Elvira, scrittrice transnazionale
Elvira Dones, scrittrice, giornalista, documentarista. Ha lasciato l’Albania vent’anni fa e si è messa in viaggio, in cerca di storie e racconti. Parla cinque lingue e scrive direttamente in italiano. Il suo rapporto con la lingua e la letteratura in questa intervista
La versione in lingua albanese dell’intervista è stata pubblicata sul numero di novembre dell’inserto culturale di Bota Shqiptare
Elvira Dones, classe 1960, scrittrice, giornalista e documentarista. Quest’anno ha ricevuto il premio Grinzane Cavour per il suo ultimo romanzo "Vergine Giurata" pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 2007. Emigrata in Svizzera, nel 1988 mentre l’Albania era ancora ermeticamente chiusa, ha trascorso gli ultimi 20 anni tra il Ticino e Washington dove attualmente vive. I suoi libri sono tradotti in diverse lingue e in particolare in italiano. "Vergine giurata", scritto direttamente in italiano, racconta la storia di una donna albanese che dopo aver cambiato ruolo sociale diventando uomo, come prevede l’antico uso del nord albanese, vuole recuperare la femminilità perduta emigrando in un altro paese. Basandosi sul romanzo verrà prodotto un film che porterà la firma di una coproduzione italo-statunitense.
Quest’anno lei ha ricevuto il premio Grinzane Cavour. Cosa vuol dire per lei questo riconoscimento letterario?
Sarei ipocrita se dicessi che mi ha lasciato indifferente, come spesso si dice in queste occasioni. E’ sempre un piacere, anche se non uso dare molta importanza ai premi letterari, che spesso vengono assegnati anche per motivi politici. Il giorno in cui ho ritirato il Grinzane Cavour, ricorrevano i 20 anni da quando ho lasciato l’Albania, e il premio mi è stato dato per un libro che parlava di albanesità. Può sembrare un po’ patetico ma l’ho considerato come un atto d’amore nei confronti dell’Albania, in quel giorno per me particolare. Mi ha ovviamente fatto molto piacere il fatto che mi venga dato questo premio per un mio libro scritto direttamente in italiano. E’ una cosa che mi tranquillizza perché questa volta ho scritto un libro in una lingua che non è la mia.
Questo, infatti, è il suo primo libro scritto in italiano, tutti i precedenti sono stati scritti in albanese. Quali sono i suoi rapporti con queste due lingue?
Il mio tormento fisso è mantenere la mia lingua viva. E’ un processo estremamente difficile. Si tratta di una mia smania di conservare il mio albanese incontaminato dalle altre lingue che parlo e in cui vivo. Oggi riscriverei i miei primi libri perché noto che il mio albanese era molto italianeggiante. Questo è avvenuto perché quando li ho scritti ero completamente immersa nell’italianità, vivendo e lavorando nella Svizzera italiana. Nei miei ultimi libri poi l’albanese è più puro perché l’ho recuperato e cerco di curarlo in maniera maniacale. Secondo me l’amore per un paese passa attraverso l’amore per la sua lingua. Dato che vivo tra cinque lingue, l’albanese, l’italiano, l’inglese, il francese e lo spagnolo, da un lato è molto complesso, dall’altro riserva anche molti vantaggi. Ora scrivo sia in italiano sia in albanese. Ogni volta che vado in Albania cerco di annotare le nuove espressioni che sento. Mentre il passaggio all’italiano è stato un processo normale, perché in questa lingua ho vissuto e lavorato per anni.
Come è nato il romanzo "Vergine giurata", pubblicato in albanese con il titolo "Hana"?
Era qualcosa che mi affascinava da moltissimo tempo. Quando ero ancora adolescente, alcuni vicini di casa mi mostrarono un album di foto di famiglia. E in queste foto notai un uomo estremamente bello e strano. Esclamai: che bell’uomo, è vostro zio? I miei vicini sorrisero, e mi risposero: sì è nostro zio, ma è anche nostra zia. Così scoprii queste donne che diventano uomini. Poi quando frequentavo l’università a Tirana cercavo in tutti i modi di chiedere agli studenti che venivano dal nord d’Albania, zona dove il fenomeno delle vergini giurate è più diffuso, di raccontarmi ma loro erano poco propensi a parlarne. All’epoca, a Tirana, li guardavamo dall’alto in basso – so di dire una cosa politicamente poco corretta – ma è così. Invece di chiamarli malësor (montanari) li chiamavamo in maniera dispregiativa malok e loro non se la sentivano di raccontare liberamente usi e tradizioni della loro terra. Ma il mio libro non vuole raccontare storie esotiche e primitive dei nostri montanari arretrati, come qualcuno potrebbe pensare, volevo semplicemente scrivere un libro sulla solitudine di queste donne, su quello che succede a loro mentre il corpo invecchia, marcisce, si rinsecchisce, senza mai darsi a nessuno e senza mai ricevere né una carezza né un abbraccio. Per cui vorrei che venisse considerato un libro sulla solitudine.
Ma dopo la pubblicazione di "Vergine giurata" e soprattutto dopo la trasmissione del suo documentario pluripremiato sulle vergini albanesi, il fenomeno si è trasformato in un boom mediatico, e le stesse vergini sono diventate un punto di pellegrinaggio e anche fonte di guadagno…
Di questo mi dispiace e sono molto indignata. Si è trasformato in una moda, è stato trattato con estrema superficialità. L’idea di fare un documentario mi è sorta per caso. Stavo lavorando a un altro documentario tra le montagne del nord Albania, e il mio accompagnatore mi presentò una di loro, che si offrì di raccontarmi la sua storia. In seguito sono ritornata in Albania per fare il documentario su di loro. I miei conoscenti albanesi quando lo hanno saputo mi hanno chiesto: ma cosa ci vai a fare, con quella gente primitiva? Poi però li abbiamo visti tutti andare a mettere a il microfono sotto il naso delle vergini. La maggior parte ci va piena di pregiudizi e arroganza, con l’idea di andare a raccontare una storia primitiva. Ma queste donne sono molto intelligenti e danno da bere ai giornalisti ingenui esattamente quella storia che loro vogliono sentirsi raccontare. E’ vero, però, che hanno bisogno di soldi e cercano di approfittare da chi le vuole far apparire sugli schermi stranieri e albanesi come animali da baraccone. Mi dispiace profondamente che dal mio documentario sia scaturita una moda del genere. Per questo motivo rifiuto di dare i loro contatti a chiunque me li chieda, nonostante io sia rimasta tuttora in contatto con la maggior parte delle donne che ho intervistato.
I suoi libri sono molto diversi tra di loro, in tematiche e modi di raccontare. "Sole bruciato" tratta di storie di prostitute in vari aspetti, "Senza bagagli" è la storia di una donna albanese che fugge dall’Albania del comunismo negli anni ’80 – fortemente autobiografico, "Mari ovunque" è ambientato in Irlanda e non ha nulla a che vedere con l’Albania… Come nascono i suoi libri?
I miei libri nascono dal desiderio di non ripetere me stessa, perché il mondo è talmente ricco che non c’è bisogno di ripetersi. Mi spaventa il fatto che a 60 o 70 anni possa trovarmi con una tecnica e una scrittura molto elevate, però senza alcuna storia dentro, e finire per fare arte per l’arte. Per me la letteratura è vita. Ci sono libri che magari sono anche scritti bene ma che non hanno nulla da dire. Non si salva neanche qualche premio nobel. Io sono una viaggiatrice nata, nella vita e in ciò che scrivo. Mi è capitato di occuparmi dei miei dolori, come spesso fanno gli scrittori. Ma per relativizzare i miei, mi sono occupata anche di quelli degli altri. Gli spunti sono numerosissimi. In particolar modo noi scrittori dei Balcani siamo molto fortunati perché proveniamo da una terra ricca di storie e di culture.
Si definirebbe una scrittrice migrante?
No, è una categoria che mi sta stretta. Le categorizzazioni sono dei modi per ghettizzarti. Io direi di far parte nella schiera degli scrittori transnazionali, internazionali, o anche scrittori e basta. Sono degli scrittori che portano dentro un po’ del mondo da cui provengono, e un po’ di quello in cui sono arrivati. Abbiamo bisogno di queste storie multi-colori. E’ un fenomeno ormai diffuso in tutto il mondo. In particolar modo riguarda l’inglese per ovvi motivi. E ora anche l’italiano si arricchisce grazie ai nuovi italiani. Molti di questi scrittori hanno restituito la vitalità alla letteratura italiana che si era da tempo atrofizzata nelle piccole storie di scarso interesse.