Djindjic, cordoglio anche dal Kossovo

I leader albanesi condannano l’attentato. Adem Demaci, ex portavoce politico dell’UCK, ha sottolineato che la perdita di Djindjic è grave non solo per i serbi ma anche per gli albanesi.

13/03/2003, Redazione -

Nonostante ci si potesse aspettare che i politici albanesi sarebbero stati riluttanti a mostrare in pubblico la loro compassione per la morte di Djindjic, l’assassinio del Primo ministro serbo è stato seguito da numerose prese di posizione (inaspettate) dei più famosi uomini politici del Kossovo. In ogni dichiarazione emerge il rispetto per gli sforzi compiuti da Djindjic per costruire una nuova Serbia democratica.
"Questo è un attacco alle istituzioni democratiche ed alla società democratica. E’ un attacco contro la stessa Serbia e rischia d’avere conseguenze negative per la stabilità dell’intera regione poiché Djindjic era caratterizzato da un’impostazione fortemente pro-occidentale e volta alle riforme", ha affermato Hasmin Thaci, presidente del PDK, secondo partito del Kossovo. Thaci ha inoltre voluto rassicurare la minoranza serba in Kossovo affermando che "I serbi del Kossovo si sentiranno senza dubbio confusi, e potranno essere presi dalla paura e rischiare forti divisioni in merito alle prospettive future. Quanto avvenuto potrà rallentare il processo di rientro degli sfollati serbi".
In una presa di posizione ufficiale il Governo del Kossovo ha espresso le proprie condoglianze per quello che ha definito come un "atto codardo". Anche il Governo del Kossovo sottolinea come quanto accaduto sia pericoloso e di cattivo auspicio non solo per la Serbia ma per l’intera regione.

Nexhat Daci, Presidente dell’Assemblea kossovara, ha condannato l’omicidio ed ha descritto il Primo ministro Djindjic quale "simbolo del processo democratico in Serbia, coraggioso riformista in un ambiente nel quale per decenni è stato coltivato l’odio, quasi sino al livello del fascismo. Quest’omicidio danneggerà i processi di democratizzazione nell’intera regione".
Adem Demaci, ex portavoce politico dell’UCK, ha sottolineato che la perdita di Djindjic è grave non solo per i serbi ma anche per gli albanesi. "Djindjic è stato come spessore politico secondo solo ad Ivan Stambolic. Djindjic aveva compreso i potenziali di violenza e di distruttività di cui era oramai permeata la realtà dell’ex-Yugoslavia. Da lui non ci aspettavamo nulla ma lo rispettavamo. Djindjic è stato ucciso da coloro i quali pensano che i serbi debbano ancora governare il Kossovo. Spero che i serbi siano in grado di sanare questa grave ferita, hanno perso il leader che aveva appianato la strada verso l’Europa".
Veton Surroi, tra i più autorevoli giornalisti kossovari, commenta, in un suo editoriale pubblicato oggi, che Djindjic è stata la figura chiave nel cambiare la Serbia del dopo Milosevic, ma se Slobo è finito all’Aja così non è avvenuto per la maggior parte dei cittadini serbi che lo sostenevano. "E’ quindi la Serbia che ha ucciso Djindjic, sostiene Veton Surroi, per dieci anni si è coltivato un clima fascista e questo non si cambia in pochi mesi". Il giornalista ricorda poi come quest’omicidio dimostri come sia difficile affrontare anche superficialmente i problemi che attanagliano la Serbia di oggi.
Per ora la morte di Djindjic ha subito causato la sospensione del controverso dibattito che si era aperto tra Belgrado e Pristina per iniziare a definire alcuni ambiti di cooperazione. La controparte albanese non ha infatti esitato ad affermare che sino a quando in Serbia non emergerà una leadership chiara i tavoli della trattativa rimarranno deserti.
Dal nostro inviato a Pristina.

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