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Effetto domino
Dopo l’indipendenza del Montenegro anche quella di Kosovo, Republika Srpska e Vojvodina? Secondo alcuni analisti vi sarebbe il rischio di un pericoloso effetto domino. Un editoriale
Dal momento in cui si è tenuto il referendum in Montenegro, e nei giorni che ne sono seguiti, molti si sono posti la stessa domanda: quanto influirà l’indipendenza del Montenegro sullo status del Kosovo e su quello della Bosnia Erzegovina?
Se da un lato tale domanda è del tutto comprensibile, perché si è spesso tentati di intravedere possibili parallelismi nella composita area geografico-sociale balcanica, dall’altro va riconosciuto che il paragone rischia di essere fuorviante e mal posto.
Senza tornare al lontano 1878 del Congresso di Berlino – grazie al quale il Montenegro ottenne l’indipendenza – in tempi ben più recenti, come quelli della Jugoslavia titina e avanti, il Montenegro è sempre stato una repubblica con pieno diritto di secessione, garantito dalla costituzione. Lo stesso non può essere detto né della Republika Srpska, entità della Bosnia Erzegovina, né del Kosovo, già provincia autonoma all’interno della Serbia, ora sorta di protettorato internazionale.
Ciò che è accaduto il 21 maggio sul piano politico e simbolico tra la Serbia e il Montenegro era già accaduto sul piano economico il 1 novembre 1999, quando il Montenegro decise di abbandonare il dinaro a favore del marco tedesco e poi di conseguenza l’euro, separandosi economicamente dalla Serbia. Una divisione di fatto che da tempo era in corso tra la Serbia e il Montenegro. Queste considerazioni portano a corroborare l’argomentazione di chi sostiene che una separazione de facto (si pensi al Kosovo) porta di sicuro alla separazione de jure.
Ma diversa risulta l’analisi se si tiene a mente che la differenza tra il Montenegro e la Republika Srpska e il Kosovo è sostanziale. Come detto, si tratta in un caso di una repubblica con pieno diritto di secessione, che storicamente ha avuto una sua storia di indipendenza, mentre nel caso della Republika Srpska si tratta di una entità in seno ad uno stato, la Bosnia Erzegovina, sancita da un accordo internazionale, quello di Dayton. Costituzionalmente la RS non ha alcuna possibilità di indire un referendum. La costituzione della BiH (leggi ancora Accordi di Dayton) non contempla una simile circostanza. Inoltre la storia non ha mai visto una RS sovrana e indipendente, si tratterebbe di una creazione ex novo, frutto di un accordo che ha ormai fatto il suo tempo, ma che se modificato non potrà che andare lungo il corso di un rafforzamento dello stato unitario.
Pure il parallelo con il Kosovo non regge. Provincia autonoma secondo la costituzione della ex Jugoslavia approvata nel 1974, il Kosovo non ha mai avuto diritto di secessione. Il dramma di questa provincia è stata prima l’annullamento della costituzione che ne garantiva l’autonomia, con la modifica costituzionale del 1989 voluta da Milosevic, e poi una serie di repressioni nei confronti della minoranza (in Kosovo maggioranza) albanese, sfociate in un cruento conflitto armato e nei bombardamenti della NATO. Da un punto di vista formale l’indipendenza del Montenegro non può certo influire sullo status del Kosovo, lo può forse fare a livello simbolico-politico, nella misura in cui la leadership albanese può sentirsi più determinata nel chiedere il riconoscimento di indipendenza. Ma sappiamo bene che più che dipendere dalla sola volontà della leadership albanese, lo status del Kosovo dovrà risultare da una serie di negoziati tra Belgrado, Pristina e la comunità internazionale. O, come sottolineano altri, da una più o meno esplicita imposizione internazionale che non potrà prescindere però da un avvallo perlomeno formale delle parti in causa. Nessuna decisione unilaterale, né tanto meno referendaria, porterebbe lontano.
Nei Balcani di oggi non c’è spazio per il cosiddetto effetto domino di propagazione di volontà secessioniste e indipendentiste. Da un lato i Balcani non sono quelli di inizio anni novanta, benché la retorica di quegli anni non sia stata completamente dismessa sia da politici di lungo corso che da quelli da poco sulla ribalta, dall’altro l’Unione europea è, benché non senza titubanze (basti pensare al ben poco lungimirante regime dei visti che tiene ancora in scacco molti cittadini del sud est Europa), molto più presente nella regione.
Le difficoltà dei Balcani sono difficoltà europee, da risolvere con strumenti e modalità che l’Europa è riuscita in questi anni a sviluppare. Maturità civile che alcune organizzazioni locali – ancora troppo poche – stanno con coraggio dimostrando nel tentare di far sì che i nazionalisti cessino di gridare la loro retorica populista. E smettano di giocare a domino.