Elezioni in Georgia, quando a perdere è il pluralismo
Bassa affluenza alle urne per il ballottaggio in Georgia. Sogno georgiano fa man bassa di voti e conquista la maggioranza assoluta in parlamento
La maratona elettorale per la nomina del nuovo Parlamento in Georgia si è conclusa con la conquista di una maggioranza assoluta che permetterà ad un unico partito, il Sogno georgiano – Georgia democratica (GDDG) già al potere dal 2012, di legiferare indisturbato, anche in materia costituzionale, immune dagli attacchi di un’opposizione indebolita.
Le due tornate elettorali di ottobre – il voto dell’8 ottobre e il ballottaggio del 30 – hanno consegnato 115 dei 150 scranni disponibili ai rappresentanti del GDDG chiudendo la partita con il Movimento di unità nazionale (UNM) dell’ex presidente Mikheil Saakashvili, che ha chiuso a 27 seggi. Terza forza politica a superare lo sbarramento minimo necessario del 5% per entrare in parlamento è, con 6 seggi, l’Alleanza dei Patrioti, la compagine che chiede legami più forti con Mosca, sei seggi non destinati a influenzare i lavori parlamentari. I due seggi rimanenti sono andati all’ex ministro degli Esteri Salome Zurabishvili, che ha corso da indipendente, e al conservatore Partito degli Industriali.
Le irregolarità non sono mancate, entrambi i partiti si sono scambiati accuse di frode e intimidazioni degli elettori, ma osservatori nazionali e internazionali concordano sul fatto che i problemi rilevati siano stati per lo più di natura amministrativa e su piccola scala da non poter mettere in dubbio il risultato. Per l’organizzazione non governativa Transparency International (TI) al ballottaggio in alcune sezioni vi è stato un clima di tensione – come a Marneuli, città a maggioranza azera a 45km dalla capitale Tbilisi, dove episodi di violenza al primo turno avevano richiesto l’intervento di poliziotti in assetto anti-sommossa. Marneuli, come Zugdidi, nell’ovest del paese, è tra le quattro sezioni che il 22 ottobre hanno ripetuto il voto dopo che scontri e minacce ai votanti avevano spinto la Commissione elettorale a cancellare in toto le operazioni elettorali.
Non sono mancati neppure colpi di scena e melodrammi. All’indomani del primo turno, Saakashvili, oggi governatore di Odessa, ha chiamato i suoi a boicottare il secondo turno definendo la prima tornata una farsa. L’ordine è stato raccolto solo da Sandra Roelofs, sua moglie e candidata di punta dello UNM a Zugdidi, ma è stato sufficiente a creare tensione nel partito tra i ranghi dei fedelissimi all’ex presidente e l’ala che cerca di prendere le distanze dalla sua strabordante, e spesso ingombrante, personalità.
Delle venti entità politiche presentatesi agli elettori poco rimane e l’esito del voto ha fatto sì che, di fatto, alcune siano passate a miglior vita. Tra chi ha gettato la spugna, almeno per ora, c’è l’ex presidente del parlamento, David Usupashvili, che ha detto addio al Partito repubblicano dopo 25 anni, assieme ad altri sei esponenti di spicco del Partito. Ha detto addio alla politica anche Irakli Alasania, ex ministro della Difesa e motore dei Democratici liberi, seguito anche lui a ruota da una serie di compagni di partito. Vittima delle elezioni sembra essere anche "Stato per la gente", la forza politica fondata quest’anno da Paata Burchuladze, famoso tenore georgiano e vero orgoglio nazionale. Entrato in politica con grandi fanfare e forte di un ampio sostegno popolare ha finito per non convincere e ha mancato clamorosamente il superamento della soglia: per per lui e per i suoi alleati la carriera politica pare essere già terminata.
Pluralismo minato
Il pluralismo politico è la vera vittima di queste elezioni. All’indomani del primo turno che aveva dato una netta vittoria al GDDG, un gruppo di organizzazioni non governative, scrittori e attivisti aveva fatto appello agli elettori dell’opposizione spronandoli ad andare alle urne nel tentativo estremo di evitare che un’unica formazione facesse man bassa di voti e dominasse il parlamento. L’apatia ha avuto la meglio – solo il 37.5% degli 3.47 milioni degli aventi diritto si è presentata al ballottaggio, contro il 51.63% dell’8 ottobre che già aveva segnato un calo del 9% rispetto all’affluenza del 2012.
Lo UNM ha comunque accettato con filosofia la sconfitta. “Quello che non ti uccide ti rende più forte,” ha commentato con i giornalisti Davit Bakradze, dal 2012 alla guida del partito. La forza che ha dominato la scena politica georgiana dal 2004 al 2012 ha promesso che farà tutto il possibile per evitare che GDDG monopolizzi il paese, ma Bakradze ha ammesso che i suoi parlamentari non potranno fare molto. Negli ultimi quattro anni, con il 43% dei seggi, lo UNM era stato in grado di controllare le dinamiche legislative, soprattutto in tema di modifiche alla Costituzione, ma oggi quella possibilità di controllo si è dissolta.
“Si è inceppato un meccanismo chiave della democrazia, dove l’opposizione bilancia e può influire su proposte e decisioni della maggioranza”, spiega una fonte diplomatica che ha richiesto l’anonimato a OBC Transeuropa. “E i rappresentanti dello UNM sanno bene cosa significhi visto che nel 2008 ottennero loro la maggioranza assoluta, con effetti che in qualche modo hanno determinato e nutrito l’ascesa al potere di Sogno georgiano quattro anni fa.”
Sistema elettorale labirintico
Avere i numeri in parlamento tuttavia non significa avere in pugno il cuore degli elettori. L’analisi dei dati della Commissione elettorale delinea un panorama dove il partito vincente ha ottenuto meno voti di quanti ne raccolse quattro anni fa lo sconfitto UNM. In 856.638 hanno votato per il GDDG, contro i 1.181.862 del 2012 e contro le 867.432 preferenze ottenute lo stesso anno dallo UNM. Il 48,68% dei voti del GDDG è oltre sei punti percentuali sotto a quanto ottenuto quattro anni fa.
Sotto accusa ora è lo stesso sistema elettorale – un misto di proporzionale e maggioritario considerato complicato quanto non rappresentativo. Gli elettori possono scegliere sia un partito che un candidato individuale – 77 seggi sono distribuiti in modo proporzionale tra le parti sulla base dei voti ricevuti a livello nazionale, mentre singoli candidati si spartiscono i restanti 73 in rappresentanza di specifiche circoscrizioni.
“Con il sistema attuale la quota di seggi che i partiti hanno ricevuto non corrisponde al sostegno sul territorio nazionale”, spiega Mikheil Benidze, direttore esecutivo della Società internazionale per la democrazia e giuste elezioni (ISFED).
Un’opinione ampiamente condivisa.
“Il GDG non ha il sostegno dei tre quarti degli elettori che sono andati alle urne, e tanto meno di tutto l’elettorato”, spiega Erekle Urushadze, ricercatore specializzato in lotta alla corruzione per Transparency International e attivista per i diritti civili.
I critici chiedono ora una riforma del sistema che rifletta nei risultati l’effettiva appartenenza politica dell’elettorato, ma al momento non si intravedono cambiamenti all’orizzonte. Pur avendo promesso di mettere mano alla legge elettorale e modificarla entro il 2020, il GDDG pare abbia altre priorità costituzionali – a partire dalla nomina parlamentare del presidente, al momento eletto direttamente dalla popolazione, e l’aggiunta di un articolo che definisca il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna.
Ma al trionfo del GDDG e al tonfo del pluralismo hanno contributo anche gli ex alleati del partito di governo. Forze politiche con una forte tradizione liberale e pro-occidente come i Repubblicani o i Democratici liberi hanno dimostrato poca lungimiranza e raffinatezza politica, pagandone le conseguenze.
Entrambi i partiti facevano parte dell’ampia coalizione messa insieme nel 2012 dal fondatore del Sogno georgiano, il miliardario Bidzina Ivanishvili. La nuova formazione vinse, rompendo la decade di potere di Saakashvili, l’oligarca divenne Primo ministro e Usupashvili, leader dei Repubblicani, divenne capo del parlamento mentre Alasania, a capo dei Democratici, si installava al ministero della Difesa. Nel 2014 però Alasania se ne andò sbattendo la porta mentre i Repubblicani presero un’altra strada nell’estate di quest’anno quando il GDDG decise che avrebbe corso da solo.
Per Lincoln Mitchell, analista americano, “una delle ragioni principali per la quale sono rimasti fuori dai giochi è perché si sono rifiutati di formare una coalizione tra due entità con posizioni e visioni molto simili, che avrebbe raccolto abbastanza voti e portato alcuni rappresentanti in parlamento.”
C’è anche una motivazione puramente finanziaria. “Quando un singolo partito riesce a monopolizzare oltre l’80% dei finanziamenti ufficiali, per gli altri sopravvivere è già una conquista”, riflette la fonte diplomatica di OBC Transeuropa.
Ma c’è chi vede nell’impasse un’opportunità. Urushadze, ricercatore di Transparency International, è convinto che ci siano spazi affinché il dibattito politico continui, al di fuori della sfera istituzionale. “L’unica risposta al risultato di questo voto è più attivismo civile, una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita politica e sociale”, commenta Urushadze “la società civile è forte, dinamica e variegata, e oggi esistono molti movimenti meno strutturati, animati da un’armata di attivisti. I social network sono molto diffusi e permettono di bypassare i media tradizionali. L’impegno di un singolo cittadino può ottenere più risultati di dieci seggi in Parlamento.”