Due parole
E’ uscito "Two words, Deux mots", la raccolta delle opere 1999-2009 di Šejla Kamerić. Una retrospettiva ragionata sul lavoro dell’artista sarajevese, un libro sull’Europa di questi dieci anni
Šejla Kamerić appartiene alla generazione di artisti cresciuti a Sarajevo durante i tre anni e mezzo di assedio. Questo ha fortemente determinato l’atteggiamento di questa artista, così come il suo comprendere e praticare l’arte. Ciò che rende Šejla (e il gruppo di artisti della "generazione di guerra") diversi da altri della loro generazione è il significato del loro lavoro, non i mezzi che utilizzano (Da "To be continued", di Dunja Blažević, cit. in "Two words, deux mots").
Conosciamo Šejla Kamerić per l’opera "Bosnian girl". Il volto di una ragazza – quello dell’artista – e in sovrimpressione il graffito lasciato da un ignoto casco blu olandese nella base delle Nazioni Unite a Srebrenica: "Non ha i denti? Ha i baffi? Puzza di merda? E’ una ragazza bosniaca."
L’opera, realizzata nel 2003, andava dritta al cuore della tragedia bosniaca. Srebrenica – tutti sappiamo che di quello si tratta – e la surreale inadeguatezza della comunità internazionale, dei buoni, di quelli che gridavano mai più.
Oggi una casa editrice svizzera (La Baconnière Arts, Ginevra), ha raccolto in un volume gran parte delle opere dell’artista realizzate tra il 1999 e il 2009, permettendo al pubblico di ripercorrerne e scoprirne poetica e filo conduttore.
"Two words, Deux mots" narra la (sin qui) prolifica opera di Šejla Kamerić, alternando una grande cura nella riproduzione fotografica dei lavori dell’artista con testi brevi, illuminanti. Gli autori (artisti, poeti, scrittori) riescono a inquadrare le singole opere nel contesto biografico dell’artista e nella contemporaneità del dibattito pubblico europeo. Damir Arsenijević, Dunja Blažević, Nebojša Jovanović, Charles Merewether, Edi Muka, Christophe Solioz, Joško Tomasović e Anselm Wagner sono le guide che ci conducono all’interno di un percorso artistico fuori dal comune.
Elementi ricorrenti sono la riflessione sul pregiudizio e la pratica dell’auto-rappresentazione. L’artista-ombra appare nella foto di Milomir Kovačević che la ritrae in una piazza abbandonata di una città abbandonata e già ridotta a macerie ("Shadow of me", Sarajevo, 1993), oppure in primo piano, come in Bosnian Girl. Lo sguardo non è di condanna, piuttosto una dichiarazione di presenza ma al tempo stesso alterità rispetto ad una realtà onirica, spettrale.
L’alterità, sentita o subìta (come nell’installazione "Cittadini europei/altri" realizzata per la Biennale di Arte Contemporanea di Lubiana), è infatti un altro dei temi ricorrenti, così come – denunciata o semplicemente implicita – la nostalgia per Sarajevo, luogo immaginifico che resta a simboleggiare l’unità fondamentale, l’inizio, la necessità di un ritorno. Di qui "Homesick", la condizione psicologica di colui (colei) che sente la mancanza di casa, progetto artistico iniziato a Graz nel 2001 e ancora in corso, consistente in piccoli adesivi – appiccicati nei luoghi pubblici più disparati – che puntano sempre in direzione di Sarajevo.
La riflessione politica diventa inquietante, come negli interventi in occasione della campagna elettorale del novembre 2000 in Bosnia Erzegovina. Al tempo uno dei partiti in lizza (HDZ BiH) sosteneva la necessità di un referendum attraverso cui dichiarare la propria nazionalità, e aveva riempito il Paese di grandi poster con la scritta opredjeljenje ili istrebljenje (scelta o sterminio). La Kamerić era intervenuta modificando i poster per mettere a nudo il non detto ideologico che animava tutta la campagna elettorale, presentando un nuovo poster: istrebljenje ili istrebljenje. Sterminio o sterminio: o sterminiamo gli altri o saremo sterminati.
Altri interventi, meno drammatici, continuano nella scia dell’impegno politico, come l’impertinente linea rosa dipinta attraverso la linea verde che separa in due la cipriota Nicosia, mentre la pratica dell’auto rappresentazione, e della riflessione sulla propria posizione nella storia, continua nella serie di video Šta ja znam (Che ne so io, 2007).
Nel libro c’è tutto, la guerra, l’assedio di Sarajevo, l’ipocrisia, l’esclusione, il desiderio di rivolta, la crisi. Paradossalmente – dati i temi – domina su tutto un forte sentimento di speranza, quasi di fratellanza, di appartenenza ad un tutto. Un libro utile, in ogni caso, per riflettere su questi dieci anni, sull’Europa di inizio secolo.
Autore: KAMERIC Sejla
Editore: La Baconnière Arts
Lingua: inglese/francese
Formato: 21×25
Pagine: 108
Costo: € 26 + spese di spedizione. Il libro può essere ordinato scrivendo a:christophe.solioz@ceis-eu.org