Donne, memoria, verità e giustizia

Il 9 e 10 luglio si è tenuta a Srebrenica una conferenza internazionale dedicata allo studio e alla ricerca sul genocidio. Tra i tanti interventi, di rilievo quelli di donne di associazioni locali che da trent’anni portano avanti un’importante lotta

25/08/2025, Nicole Corritore -

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Le donne delle associazioni intervenute alla Conferenza del 9-10 luglio 2025 - foto Nicole Corritore (OBCT)

Le donne sopravvissute al genocidio, hanno lottato strenuamente fin dalla fine della guerra. È chiaramente emerso nella due giorni della conferenza internazionale “Education and Researche on Genocide” (Educazione e ricerca sul genocidio) tenutasi al Memoriale di Srebrenica-Potočari il 9 e 10 luglio scorsi.

Tra i tanti intervenuti – ricercatori, giornalisti, esperti legali, rappresentanti della società civile nazionale ed estera e di organizzazioni transnazionali – il panel "The faith for justice: the rights to remembrance" ha visto protagoniste quattro donne: Munira Subašić (presidente del Movimento delle donne di Srebrenica e Žepa), Fadila Efendić (presidente dell’Associazione Madri di Srebrenica), Šuhra Sinanović (presidente delle Donne di Podrinje e Bratunac) e Nura Begović (presidente dell’associazione Donne di Srebrenica), che hanno ripercorso le tappe della trentennale lotta per verità e giustizia.

Già a Tuzla, all’arrivo nel luglio del 1995 dopo essere state obbligate a lasciare Srebrenica, e soprattutto dopo l’arrivo dei pochi sopravvissuti tra i 15mila che avevano percorso la marcia delle morte, hanno cominciato a chiedere di conoscere la verità. E per questo, ha ricordato Munira Subašić, “dobbiamo ringraziare la Croce Rossa Internazionale, e poi l’Istituto internazionale per la ricerca degli scomparsi”. Un cruciale apporto, sottolineato anche da Nura Begović: “Soprattutto Kathryne Bomberger, la direttrice generale dell’International Commission on Missing Persons (ICMP) che è qui oggi e prossimamente sarà in Ucraina. Non solo ci ha aiutate nella ricerca degli scomparsi, ma anche offrendo a noi donne, di tutte le parti, la sede in cui incontrarci per parlare e collaborare”. Perché, ha spiegato Nura, nel paese non piace che si collabori, le spinte alla divisione sono ancora forti e continuano pericolose battaglie politiche giocate sulla pelle dei cittadini.

Un aiuto che è stato anche psicologico, per accompagnare le donne delle associazioni a spingere altre decine ad uscire dal buio. “All’inizio è stata durissima. Sai cosa significa chiedere ad una madre, alla quale sono stati uccisi cinque figli e il marito, di dare una goccia del suo sangue dal dito per l’identificazione con il DNA e lei ti risponde ‘Ma no, cosa dici?! Non sono morti, sono ancora vivi da qualche parte’…?!”, mi ha raccontato Nura a seguito dell’incontro.

Sarebbe stato più facile chiudersi in casa e piangere, ha aggiunto, invece hanno raccolto forza e coraggio e si sono attivate. Ad esempio, con il questionario che a fine anni Novanta le donne dell’associazione di Munira Subašić hanno fatto compilare a ventimila superstiti di Srebrenica, in cui si chiedeva dove volevano che venissero sepolti i resti dei propri cari, trovati o da trovare nelle fosse comuni: “L’85% ha risposto: Srebrenica. E così, con i risultati in mano, abbiamo organizzato una protesta a cui abbiamo chiamato l’allora Alto rappresentante Wolfgang Petritsch. Gli abbiamo chiesto che venisse esaudito ciò che era emerso e lo ha fatto: nel 2000 stabilì la realizzazione del cimitero del Memoriale di Srebrenica-Potočari”.

Un genocidio che non ha solo cancellato la vita di migliaia di persone: “Ai bambini, che hanno assistito alle uccisioni, hanno portato via anche la memoria. La distruzione delle case ha significato anche la sparizione delle fotografie, e non hanno potuto conoscere nulla del passato familiare, sapere che faccia avessero i padri, i fratelli, gli zii”. Un’attività di ricerca che prosegue da anni, oggi assieme a nuove generazioni di volontari e ricercatori. Nel Memoriale si è inoltre avviata la raccolta dei beni – foto, vestiti, documenti – trovati nelle fosse comuni. Nura, ad esempio, ha deciso di donare la giacca della tuta che indossava suo fratello Adil, di cui ha sepolto i primi resti nel 2019, trovati vicino all’hangar di Kravica [dove vennero deportati centinaia di civili poi uccisi tra il 13 e il 14 luglio 1995, si veda in ICTY No. IT-05-88-T , Popović et al. pp 169-177, tra i casi inseriti nella condanna di cinque funzionari dell’esercito della RS nel 2015, ndr].

La comunità internazionale nei giorni del genocidio è stata muta a guardare, ha ricordato Munira, ma oggi davanti alle stele bianche del cimitero, al museo del Memoriale, alle condanne per crimini di guerra, deve impegnarsi a fermare revisionismi e negazione: “Ogni stele ha la sua storia, ogni persona lì sepolta desiderava vivere, essere felice, esattamente come tutti gli altri figli morti in questa guerra. Ma ogni negazione non deve più essere tollerata”. Le sentenze a carico di criminali di guerra sono state emesse in base a prove, fatti, testimoni: “Ma se non proseguiamo a riconoscerle come tali, come possiamo inviare un messaggio di speranza all’Ucraina o alla Palestina o altri luoghi di conflitto dove stanno avvenendo simili crimini?”.

A prova dei fatti, pochi giorni prima della commemorazione dell’11 luglio scorso, è stato donato al Centro Memoriale l’archivio digitale di tutti i materiali giudiziari pubblicamente disponibili del Meccanismo residuale per i tribunali penali internazionali (che ha preso il posto del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia). Milioni di pagine, video, audio, ora importante fonte di ricerca e approfondimento, ha sostenuto Fadila: “Finché siamo vive, proseguiremo instancabili nella ricerca, ma grazie a Dio ci sono giovani, attivisti e ricercatori, che vengono coinvolti dal Memoriale affinché si studi e si faccia in modo che non accada mai più”.

Memoria che, come ha di recente scritto Giulia Levi per OBCT, viene ricostruita anche con il progetto “Facing Srebrenica”, con cui si sono raccolte oltre 11.000 fotografie scattate dai soldati del contingente ONU di stanza a Srebrenica fra il 1994 e il 1995. Ma, ha voluto aggiungere con decisione Nura, “sono soprattutto i nostri racconti privati che hanno tenuto insieme la memoria, e hanno obbligato a cercare la verità. Grazie a questo oggi si sa, con nomi e cognomi, chi ci ha tenuti rinchiusi nel lager di Srebrenica tra il 1992 e il 1995. E lo abbiamo dimostrato noi, donne.”

Secondo Nura Begović, un importante motore può essere rappresentato dalla Risoluzione votata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel maggio del 2024: “Così, forse, in paesi che hanno votato a favore, ma dove la popolazione sa poco o nulla di cosa accaduto a noi, la Risoluzione porterà a una maggiore conoscenza e coscienza”. Che non deve rimanere parola morta, ha sottolineato: “Voi paesi dell’Unione europea, lottate, create una rete con altri paesi e fate concreta pressione. A livello internazionale e anche qui, nel nostro paese, dove negli ultimi dieci anni la tensione politica è aumentata”.

Una paura, per quanto sotto traccia, che è emersa dalle parole di Fadila Efendić: “La guerra la vediamo continuamente in TV, mentre tra noi semplici cittadini e cittadine non ce la facciamo l’un l’altro… mi fa male che Srebrenica, in cui sono crescita e tornata a vivere nel 2002, sparisca di giorno in giorno, perché tutti emigrano per assenza di prospettive e per la mancanza di interesse pubblico affinché la città si risollevi dalle ceneri. Mentre cresce in noi il timore che una piccola scintilla possa far riesplodere tutto”.

Queste donne vogliono che nel paese si riconoscano pari diritti per tutti i cittadini del paese, senza divisioni. Proprio Fadila, in conclusione, ha riassunto il pensiero delle presenti: "Che nei partiti, e nelle posizioni pubbliche, siedano persone capaci, che rispondano al bene comune dei cittadini. Punto. E per far questo dobbiamo lavorare sull’educazione delle nuove generazioni. Si deve smettere di insegnare storie diverse, di riempirle di odio e sospetto… siamo a trent’anni da quella guerra, se proseguiremo ad insegnare dalla nascita tutto questo, nulla cambierà per altri 30 anni."