso benzina dal balcone nel quale si erano barricati (Nezavisne Novine, 8 maggio). I Crnkovic, originariamente di Karlovac, non vogliono lasciare la casa che hanno scambiato con Ekrem Varjaca, di Banja Luka, "emigrato" a Karlovac. Dicono che le autorità croate non restituirebbero loro la casa, e che rimarrebbero per strada. La Corte Distrettuale di Banja Luka, però, gli ha ordinato di lasciare l’abitazione che occupano in città, sostenendo che il loro contratto di scambio di proprietà non è valido.

Cosa è successo? Gli appartamenti che le varie famiglie (in Bosnia e Croazia) si sono scambiati nel corso di questi anni, per sfuggire alla pulizia etnica, sono nel frattempo stati privatizzati, e i contratti di scambio di proprietà sono stati dichiarati nulli. I Serbi di Croazia, in Bosnia, che sono nella condizione della famiglia Crnkovic, sono 1.200 (Vecernj List, 28 maggio). I due governi (Bosnia e Croazia) stanno ora affrontando la questione a livello ufficiale. Nel frattempo, per gli ufficiali giudiziari, è consigliato un periodo di ferie.

Se le questioni di proprietà – si auspica – verranno risolte rapidamente, lo stato di povertà in cui sono precipitati ampi settori della popolazione bosniaca nella transizione dalla economia di piano al mercato, attraverso 4 anni di economia di guerra, non accenna a cambiare. La situazione è particolarmente dura per i pensionati.

Il 3 giugno scorso, a Banja Luka, gli agricoltori avevano inscenato una manifestazione contro il governo della RS per la questione delle quote di importazione di carne dall’estero. Per protestare, gli agricoltori hanno cominciato a distribuire gratuitamente polli congelati di fronte al palazzo del governo. Centinaia di pensionati si sono gettati sui volatili, creando una pericolosa ressa. Il quotidiano del capoluogo della RS, Nezavisne Novine, il giorno dopo ha titolato lapidariamente: "La gente ha fame". Il presidente della associazione degli agricoltori della Rs, Vladimir Usorac, ha dichiarato: "Non sapevamo che questa gente davvero non ha da mangiare a sufficienza", promettendo che la sua organizzazione distribuirà nuovamente polli nella piazza principale di Banja Luka in futuro.

Le uniche buone notizie vengono da sottoterra. "Gli Americani hanno scoperto due campi petroliferi in Bosnia", ha titolato Dnevni Avaz il 31 maggio scorso. Lo studio sarebbe stato commissionato dalla Energoinvest e, secondo Nezavisne Novine, la capacità delle riserve, situate in Posavina, sarebbe di oltre 50 milioni di tonnellate di oro nero, a due chilometri di profondità. Le prime trivellazioni saranno condotte presso Šamac.

Ma forse, con quello che succede agli Stati ricchi di petrolio, di questi tempi, anche questa non è un’ottima notizia.

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