Eurokaz, il polso del tempo

Ogni estate, a Zagabria, un’intensa rassegna teatrale. Iconoclastia, post- mainstream, body art, interattività, il teatro tecnologico, interculturalismo alcuni dei temi affrontati durante Eurokaz dal 1987 ad oggi. Fondatrice e animatrice Gordana Vnuk, che abbiamo intervistato

22/03/2007, Redazione -

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A cura della redazione di Osservatorio sui Balcani

Quando e come è nato il festival di Zagabria Eurokaz?
Eurokaz ha continuato la tradizione del festival del teatro di ricerca di Zagabria. Dopo il leggendario IFSK, il Festival dei teatri studenteschi, negli anni sessanta e settanta, il gruppo teatrale Coccolemocco di cui facevo parte, ottenne il compito di organizzare il "Giorno del teatro giovane", un festival internazionale che si teneva due volte all’anno dal 1974 al 1977.

Negli anni ottanta questo festival si trasferì a Dubrovnik come un blocco a parte all’interno dei giochi estivi di Dubrovnik, questo avvenne dal 1980 al 1982.

Anche dopo la cessazione del "Giorno del teatro giovane" ho continuato a mantenere i contatti internazionali, viaggiavo in Europa, guardavo gli spettacoli. In quel periodo il nuovo teatro visse un vero "boom" e io volevo far vedere alla Croazia tutti quei giovani artisti che avevano aperto il teatro ai nuovi media, all’arte visuale, all’alta tecnologia, alla danza e al movimento.

L’occasione si presentò con i giochi olimpici studenteschi, manifestazione che si tenne a Zagabria nel 1987. Presentai un programma compiuto al Comitato organizzatore ottenendo il sostegno del Centro per l’attività culturale e del Ministro della cultura, e fu così che prese il via il primo Eurokaz.

Quell’anno hanno si esibirono alcuni tra i più importanti gruppi che avrebbero marcato la scena del teatro europeo fino al giorno d’oggi: Rosas, La fura dels baus, G.B. Corsetti, Studio Hinderik, Neue Slowenische Kunst. Insieme a Corsetti ci sono stati anche Krypton, Teatro delle Briciole, Teatro Gioco Vita, TAM – Teatromusica.

Il festival durò tre settimane ed ebbe un ampio programma con 20 gruppi diversi. I primi Eurokaz fino alla guerra nella ex Jugoslavia hanno ospitato anche molti altri rappresentanti del nuovo teatro che si sono esibiti a Zagabria con i loro primi spettacoli: Need Company, Jan Fabre, Ilotopie, Royal de luxe, John Jesurun, Saburo Teshigawara, Station house Opera, BAK- truppen e molti altri. La Societas Raffaello Sanzio era un ospite regolare di Eurokaz dove ebbero modo di esibirsi per la prima volta fuori dall’Italia, con il loro leggendario spettacolo Santa Sofia.
Cosa è cambiato dalla prima edizione fino ad oggi?
Eurokaz ha sempre cercato di seguire fenomeni teatrali importanti, di sentire il polso del tempo. Un’autentica selezione – e non la ripetizione del programma di altri festival che si appoggiano principalmente sugli stessi nomi, cosa che contribuisce all’uniformità del paesaggio teatrale europeo – l’identificazione degli impulsi che cambiano le abitudini della percezione e sfondano nell’ignoto, "la scoperta" di nuovi nomi e la loro contestualizzazione sottoforma di blocchi tematici, sono alcune delle caratteristiche del programma di Eurokaz.

Ciò significa che il programma cambia, in relazione a dove sono e chi sono i portatori delle tendenze innovative e di ricerca in un determinato momento.

Nominerò alcuni dei temi dei quali ci siamo occupati: iconoclastia, post- mainstream, body art, interattività, il teatro tecnologico, il teatro dell’energia, il teatro della morte lenta, interculturalismo, teatro d’intimità, il conservatorismo teatrale, teatro e vicinato, le innovazioni nei repertori teatrali, il nuovo circo e le forme popolari, ecc.

Spesso parti del programma erano dedicate a determinati paesi e alle regioni dove in quel dato momento scoprivamo importanti manifestazioni di energia creativa. Mentre all’inizio ci occupavamo dell’onda fiamminga e olandese, della nuova generazione dei registri francesi, del teatro tedesco o russo, durante la guerra nella ex Jugoslavia ci siamo rivolti all’ambito del concetto del post-mainstream che sposta l’attenzione dell’interesse teatrale dai centri europei del potere economico e culturale verso la periferia europea e verso le culture extra-europee, verso l’Asia, l’Africa, il Sud America.

Gli artisti di quelle parti del mondo erano le star del programma del festival sia durante che dopo la guerra. Negli ultimi anni seguiamo i gruppi più interessanti del nuovo teatro italiano come Fanny& Alexander, Motus, Teatrino Clandestino, invitiamo gli artisti dalla Cina, Australia, India.

Naturalmente l’Europa è sempre presente, a volte ritorniamo anche a vecchie conoscenze che non si sono lasciate andare del tutto alle tentazioni del mercato teatrale europeo sempre più distruttivo. Per sapere chi erano gli ospiti di Eurokaz negli scorsi venti anni potete visitare il nostro sito internet: www.eurokaz.hr.
Qual è il messaggio principale della ventesima edizione?
Nel 2006 Eurokaz ha festeggiato il suo ventesimo anniversario. In questa occasione abbiamo pubblicato anche un libro in lingua inglese. Questo anniversario ha segnato anche un cambiamento importante nell’orientamento del programma. Mentre fino ad ora facevamo vedere esclusivamente ospiti che andavano raramente in produzione, da quest’anno sempre di più ci orientiamo verso la produzione degli spettacoli con artisti croati e stranieri, verso il collegamento delle istituzioni croate con i partner stranieri. In questo modo desideriamo occuparci di più della situazione croata e realizzare qua delle azioni durevoli. Così nel 2006 abbiamo coprodotto quattro progetti nei quali hanno partecipato le istituzioni di Zagabria: il Teatro nazionale croato, il Teatro & TD, l’Accademia delle arti drammatiche, e artisti della Croazia e dei paesi vicini, della Slovenia e dell’Ungheria.
I progetti per il futuro?
Desideriamo continuare ancora in questa direzione. Così il prossimo Eurokaz è orientato esclusivamente alle coproduzioni. Coproduciamo con teatri e con artisti in Germania, Slovenia, Montenegro, Macedonia, Russia, Egitto, India. Tutti gli spettacoli si stanno svolgendo sul tema di Tito e della Terza via, e quindi ciò motiva anche la scelta dei paesi che partecipano al progetto.

Affrontiamo i grandi temi del ventesimo secolo che si svolgono attraverso l’immagine di Tito e delle sue opzioni politiche, il movimento dei non Allineati, il problema dell’utopia e simili. Questo è sicuramente il più ambizioso progetto teatrale in questa parte d’Europa, su un tema molto controverso che nei paesi della ex Jugoslavia fino ad ora non è stato "fissato" né dall’arte, né dalla politica in modo analitico e responsabile, e che dovrebbe, spero, contribuire alla collaborazione culturale nella nostra regione.
Quale sono le maggiori difficoltà per una direttrice artistica come lei?
La sproporzione fra i desideri e le idee che sono sempre tante e i mezzi finanziari che nel nostro paese sono piuttosto modesti. Ma sicuramente la maggior parte dei direttori artistici hanno questo tipo di difficoltà e quindi è tedioso risentirlo…

E la cosa più facile?

Mi sembra che non esistano cose "facili". In tutte le cose che ho fatto nella vita ho dovuto impegnarmi tanto, lottare sempre per lo spazio d’azione. E lavorare parecchio.
Che rapporti avete con altri festival internazionali?
Come ho già detto, la caratteristica del programma di Eurokaz è l’autenticità della scelta. Non mi appoggio ai programmi di altri festival, non invito gli spettacoli soltanto perché sono "in giro" o da qualche parte qui vicino. In questo modo già funzionano la maggior parte dei festival anche nella nostra regione, e a me non interessa.
Lei crede che ci sia un legame fra la politica e la cultura? Se sì, in che modo potrebbe essere "praticato"?
Di questo legame ho già avuto modo di essere testimone di recente ad un esempio molto concreto che indica il modo pessimo in cui la politica e la cultura possono essere collegate. In Macedonia abbiamo iniziato il progetto su Tito ancora durante il precedente governo di sinistra e del ministro della Cultura Blagoje Stefanovski che ci aveva sostenuto.

Il nuovo governo macedone, dopo le elezioni dell’agosto 2006, di orientamento di estrema destra, con una coalizione molto paradossale formata dai peggiori nazionalisti macedoni e albanesi, ha sostituito tutti i direttori dei teatri macedoni e a quei teatri che erano i nostri coproduttori hanno ordinato di espellere il nostro progetto dai repertori perché il tema era troppo pericoloso. Le prove erano già iniziate, la gente impegnata. E’ terribile che nel bel mezzo dell’Europa, in un paese che pretende di entrare in Europa, esista la censura e temi che sono considerati "pericolosi" per il governo.

Sul nostro progetto, che nel frattempo ha ricevuto anche i finanziamenti dell’Unione europea, si è discusso persino nel parlamento macedone, e con la maggioranza dei voti è stato tolto definitivamente il sostegno finanziario. Noi comunque lo faremo, ma potete immaginare in quali difficili condizioni.
Cosa significa secondo lei "parlare dei Balcani"?
Questo tema è così ideologicamente appesantito che quasi tutte le conversazioni sui Balcani alla fine si riducono alla politica.
Chi in Italia conosce bene la situazione teatrale croata? E perché?
Tranne alcune osservazioni e informazioni superficiali, in Italia nessuno conosce bene la situazione croata, almeno io non conosco nessun direttore di festival o di teatro che segua regolarmente la produzione teatrale croata per poter avere una qualsiasi opinione su di essa, per avere un’idea su chi è di rilievo e chi non lo è. E’ un peccato, noi siamo pur sempre dei paesi vicini. Ma mi sembra che le istituzioni teatrali italiane siano abbastanza autistiche, persino quelle persone che secondo una loro struttura interiore dovrebbero essere più aperte, come per esempio Martone.

Mentre noi un tempo seguivamo regolarmente il teatro italiano di ricerca al quale lui apparteneva, così già all’inizio degli anni ottanta abbiamo fatto un pellegrinaggio al festival di Palermo dove si sono esibiti Magazzini Criminali, Falso Movimento e altre leggende di quei tempi, per non parlare dei nuovi gruppi degli ultimi anni che abbiamo seguito in modo dettagliato, Martone non l’ho ancora visto in Croazia.
In che modo vengono realizzati "i dialoghi fra oriente e occidente"?
Dopo la caduta del muro di Berlino, l’Occidente si è avvicinato all’Europa del est con posizioni molto arroganti e da protettore. Come se non avessimo mai fatto alcun teatro, come se noi tutti fossimo un ambiente teatrale arretrato che aspetta soltanto che qualcuno dall’Occidente ci" illumini" e ci mostri come si fa il teatro moderno.

Nessuno dei nostri colleghi occidentali ha mai cercato di conoscere il teatro che facevano gli artisti dell’ex Jugoslavia, nel periodo prima dello sfacelo del sistema comunista. Noi, per esempio, abbiamo sviluppato un teatro politico auto-consapevole, estetiche autentiche che in quel periodo erano estranee al gusto occidentale che negli anni ottanta era sotto una forte influenza del formalismo e della purezza estetica dell’onda fiamminga.

Un’intera generazione di registi jugoslavi (allora si chiamavano ancora così), sapeva sfruttare la ricca memoria culturale dei Balcani e unire con superiorità diverse tradizioni di questi territori con i moderni metodi di regia. Tale generazione per la forza dei suoi concetti poteva confrontarsi con qualsiasi idea artistica di rilievo allora presente in Europa. Ma l’Occidente in quel periodo non lo ha riconosciuto e non lo ha sostenuto, si è aggregato soltanto alla seconda generazione, in particolare dei registi e dei coreografi sloveni, che è artisticamente molto più debole, ma che in modo epigonale ha conquistato col successo l’estetica che regna nel mercato teatrale occidentale. Loro purtroppo non hanno idee originali, danzano secondo le stesse note come il resto dell’Europa. Un altro contributo all’uniformità e alla mediocrità che c’è nel ambiente teatrale europeo.
Un esempio di un buon dialogo?
Siccome negli ultimi dieci anni sto lavorando anche sull’Occidente (ho condotto il teatro a Charter Arts CEntre a Cardiff, e negli ultimi sei anni sono direttrice generale di Kampnagel ad Amburgo), ho un dialogo molto buono con me stessa, unisco le mie esperienze "orientali" e "occidentali", faccio una coproduzione con denaro "orientale" e "occidentale", unisco gli artisti e le istituzioni di entrambi i "mondi". Per esempio, il principale coproduttore del nostro progetto su Tito è anche il mio teatro tedesco. Molte volte ho iniziato e coprodotto progetti dove i registi tedeschi radicali hanno fatto spettacoli nei teatri nazionali macedoni e montenegrini.
Un esempio di cattivo dialogo?

Come esempio di cattivo dialogo direi che c’è la caccia organizzata ai giovani registi est europei da parte del programma Theorem. Senza comprendere il contesto e la storia dell’est Europa, i produttori occidentali uniti in questo programma che ha raccolto i soldi dall’UE, hanno cercato quelli che con un basso livello di provocazione in modo più facile si sarebbero incastrati nel mercato europeo della mediocrità. In pochi anni Theorem è riuscito a distruggere tutte le possibilità di teatro autentico est europeo. Siccome la generazione più giovane è stata la meno resistente alle offerte attraenti di soldi e di fama, oggi nell’est Europa quasi non esistono registi che possano in modo creativo condurre un dialogo con la tradizione teatrale del proprio paese.

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