Dodik, atto secondo
Milorad Dodik riesce a ottenere la maggioranza nell’Assemblea della Republika Srpska, ma il riconfermato presidente dell’entità non ne ha più il controllo assoluto. Veleni e intercettazioni sulla compravendita di parlamentari
La notizia è che, nonostante tutto, Milorad Dodik sembra essere riuscito a ritagliarsi una maggioranza nell’Assemblea della Republika Srpska (RS), conquistando a fatica i 42 voti necessari. Sebbene abbia perso la posizione di membro serbo della presidenza della Bosnia Erzegovina (conquistata alle elezioni del 12 ottobre dal rivale Mladen Ivanić, del PDP), l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD) di Dodik mantiene il controllo della presidenza e del governo dell’entità.
Mentre scriviamo (sera del 3 dicembre), Milorad Dodik ha infatti indicato come candidato alla posizione di Primo Ministro una sua fedelissima, Željka Cvijanović, che già aveva occupato la medesima posizione nella seconda parte dello scorso mandato. Le consultazioni per la formazione del nuovo governo nell’entità sono attualmente in corso e la sua composizione dovrebbe essere nota, presumibilmente, già nei prossimi giorni.
Intercettazioni e compravendita di parlamentari
Le manovre di Dodik per creare una propria maggioranza all’interno dell’Assemblea non sono state esattamente trasparenti, per usare un eufemismo. Nei media locali, anzi, è circolato il forte sospetto che l’SNSD abbia corrotto dei parlamentari appartenenti all’opposizione per passare dalla propria parte. Alla metà di novembre, il portale sarajevese Klix aveva pubblicato un’intercettazione audio nella quale si poteva ascoltare proprio la voce di Cvijanović rassicurare una sconosciuta interlocutrice, sostenendo di avere "comprato" due parlamentari.
L’intercettazione, che l’SNSD ha bollato come "falsa" e "illegittima", e sulla quale si attende tuttora un’indagine ufficiale, arrivava in un momento delicato. La coalizione Savez za promjene, Alleanza per il progresso, formata da SDS, PDP e NDP aveva appena annunciato la propria volontà di partecipare al governo centrale insieme a SDA, HDZ e Demokratski Front. Nell’attesa che venisse organizzata la prima seduta della nuova Assemblea della RS, le due coalizioni guidate da SNSD e SDS erano entrambe alla spasmodica ricerca di una maggioranza parlamentare nell’entità, un gioco reso ancora più complicato dalla presenza della coalizione Domovina (5 parlamentari eletti) e dalle incertezze del partito Napredna Srpska, che avrebbe potuto avere i due voti necessari a decidere il vincitore del testa a testa ma che, nelle parole di Adam Šukalo, il suo leader, avrebbe appoggiato solamente un governo "di grande coalizione, composto da un’alleanza trasversale tra SNSD e SDS".
Il braccio di ferro
Nell’incertezza generale era scontato che, per capire chi avesse i numeri per governare in Republika Srpska, sarebbe stato necessario attendere la prima sessione dell’Assemblea. In quell’occasione, infatti, il parlamento dell’entità avrebbe dovuto eleggere il proprio presidente, e sarebbe stato chiaro una volta per tutte quale coalizione disponesse della maggioranza parlamentare.
Ce l’ha fatta Dodik, ottenendo che alla posizione di presidente venisse eletto Nedeljko Čubrilović del DNS (Demokratski narodni savez, Alleanza democratica popolare), alleato dell’SNSD e già ministro dei Trasporti durante la scorsa legislatura. Ma è stata una vittoria molto ambigua, ottenuta al termine di una sessione-fiume durata più di dieci ore e conclusasi solamente in tarda serata. La coalizione raccolta attorno all’SNSD ha così incassato i "fatidici 42 voti" sufficienti a rivendicare il controllo del parlamento. Si tratta tuttavia di una maggioranza fragile, ottenuta attraverso il voto di due transfughi che hanno deciso di passare dalla parte di Dodik.
I due nomi, inevitabilmente sospettati di essere i parlamentari di cui parlava Cvijanović, sono Vojin Mitrović (ex NPD) e Ilija Stevančević (ex SDS). Mitrović aveva dichiarato la propria intenzione di abbandonare l’NPD già il 19 novembre scorso (l’intercettazione telefonica è stata resa pubblica il 15 novembre), motivando la propria scelta per "l’insoddisfazione nei confronti dell’accordo che avrebbe portato l’Alleanza per il progresso al governo centrale insieme a SDA e DF". Ora, insieme a Stevančević, voterà come parlamentare "indipendente", a sostegno della maggioranza formata dall’SNSD.
Sarajevo contro Banja Luka?
Già nella tarda serata di lunedì 24 novembre Milorad Dodik, fresco del successo incassato all’Assemblea, aveva annunciato la nomina del candidato Primo ministro. Posizione che, come ricordato in apertura, sarà probabilmente affidata a Cvijanović. L’Alleanza per il cambiamento (SDS-PDP-NPD), dal canto suo, ha rifiutato di partecipare alle consultazioni per formare il governo a livello dell’entità, ma resta (per ora) un partner ipotetico nel futuro Consiglio dei Ministri della Bosnia Erzegovina.
"La situazione è complicata" secondo Srdjan Puhalo, politologo di Banja Luka. "Alcune considerazioni, comunque, si possono già fare. Lo strapotere di Milorad Dodik è finito una volta per tutte. È vero che ha conservato la maggioranza in seno all’Assemblea, ma è una maggioranza esigua, e non è chiaro quanto essa potrà durare nei prossimi mesi. Dopotutto, si basa sui voti decisivi di due parlamentari transfughi". Puhalo non commenta a Osservatorio lo scandalo intercettazioni, limitandosi a osservare che "non è certo un mistero che in Republika Srpska si facciano scambi di voti di questo tipo", ma notando altresì che "è comunque la prima volta che la cosa viene resa nota in modo così palese".
"Dodik sta pattinando su un ghiaccio molto sottile", continua Puhalo, "e questo significa che molto probabilmente il suo partito non sarà più in grado di dettare legge come ha fatto durante lo scorso mandato. Dovrà ascoltare di più i propri alleati. Inoltre, è molto interessante notare come l’opposizione abbia reagito con chiusura totale all’annuncio della nomina di Cvijanović al posto di candidato Primo ministro dell’entità. Non ci sarà dialogo, si andrà al muro contro muro. Il che sarà ancora più interessante, se si pensa che l’opposizione della Republika Srpska potrebbe andare al governo a Sarajevo".
In effetti, se le cose rimangono così, nei prossimi mesi assisteremo molto probabilmente a uno scontro istituzionale tra l’entità serba di Bosnia Erzegovina e il governo centrale. Non è detto che allargare la coalizione di governo del paese al Savez za Promjene sia la soluzione ideale, visto che già in passato è stata dimostrata la difficoltà di costruire un Consiglio dei Ministri a Sarajevo senza i partiti maggioritari a livello delle entità e dei cantoni . Se Dodik terrà salda la propria maggioranza a Banja Luka, avrà uno strumento molto efficace per ostacolare il governo di Sarajevo: i delegati alla Dom Naroda, il "Senato" del Parlamento della Bosnia Erzegovina, che devono essere eletti dall’Assemblea della RS e che sarebbero quindi nominati molto probabilmente tra le file dell’SNSD e dei suoi alleati. Controllando i delegati alla Dom Naroda, Dodik paralizzerebbe de facto le istituzioni centrali, visto che farebbe mancare il quorum necessario ad approvare le leggi (che devono ottenere il voto di entrambe le camere).
D’altro canto, Sarajevo avrebbe un’arma formidabile nelle agenzie, e soprattutto nella SIPA, le forze speciali della polizia bosniaca, che si occupa principalmente di combattere il crimine organizzato. "Finora", nota Puhalo, "la SIPA è stata infatti controllata da Dodik. Il capo dell’agenzia, Goran Zubac, è notoriamente un suo fedelissimo. Se le cose dovessero cambiare, e i vertici della SIPA affidati a qualcun’altro, si potrebbe aprire un’inchiesta contro Dodik. Nel qual caso, ci sarà da divertirsi".