Ella Kesaeva, una voce da Beslan

Sono passati ormai sette anni dalla tragedia della scuola di Beslan, Ossezia del Nord. Oltre 300 le vittime, per la maggior parte bambini. Ella Kesaeva, presidente di un’associazione di parenti delle vittime, ritiene che l’allora presidente Vladimir Putin sia il principale responsabile dell’accaduto. Un’intervista

23/05/2011, Maria Elena Murdaca -

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Ella Kesaeva all'evento di Mondo in Cammino (foto Mondo in Cammino )

Nel settembre 2004, un gruppo di ribelli caucasici ha preso in ostaggio i bambini e il personale della scuola numero 1 di Beslan, in totale più di mille persone. Dopo tre giorni di assedio, la crisi si è conclusa con un raid delle forze speciali russe in seguito al quale sono morte oltre trecento persone.
Dopo la tragedia, i parenti delle vittime hanno cercato di unirsi in associazione richiedendo un’inchiesta sull’accaduto e maggiori tutele. L’associazione "Madri di Beslan" si è divisa in seguito a fratture interne, ed Ella Kesaeva è diventata presidente di Golos Beslana ("La voce di Beslan"), un’associazione di parenti delle vittime molto critica nei confronti dell’operato del governo. L’associazione ha avuto problemi per quanto riguarda la registrazione come ONG presso le autorità locali. Lo scorso 10 maggio le autorità ossete hanno negato la registrazione all’associazione di vittime "Memoria di Beslan" facendo riferimento a mancanze formali nella richiesta.

 

A ormai sette anni di distanza dalla tragedia, qual è la missione di Golos Beslana?

Chiediamo verità per le vittime, un’inchiesta obiettiva, un’amministrazione della giustizia efficace e garanzia che non avvengano altri attentati t[]istici.

La legislazione russa non contempla uno status giuridico per le vittime di t[]ismo. Per questo ci battiamo per un progetto di legge che lo preveda. Abbiamo presentato diverse istanze per averne il riconoscimento. Questo è quanto chiediamo allo Stato. Le vittime sono state lasciate sole. L’aiuto c’è stato ma solo per i primi mesi, poi non è stato fatto più niente.

Ci siamo costituiti in associazione per difendere i diritti delle vittime. In Spagna, un altro Paese che ha conosciuto il t[]ismo, si contano circa 50 organizzazioni per le vittime di attentati t[]istici, in Russia sono solo quattro, nonostante la quantità di attentati t[]istici sia tripla. Solo adesso stiamo iniziando a organizzarci. In questi sette anni siamo stati sempre attivi.

Qual è la menzogna più grave che è stata detta dalle autorità riguardo la tragedia di Beslan?

Di menzogne ne sono state dette tante, troppe. Innanzitutto hanno mentito sulla quantità degli ostaggi. Erano più di mille dentro la scuola, le stime ufficiali iniziali parlavano di 300 persone. Avevano detto che i t[]isti non avevano avanzato alcuna richiesta. Hanno promesso che avrebbero fatto il possibile per salvare i bambini e che nessuno sarebbe morto… tutto questo mentre preparavano l’assalto.

Ci siamo appellati al Congresso degli Stati Uniti perché condividessero con noi le loro informazioni, che sicuramente hanno, ma non abbiamo ricevuto risposta. Abbiamo scoperto di essere stati classificati come "estremisti" sul sito del ministero della Giustizia della Federazione Russa. Non hanno provveduto a informarci, siamo stati, per cosi dire, condannati in contumacia. Ci hanno etichettati cosi perché definiamo Putin "t[]ista" in quanto lo riteniamo il principale responsabile dell’accaduto. Lui è il comandante supremo dell’esercito, è il Presidente che dispone dell’impiego dell’esercito. E a Beslan è stato disposto che l’esercito venisse impiegato.

L’attentato di Beslan ha avuto conseguenze per i rapporti tra i vari gruppi etnici che abitano l’Ossezia del Nord?

I t[]isti che hanno sequestrato gli ostaggi appartenevano a diverse etnie, per la maggior parte si trattava di Ceceni e Ingusci. Ma noi abbiamo fatto le nostre indagini e sappiamo chi è il colpevole. Avrebbero voluto trattarci come marionette, spronarci alla vendetta, per mostrare al mondo che siamo i soliti selvaggi del Caucaso. Il desiderio di vendicarsi era enorme, ma noi madri abbiamo supplicato i nostri uomini di non farlo, di non armarsi e andare in guerra. Abbiamo perso i nostri figli, sappiamo cosa vuol dire, ed è proprio questa consapevolezza che ci spinge a non volere che altri muoiano. Altrimenti si entra in una spirale senza fine. L’unica via di uscita è rappresentata dal diritto e dalla legge, non ci sono altre soluzioni.

Quali sono le difficoltà che si hanno a lavorare come ONG in Russia, in particolare in un contesto come quello caucasico?

Come ONG in Russia siamo soggetti a ogni sorta di pressione. Hanno chiuso il nostro ufficio per obbligarci a farci registrare nuovamente. Noi resistiamo comunque, anche senza conto bancario. Hanno persino cercato di avviare dei procedimenti penali contro la nostra associazione. Sentiamo la pressione continua, riceviamo telefonate spiacevoli e soprattutto avvertiamo un controllo permanente su tutto quello che facciamo.

I giornalisti non scrivono della nostra attività, e se ci dedicano attenzione non è mai in positivo. Non scrivono mai bene del nostro lavoro, si attivano solo per denigrarci. Certo, potremmo fare causa e intentare dei procedimenti, ma sarebbe solo uno spreco di tempo e di energie. In Russia dimostrare la giustezza del nostro lavoro è impossibile.

La comunità internazionale ha influenzato in qualche modo il comportamento del governo russo per quanto riguarda Beslan?

Abbiamo organizzato la visita di alcuni eurodeputati che hanno trascorso con noi tre giorni. Si sono impegnati ad inviare una lettera ufficiale al presidente Medvedev, ma finora non abbiamo avuto alcun risultato.

Quando parte l’ondata di pressione dall’alto sono le ONG internazionali che ci sostengono. Le lettere inoltrate da loro al governo russo perché l’associazione venga lasciata in pace e possa continuare il proprio lavoro sono di aiuto, e per questo siamo grati. Godiamo anche del sostegno di organizzazioni e associazioni russe, quantomeno dal punto di vista morale.

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