E-government in Bosnia Erzegovina: un’occasione da cogliere

L’e-government è il presente ed è un’occasione, anche per il sud-est Europa, di garantire più trasparenza, più diritti e più democrazia. Risparmiando risorse. Un’intervista

19/01/2021, Davide Sighele -

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@ jurgenfr/Shutterstock

Simona Zelli è Innovation manager presso la cooperativa Open Content . Quest’ultima è una cooperativa trentina che sviluppa soluzioni web per la digitalizzazione dei servizi pubblici. Simona Zelli è stata di recente responsabile di un’analisi sulla situazione per quanto riguarda l’e-government in tre municipalità della Bosnia Erzegovina: Prijedor, Zavidovići e Mostar. La ricerca è stata condotta nell’ambito di un programma di sviluppo territoriale che ha visto coinvolti l’Associazione progetto Prijedor , il Tavolo trentino con i Balcani e la Provincia autonoma di Trento. L’abbiamo intervistata.

Inizierei con l’introdurre le questioni di cui andremo ad occuparci, cosa significa e-government?

Con il termine e-government si fa riferimento all’utilizzo di tecnologie innovative nei processi amministrativi che le pubbliche amministrazioni svolgono per for­nire servizi ai cittadini. La rapida diffusione di Internet e delle tecnologie di rete ha reso disponibile come modalità principale di erogazione dei servizi quella effettuata on line. Esempi in questo senso sono ormai numerosi e rispecchiano l’idea che le nuove tecnolo­gie diano la possibilità di realizzare degli sportelli virtuali ai cittadini che, al pari degli usuali sportelli fisici, diventano un punto di erogazione di servizi: si va da siti web istitu­zionali dei comuni a portali territoriali, da servizi di sola informazione-vetrina a servizi trans­azionali in cui i cittadini possono arrivare ad effettuare pagamenti online. Tuttavia l’e-government non coincide con la mera informatizzazione della pubblica amministrazione. È corretto parlare di e-government solo quando l’utilizzo delle tecnologie digitali nelle P.A. costituisce chiaramente un contributo al miglioramento dei servizi finali resi agli utenti – cittadini e imprese – e come miglioramen­to della vita democratica di un paese. 

E cosa significa open-source?

Per quanto riguarda la definizione di open source ci si può rifare alla definizione pubblicata dalla Free Software Foundation (FSF) che definisce il software libero come un software che assicura agli utenti finali la libertà di utilizzare, studiare, condividere e modificare tale software. Il termine “libero” viene utilizzato nel senso di “libertà di parola”, non di “gratuito”.

Ecco le 4 libertà del software libero: libertà di eseguire il programma come si desidera, per qualsiasi scopo, libertà di studiare come funziona il programma, e cambiarlo in modo che si adatti alle proprie esigenze, libertà di ridistribuire le copie in modo da poter aiutare il prossimo, libertà di distribuire copie delle versioni modificate ad altri. In questo modo si può dare all’intera comunità la possibilità di beneficiare dei cambiamenti. L’accesso al codice sorgente è una condizione preliminare per questo.

Molti pensano che sia il software libero, che l’open-source, consenta di utilizzare software gratuito e libero da ogni forma di proprietà intellettuale, niente di più sbagliato. Posso utilizzarli, copiarli e modificarli a mio piacimento ma, non è detto che questo software non sia completamente libero da vincoli di proprietà intellettuali, o di licenze da pagare agli autori che hanno realizzato tali software. Il vantaggio più evidente dell’open source è che il software può essere re-distribuito gratuitamente.

Recentemente ha contribuito ad un progetto dell’Associazione progetto Prijedor, ATB e Provincia autonoma di Trento mettendo sotto la lente dell’e-government tre municipalità bosniache. Quali le principali questioni emerse?

Sia a Prijedor che a Zavidovići e Mostar è emerso un impegno rilevante negli ultimi anni per lo sviluppo della loro intranet, e quindi della rete di comunicazione interna. Resta invece più debole lo sviluppo dei siti web comunali e dei servizi pubblici digitali erogati attraverso i siti web della pubblica amministrazione. Mi preme sottolineare che quest’ultima è una problematicità che si riscontra un po’ ovunque in Europa parlando di servizi digitali pubblici perché anche se, nell’Ue, sono state definite le linee normative che devono garantire lo sviluppo dell’e-government ancora si fa fatica nella loro applicazione.

Un esempio concreto dei contenuti delle normative europee?

Il quadro normativo europeo e degli stati UE obbliga ad esempio le pubbliche amministrazioni ad utilizzare un certo tipo di tecnologia per garantire una serie di diritti dei cittadini e per garantire anche la capacità dei sistemi informatici di comunicare tra loro.

Per esempio si spinge all’applicazione di principi come once-only, letteralmente “solo una volta” e questo significa che i cittadini devono poter inserire i loro dati una volta sola e a quel punto l’interlocutore pubblico lo riconosce e il cittadino non ha bisogno di inserire i dati ogni volta.

Ma prevede anche che tutto il software utilizzato dalla pubblica amministrazione debba essere open source con la possibilità di ri-uso. Questo significa che le amministrazioni devono scegliere soluzioni che si trovano nel catalogo di soluzioni certificate in riuso e partire da lì per adattarle alle proprie esigenze.

Tornando alla ricerca sul campo che ha condotto, come è stata realizzata?

L’approccio è stato di tipo ibrido.

Per la ricerca primaria sono stati utilizzati due strumenti: uno studio generale relativo al contesto del quadro normativo nazionale in Bosnia Erzegovina e l’analisi dei siti web dei tre municipi oggetto dell’azione. Inoltre, al fine di raccogliere informazioni sulla situazione attuale e sulle capacità delle amministrazioni locali per lo sviluppo dell’e-governance e dei servizi pubblici digitali, è stato deciso di effettuare un sondaggio utilizzando questionari strutturati che sono stati inviati a tutte e 3 i comuni della Bosnia Erzegovina coinvolti nel progetto e la campagna di engagement in loco per la compilazione dei questionari è stata seguita dalle tre Agenzie della democrazia locale che in quelle città hanno sede.

I risultati della ricerca primaria sono stati confrontati con i dati rilevati tramite i questionari, i dati che ci hanno consentito di stabilire in quale fase di sviluppo dell’e-government si trovano i tre comuni di Mostar, Prijedor e Zavidovići. I questionari sono stati quindi usati in due direzioni: come dato di analisi per la ricerca e come dato capace di rivelare il «percepito dai cittadini» 

Avete verificato forti discrepanze tra i servizi effettivamente esistenti e la percezione dei cittadini? Quali gli elementi più rilevanti nel confrontare questi due dati?

No. la percezione dei cittadini è in linea con il reale stato di sviluppo dell’e-government nei tre municipi oggetto dell’azione che in termini tecnici definiamo "Interazione unidirezionale".

In particolare, sia i dati emersi dai questionari rivolti ai cittadini che quelli emersi dai questionari rivolti alle pubbliche amministrazioni confermano quanto rilevato dagli studi bibliografici condotti nella ricerca primaria in merito alla mancanza di veri e propri servizi digitali della pubblica amministrazione: i cittadini infatti non hanno a disposizione veri e propri servizi digitali in quanto i siti comunali presentano per lo più informazioni statiche o, raramente, consentono di scaricare moduli e anche i siti delle diverse organizzazioni che hanno partecipato al sondaggio risultano essere per lo più siti informativi e non piattaforme di servizi.

Il dato relativo allo stato di sviluppo dell’e-government nei tre municipi assume ancora più rilevanza se si va a guardare quanto emerge dai questionari rivolti ai cittadini in merito all’uso dei servizi digitali esistenti. I questionari infatti hanno rilevato uno scarso utilizzo dei siti web comunali da parte dei cittadini. 

Quale l’aspetto di questa ricerca che l’ha più stupita rispetto alla realtà bosniaca?

Alla domanda “Il comune della tua città ha un sito web?” molti cittadini rispondono ancora “non lo so” e questo significa che non hanno mai usato il sito web del comune neanche per puro scopo informativo. 

Open-content, riuso, una avanzata normativa europea potrebbero garantire progressi notevoli in chiave di e-government e di diritti di cittadinanza anche nel sud-est Europa?

La risposta sta nella storia stessa della cooperativa per la quale lavoro, Open Content. Quindici anni fa, quando la cooperativa è stata fondata, questi temi sembravano da extraterrestri. Tuttavia, in Trentino prima e in altri contesti territoriali poi, alcuni comuni medio-piccoli e la stessa Provincia Autonoma di Trento ci hanno dato la possibilità di sperimentare quanto sviluppato ed ora – proprio di recente – siamo stati premiati, con altre due aziende europee, alla Digital Innovation Challenge il cui scopo era di individuare prodotti innovativi basati su soluzioni aperte e riusabili messe a disposizione dalla Commissione europea.

Tornando quindi alla domanda: proprio grazie a questi strumenti accessibili e riutilizzabili, le municipalità bosniache potrebbero intraprendere un rapido percorso di integrazione con standard europei e ad avvantaggiarsene sarebbero i cittadini. E queste municipalità possono farlo risparmiando e garantendo più efficienza.

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