Dizionario dei Chazari

Riproposto con una nuova traduzione a firma di Alice Parmeggiani il "Dizionario dei Chazari" del maestro del postmodernismo serbo Milorad Pavić. Una recensione

01/02/2021, Diego Zandel -

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© patpitchaya/Shutterstock

Considerato un maestro del postmodernismo serbo, Milorad Pavić è diventato famoso in tutto il mondo con il suo “Dizionario dei Chazari”, uscito a Belgrado originariamente nel 1984, e in Italia nel 1988, per i tipi di Garzanti nella traduzione di Branka Ničija, che per lo stesso editore avrebbe tradotto nel 1991 anche “Paesaggio dipinto con il te”, romanzo che confermava il gusto per il fantastico dell’autore, immedesimandosi in storie che s’intrecciavano tra loro in una dimensione essenzialmente linguistica, tant’è che quest’ultimo era definito un romanzo cruciverba per l’escamotage di poter essere letto in orizzontale e verticale, seguendo personaggi e intrecci di varie storie. L’anno dopo, nel 1992, uscì, sempre da Garzanti e sempre nella traduzione di Branka Ničija “Il lato interno del vento”, dopo di che di Pavić abbiamo saputo sempre meno, anche se, nel 1994, produsse un nuovo romanzo “Poslednja ljubav u Carigradu, priručnik za gatanje” (L’ultimo amore a Costantinopoli, manuale per gli incantesimi), che non mi risulta essere stato ancora tradotto in Italia.

È stato però di nuovo tradotto il “Dizionario dei Chazari”, questa volta da Alice Parmeggiani per i tipi di Voland, offrendo così una grande nuova occasione per i lettori italiani di conoscere quest’opera straordinaria, visto che il libro nell’edizione Garzanti è ormai finito fuori catalogo e rintracciabile pertanto solo nelle librerie antiquarie o nei siti specializzati.

Innanzitutto, chi erano i Chazari? Nelle note preliminari alla “seconda edizione ricostruita e aggiornata”, Pavić racconta che si trattava di “una stirpe forte e indipendente, un popolo nomade e guerriero” insediatosi dal VII al X secolo tra il Mar Caspio e il Mar Nero, che poi è scomparsa assieme al loro stato “in seguito all’avvenimento che è l’argomento principale di questo libro, ossia dopo la loro conversione dalla fede originaria, a noi tuttora ignota, a una (altrettanto sconosciuta) delle tre grandi religioni del passato e del presente: quella ebraica, quella islamica o quella cristiana. Subito dopo quella conversione, infatti, seguì il collasso dell’impero chazaro”.

Si può dire che da qui comincia la ricostruzione di questo popolo, tradizioni, titoli, cultura, da parte di Milorad Pavić. Lo fa dando vita a tre libri, tre dizionari, seguendo le diverse fonti delle tre religioni monoteiste, quella cristiana (Libro rosso), quella islamica (Libro verde), quella ebraica (Libro giallo) a cui seguono, in appendice, altre fonti, dalle quali Pavić, ha tratto il materiale che ha portato alla formazione del Dizionario dei Chazari nel suo complesso, che consta di 47 lemmi in ordine alfabetico, alcuni ripetuti in ciascuno dei tre libri, in quanto la conversione, a contatto con le tre diverse religioni, ha dato una diversa interpretazione dello stesso lemma.

Va detto che il lavoro di Milorad Pavić è stato gigantesco, paragonabile, anche per qualità di scrittura, al lavoro meticoloso di un amanuense, di un monaco che pazientemente e nel corso di molti anni ha raccolto presso tutte le fonti disponibili le notizie di questo popolo, notizie poi elaborate dall’autore in chiave di opera letteraria vera e propria, offrendo al lettore un testo originale, diverso da quelli già esistenti usciti nel corso degli anni: a riguardo esiste una bibliografia sui Chazari, pubblicata a New York (The Khazar, a bibliography) così come un paio di monografie, una del russo M.I. Artamonov, del 1936, ripubblicata nel 1962, e una storia dei Chazari ebrei di D.M. Dunlop, pubblicata a Princeton nel 1954. Sarebbe interessante sapere, a riguardo, se, ad esempio, da essi traggono origine gli “Ebrei della montagna” e, quindi, anche quelli convertiti all’Islam, presenti nelle regioni del Caucaso.

Al di là di questo, tornando all’opera di Milorad Pavić, il suo fascino sta nel fatto di aver voluto dare vita a un popolo scomparso, privo di quelle testimonianze di ogni tipo, anche monumentali, che altri popoli scomparsi hanno lasciato. Pavić non tralascia nessuna traccia, fino ai nostri giorni, al punto di appigliarsi a un caso giudiziario accaduto a Istanbul nel 1982 riguardante un omicidio avvenuto all’hotel Kingston, di un certo dottor Muawia, per il quale ci fu ovviamente un processo in cui a testimoniare era venuta una cameriera di nome Ateh, lo stesso della leggendaria principessa chazara, assimilabile a una semidea, che accusava un bambino belga di essere l’omicida, in maniera per altri versi improbabile (verrà per questo condannata per falsa testimonianza). Richiestole da parte del pubblico ministero di che nazionalità fosse, la donna rispose di essere chazara, sorprendendo il magistrato che non aveva mai sentito nominare questa nazionalità, dando così vita a un siparietto che aprirà al mistero, nel corso di una perquisizione, nella camera della vittima di “un’insolita chiave con l’impugnatura d’oro, che stranamente corrispondeva alla serratura di una delle camere per la servitù dell’hotel Kingston. La stanza della cameriera Virginia Ateh”.

Per dire che il mistero di questo popolo arriva fino a noi. Forse molti discendenti sono tra noi. Non solo Virginia Ateh, come vedrà chi si avventurerà tra le 100 mila parole di questo “romanzo-lexicon” come lo ha sottotitolato il suo autore.

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