Edi Rama rafforza la presa sull’Albania
Alle parlamentari dell’11 maggio, il premier socialista Edi Rama ha trionfato ancora, rafforzando un potere già radicato nei tre mandati precedenti. La sua macchina del consenso è solida più che mai, ma i confini tra Stato e partito appaiono sempre più sfumati

Edi-Rama-rafforza-la-presa-sull-Albania
Elettori albanesi alle urne - © Nensi Bogdani
Dopo tre mandati consecutivi al governo, il Partito Socialista (PS) ha confermato il suo dominio nelle consultazioni di domenica scorsa, ottenendo il 52% dei consensi. Un risultato in crescita di oltre quattro punti percentuali rispetto al 2021, che si traduce in 83 seggi su 140 in Parlamento, nove in più rispetto all’attuale maggioranza.
L’Alleanza per la Grande Albania, guidata dal leader del Partito Democratico (PD) ed ex premier Sali Berisha, si è fermata al 34% conquistando solo 50 seggi, nove in meno rispetto alla precedente legislatura.
Il PD paga il sostegno al suo fondatore, una figura tanto divisiva quanto ingombrante, attualmente sotto indagine dalla Procura Speciale Anticorruzione albanese (SPAK) per accuse di corruzione e abuso di potere. Il suo ritorno sulla scena, visto come un tentativo di sopravvivenza personale più che di rinnovamento del partito, ha finito per esasperare le faide interne e affossare ulteriormente un’opposizione già in difficoltà.
Tre altri seggi sono andati al Partito Socialdemocratico (PSD), guidato da Tom Doshi, controverso uomo d’affari prestato alla politica. Sanzionato dal 2018 dal Dipartimento di Stato USA per “significativa corruzione”, Doshi ha da tempo lasciato il Parlamento, ma continua a far parlare di sé alle urne, ottenendo risultati sorprendenti e mantenendo fedele il suo sostegno alla maggioranza guidata da Rama.
Entrano nuovi partiti, ma lo spazio civico si contrae
In una competizione segnata da un sistema elettorale pensato per blindare i grandi partiti, sono state le nuove formazioni indipendenti a combattere la battaglia più difficile. La riforma elettorale del 2008, voluta sempre da Rama e Berisha, ha infatti introdotto un sistema regionale a liste chiuse studiato proprio per escludere i partiti minori.
Una mossa che non solo ha ridotto la competizione politica, ma ha anche concentrato il potere nelle mani dei leader di partito, indebolendo il ruolo del Parlamento come bilanciamento dell’esecutivo.
Nonostante il vento contrario, tre formazioni emergenti sono riuscite a varcare la soglia del Parlamento, segnando una modesta ma significativa svolta che lascia aperta la possibilità di una nuova opposizione credibile e rappresentativa.
Tra i nuovi ingressi spicca la coalizione “Iniziativa L’Albania Diventa”, guidata dai partiti "Iniziativa Hashtag" e Albania Diventa — movimenti rispettivamente di centro-sinistra e centro-destra, ma uniti dalla lotta alla corruzione e alla cattura dello Stato – che ha raccolto il 3,9% dei voti nazionali, conquistando un seggio.
Anche il Movimento di Sinistra Radicale “Insieme”, unico partito a rappresentare la classe operaia albanese, fa il suo ingresso in Parlamento con l’1,5% dei voti.
Infine l’imprenditore e deputato di centro-destra Agron Shehaj, già alleato del PD, ha portato a casa un buon risultato con il suo movimento “L’Opportunità”. Partito personalizzato, che ha poco a che fare con i movimenti civici appena sbarcati in politica — Shehaj resta comunque un tassello del tradizionale mosaico politico albanese, e col suo programma incentrato soprattutto sull’economia, ha conquistato il 3,1% dei voti e due seggi.
Una novità significativa di queste elezioni è stata l’introduzione del voto a distanza, un passo importante per i circa 1,1 milioni di elettori aventi diritto registrati fuori dal Paese, di cui circa 200mila hanno partecipato al voto.
Sebbene i nuovi partiti indipendenti abbiano ricevuto qui maggiore sostegno, le tendenze di voto non si sono discostate troppo significativamente da quelle degli elettori in patria. La diaspora albanese, del resto, rimane frammentata, a volte disimpegnata, e conserva quella vena patriottica che il partito al governo ha da sempre saputo intercettare.
Se da un lato l’emergere di nuove formazioni politiche rappresenta un segnale indiscutibilmente positivo, la loro evoluzione in partiti strutturati ha finito per comprimere ulteriormente lo spazio della società civile.
Ne deriva un vuoto di partecipazione e rappresentanza, oggi colmato solo parzialmente da pochi altri movimenti che continuano a sfidare gli schemi tradizionali. In questo scenario, il Partito Socialista detiene un potere pressoché incontrastato, mentre la società civile albanese appare sempre più debole e ai margini del dibattito pubblico.
Comprendere la crisi di partecipazione
L’affluenza alle urne nelle elezioni di domenica in Albania si è fermata al 42%, registrando un calo di quasi quattro punti percentuali rispetto al 2021 e toccando il livello più basso di sempre. Tuttavia, considerando i 3,7 milioni di elettori registrati – di cui quasi la metà, circa 1,8 milioni, residenti all’estero – la partecipazione effettiva tra gli abitanti del Paese raggiunge comunque l’80%.
La più ampia crisi di partecipazione riflette però una più profonda crisi di coinvolgimento politico, alimentata da diversi fattori strutturali. Tra questi, la persistente ondata migratoria che ha creato un crescente vuoto demografico.
Secondo Eurostat, nel solo 2023 circa 75mila albanesi hanno ottenuto per la prima volta un permesso di soggiorno in Paesi dell’Unione Europea, uno dei tassi di emigrazione più alti dell’ultimo decennio.
Accanto all’esodo demografico, anche la fiducia nel sistema politico ed elettorale è costantemente diminuita. Il dibattito politico è tradizionalmente dominato da poche figure di lungo corso – in particolare Rama e Berisha – che influenzano la scena politica albanese sin dall’epoca della caduta del regime.
Durante la campagna elettorale, i due leader hanno monopolizzato oltre l’80% del tempo televisivo e il 60% della copertura mediatica , lasciando poco spazio all’emergere di nuove voci.
Questa continuità, insieme a un campo di gioco squilibrato e a uno spazio mediatico ridotto, ha fortemente limitato la visibilità delle forze politiche alternative, lasciando molti elettori all’oscuro delle loro proposte.
In Albania, l’indipendenza dei media continua a essere compromessa da finanziamenti opachi, proprietà centralizzate e interferenze editoriali, fattori che hanno favorito una diffusa autocensura e il declino dell’informazione indipendente.
Anche se l’accesso limitato a informazioni equilibrate e il controllo serrato sul discorso pubblico sono stati più volte denunciati nei rapporti di monitoraggio, sono comunque divenuti tratti costanti delle elezioni, allontanando inevitabilmente i cittadini dal coinvolgimento politico.
Deriva verso il dominio di un solo partito
Con 83 seggi in Parlamento, un solo voto separa il Partito Socialista dalla maggioranza qualificata che gli consentirebbe di riscrivere in solitudine il Codice Elettorale, il Codice Penale e la legislazione sulla Riforma della Giustizia.
Senza alcun contrappeso, il PS potrebbe stringere ancora di più il nodo sulla competizione politica e indebolire le istituzioni democratiche — con un occhio di riguardo alle libertà civili, come quella di espressione e dei media — da tempo bersagli privilegiati dell’esecutivo Rama.
In questo contesto, la giustizia si conferma uno dei fronti più delicati dello scontro politico. Dopo l’arresto per corruzione del sindaco di Tirana, Erion Veliaj – stretto alleato del Premier – è stato lo stesso Rama a scagliarsi contro la magistratura , accusando la Procura Speciale Anticorruzione (SPAK), di violazioni dei diritti umani e dichiarando che non avrebbe più tollerato le sue azioni.
La riforma della giustizia albanese, elaborata con il supporto di esperti internazionali, ha introdotto cambiamenti radicali nel sistema giudiziario, prevedendo che ogni eventuale modifica richieda una maggioranza qualificata in Parlamento, proprio per assicurare un ampio consenso tra le forze politiche.
Al centro di questa riforma c’è la SPAK, una struttura speciale contro la corruzione e il crimine organizzato, che ha condotto inchieste su figure di primo piano appartenenti a tutto l’arco politico. Con questa nuova maggioranza, il Partito Socialista potrebbe però sentirsi legittimato a ridimensionarne il ruolo, e a fare marcia indietro su quello che in Albania è generalmente considerato un progresso faticosamente conquistato.
Oltre al controllo sulla giustizia, il Partito Socialista detiene già il controllo su tutte le istituzioni statali: governa 53 dei 61 comuni del Paese e gestisce risorse pubbliche e processi decisionali su tutto il territorio nazionale. Un livello di egemonia senza precedenti dalla caduta del regime dittatoriale.
La macchina elettorale del Partito Socialista
La netta vittoria del Partito Socialista alle ultime elezioni non si spiega soltanto con una opposizione frammentata e poco credibile. Ciò che davvero segna questo momento è la mobilitazione e la disciplina interna del PS, senza precedenti negli ultimi trent’anni.
Un esempio emblematico della macchina elettorale socialista era emerso già nel 2021, quando sui media albanesi trapelò una banca dati compilata da membri e attivisti del PS. Quell’elenco conteneva informazioni su tutti i 910mila elettori della regione di Tirana: non solo dati personali, dettagli dell’impiego e le intenzioni di voto, ma anche un quadro del contesto familiare, delle necessità e delle vulnerabilità personali.
La fuga di notizie ha messo a nudo l’estensione del sistema di controllo del partito e la sofisticazione degli strumenti impiegati per monitorare e influenzare l’elettorato. Lungi dal negare l’esistenza di questo apparato, i vertici del PS ne hanno addirittura rivendicato l’efficacia, presentandolo come un simbolo di forza organizzativa.
In un clima politico che si fa sempre più autoritario, gli attivisti del PS si comportano più come pedine esecutrici che come membri di partito. Il loro potere si estende ben oltre la campagna elettorale, permeando nelle istituzioni pubbliche, negli uffici amministrativi, nei seggi elettorali e nella vita quotidiana dei cittadini comuni.
Oggi, questo sistema di controllo si è rivelato straordinariamente efficiente, consegnando al Partito Socialista il miglior risultato elettorale degli ultimi vent’anni. Ma il conto da pagare non è affatto trascurabile: consolidando la presa sull’apparato statale e confondendo sempre più i confini tra partito, Stato e pubblica amministrazione, i socialisti di Rama contribuiscono ad alimentare la sensazione che le elezioni non siano più uno strumento reale di cambiamento.
Se fino al 2012 l’Albania riusciva almeno a salvare le apparenze, mantenendo una parvenza di alternanza al potere, l’ultima tornata elettorale rischia di confermare ai cittadini che la cabina elettorale sia diventata poco più che un rituale svuotato di senso, utile più a ratificare l’esistente che a rovesciarlo. E con essa cresce, inesorabile, la disillusione verso l’intero processo democratico.
Un Paese senza opposizione, premiato dalla stabilitocrazia
Durante la campagna elettorale, Pandeli Majko, veterano della politica socialista, ha colto con cinismo lo spirito del tempo: "Dopo le elezioni, la vera opposizione dell’Albania sarà l’Unione Europea, non il PD". Battuta che rivela come i socialisti abbiano saputo fare arma dell’approccio “stabilitocratico” di Bruxelles, dove la stabilità conta più della democrazia, e i governi affidabili valgono più di quelli contendibili.
Una storia già vista nei Balcani occidentali, dove il premier Edi Rama – come altri colleghi della regione – ha ormai imparato ad impersonare il ruolo del leader affidabile agli occhi dell’Europa, anche a costo di ridurre la competizione interna a una recita a parti fisse.
Sotto l’etichetta della “stabilità”, Rama ha goduto di un sostegno costante da parte delle istituzioni europee. Un appoggio che non hanno scalfito neppure i numerosi scandali corruttivi del suo partito, o i ripetuti allarmi contenuti nei Progress Reports della stessa Commissione, che denunciano criticità strutturali nello stato di diritto.
A rafforzare ulteriormente la sua posizione sulla scena internazionale è intervenuta una diplomazia transazionale. Il recente accordo con l’Italia sui migranti – promosso come simbolo di “valori europei condivisi” e benedetto anche dalla Commissione – ne è un caso esemplare. Offrendo ospitalità ai centri dei migranti, Rama ha ottenuto in cambio legittimazione politica, visibilità nei salotti europei e sostegno finanziario, tanto da Roma quanto da Bruxelles.
In questo contesto, durante la campagna elettorale Rama ha saputo orchestrare un panorama politico rigidamente binario, presentandosi come l’unica opzione credibile contro un’opposizione ormai screditata. Ha così oscurato qualsiasi voce alternativa, ritagliandosi il ruolo di figura insostituibile, tanto agli occhi degli elettori albanesi quanto a quello dei vertici di Bruxelles.
Il risultato è un compromesso rischioso: finché Rama continuerà a offrire ciò che a Bruxelles serve – come l’esternalizzazione delle politiche migratorie – le tendenze autoritarie del suo governo saranno archiviate come “questioni interne”.
Una dinamica comoda per Rama, che lo mette al riparo da responsabilità e opposizione reale in casa, ma pericolosa per il futuro democratico non solo dell’Albania, ma dell’intera regione.
Tag:
I più letti
- Transizione energetica