Elezioni in Serbia: la vittoria mutilata
Nonostante abbia ottenuto più voti che nelle precedenti elezioni, la coalizione guidata dal Partito progressista serbo avrà ben 27 seggi in meno nel prossimo parlamento. Un’analisi
Il premier serbo Aleksandar Vučić e il suo Partito progressista serbo (SNS) sono i vincitori assoluti delle elezioni politiche anticipate tenutesi in Serbia domenica 24 aprile, dal momento che, pur secondo dati ancora non del tutto definitivi, hanno ottenuto 131 seggi sul totale dei 250 del parlamento serbo. Avranno quindi la possibilità di governare da soli. Tuttavia, invece di causare grande soddisfazione, questo indubbio successo elettorale sta suscitando nervosismo in seno all’SNS e reazioni dure alle osservazioni mosse dall’opposizione, secondo la quale nel processo elettorale vi sarebbero state irregolarità.
Uno dei motivi di questo atteggiamento potrebbe essere il fatto che la coalizione guidata dall’SNS, nonostante abbia ottenuto più voti rispetto alle elezioni di due anni fa, avrà 27 seggi in meno in parlamento. Alle elezioni del 2014 l’SNS aveva stracciato l’opposizione e la coalizione che guidava aveva ottenuto ben 158 seggi. Le elezioni anticipate erano state indette proprio con l’obiettivo di rinforzare quella posizione, quindi è comprensibile l’assenza di grande soddisfazione.
La diminuzione di seggi targati SNS è conseguenza del fatto che la soglia di sbarramento potrebbe essere superata questa volta da ben sette partiti e coalizioni, più di quelli che erano riusciti ad entrare nel parlamento uscente. Il sistema elettorale prevede che i voti ottenuti dai partiti che non superano la soglia di sbarramento – prevista al 5% – vengano suddivisi tra i partiti che l’hanno superata, ed a riceverne di più sono proprio i partiti che hanno ottenuto più voti. Questa volta però i cosiddetti voti utili da suddividere saranno meno di quelli di due anni fa, e questo influisce sul risultato dell’SNS.
Baluardo contro l’ultradestra?
Oltre all’SNS, in parlamento entreranno di sicuro il Partito socialista della Serbia (SPS) con 29 seggi, l’ultranazionalista Partito radicale serbo (SRS) con 22 seggi, il partito democratico (DS) e la coalizione “Ora basta” con 16 seggi. La coalizione dei Socialdemocratici (SDS), Partito liberale democratico (LDP) e Lega dei socialdemocratici della Vojvodina (LDSV), e la coalizione tra il Partito democratico della Serbia (DSS) e Dveri sono invece sul filo dello sbarramento e il loro ingresso in parlamento non è ancora sicuro. Se dovessero passare lo sbarramento, cosa che molto probabilmente accadrà, queste due coalizioni otterranno 13 seggi ciascuna.
In ogni caso, abile politico qual è, Vučić cercherà di trasformare i problemi con cui si confronta a proprio vantaggio. Per Vučić l’ingresso dell’ultranazionalista SRS e della coalizione DSS Dveri in parlamento è potenzialmente pericoloso perché queste due forze sono anti-europee e anti NATO e propongono un maggior collegamento con la Russia. Vučić in quest’ottica potrà però, sia in riferimento a Bruxelles e Washington, che in riferimento all’elettorato filoeuropeo, imporsi come l’unico politico in grado di far muro contro l’avanzata dell’ultradestra, e quindi come imprescindibile fattore di stabilità.
Sbarramento
La Commissione elettorale (RIK) e le organizzazioni indipendenti che stanno seguendo il processo elettorale hanno sottolineato che la differenza rispetto alla soglia di sbarramento del 5% per le due coalizioni di cui sopra è così esigua che si dovranno aspettare i risultati finali per confermare definitivamente se entreranno in parlamento oppure no.
Rappresentanti delle due coalizioni subito dopo la chiusura dei seggi elettorali si sono recati presso la sede della Commissione elettorale chiedendo di poter visionare le schede elettorali. Le due coalizioni che sono sul filo dello sbarramento, nonostante le enormi differenze ideologiche che le separano, si sono su questo unite e mosse all’unisono, temendo di essere frodate.
Dubbi sulla regolarità delle elezioni in singoli seggi elettorali sono stati avanzati anche da altri partiti di opposizione, cosa che ha suscitato una severa e irritata reazione da parte del premier Vučić e tutto ciò ha portato ad innalzare la tensione. Il processo elettorale a sole 24 ore dalla chiusura dei seggi è scivolato nel classico e quotidiano battibecco politico, cosa che è sicuramente più congeniale all’opposizione, che ha perso le elezioni, piuttosto che al partito del premier dal quale invece ci si aspetta che inizi a lavorare alla formazione del nuovo governo.
Il fastidio degli ex
A Vučić sembra in particolare aver dato fastidio l’affermazione elettorale dell’ex membro del suo governo, Saša Radulović, il cui movimento “Ora basta” ha registrato un risultato eccezionale: ha passato lo sbarramento nonostante il fatto che non abbia avuto accesso ai media e che la maggior parte della campagna elettorale l’abbia condotta tra la gente e i social network.
Radulović in campagna elettorale ha accusato il governo di corruzione e molto probabilmente continuerà a farlo dai banchi del parlamento. Nel rivolgersi ai giornalisti il premier si è riferito a Radulović con toni offensivi e in modo simile si è espresso anche il presidente della Commissione elettorale Dejan Đurđević il giorno dopo la chiusura dei seggi elettorali, in merito ai rappresentanti dell’opposizione che si sono lamentati di possibili brogli.
E mentre il nervosismo delle due coalizioni che sono sul filo della soglia di sbarramento è del tutto comprensibile, il continuo insistere su frodi elettorali da parte di altri partiti, in particolare il DS, non è del tutto razionale. Perché la vittoria dell’SNS è così netta che nemmeno la conferma di eventuali irregolarità cambierebbe significativamente la loro posizione. Va tenuto conto inoltre che alla Commissione elettorale sono giunte ben poche segnalazioni ufficiali di irregolarità alle elezioni e che le missioni di monitoraggio, comprese quelle straniere, hanno definito la tornata come regolare. Vučić ha subito preso la palla al balzo e ha attaccato i rappresentanti dell’opposizione.
Il governo che verrà
C’è da aspettarsi che la tensione diminuisca, almeno per un po’, dopo la conta definitiva dei voti e quando si saprà con certezza se le due coalizioni sul filo dello sbarramento entreranno in parlamento oppure no. A quel punto Vučić potrà occuparsi di questioni più importanti, riunire il nuovo blocco di potere e formare il governo. Potrebbe farlo anche da solo, senza l’aiuto di altri partiti, ma è molto probabile che cercherà un partner di coalizione per potersi garantire una maggiore stabilità politica.
Durante la campagna elettorale l’SNS a più riprese ha attaccato duramente l’SPS di Ivica Dačić, con il quale era in coalizione nel precedente governo. Da qui sono sorte speculazioni sul fatto che Vučić sarebbe pronto a cambiare partner di coalizione. Tuttavia i nuovi rapporti di forza all’interno del parlamento potrebbero costringerlo a rinunciare a quest’ipotesi e di rivolgersi ancora a Dačić, col quale ha già una sufficientemente lunga esperienza di governo e col quale può comodamente avere una maggioranza stabile.
Inoltre l’ipotesi di SPS all’opposizione potrebbe risultare come un problema maggiore per Vučić più di quanto non lo sia come partner di coalizione. Si tratta in ogni caso della seconda forza politica del paese e non è da escludere che, se lasciata fuori dal governo, in parlamento non possa collaborare con altri partiti di opposizione. Questo potrebbe rinforzare tutto il blocco dell’opposizione all’attuale premier.
L’SNS alle elezioni del 24 aprile si è presentato in coalizione con altri sei partiti: Partito socialdemocratico della Serbia (SDPS), Partito dei pensionati uniti della Serbia (PUPS), Movimento socialista, Nuova Serbia, Movimento serbo per il rinnovamento (SPO) e Partito popolare serbo (SNP). Secondo l’accordo di coalizione, l’SNS dei 131 seggi totali ne otterrà 98, l’SDPS 10, il PUPS 9, Nuova Serbia 5, mentre 3 ciascuno andranno a Movimento socialista, SPO e SNP.
La coalizione guidata dall’SNS ha solo cinque seggi in più della maggioranza assoluta di 126 seggi e la legge prevede che i seggi appartengano ai deputati e non alle coalizioni. Ciò, in chiave teorica, significa che potrebbe esserci la possibilità che qualcuno dei partner di coalizione, in caso di forti scossoni politici, lasci il governo e tolga al premier la maggioranza assoluta. Vučić ha dimostrato comunque di saper tenere sotto controllo i suoi partner di coalizione, pur questo comportando l’impiego di energia e tempo.